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l'Ospite

Pensare l'islam in Europa

Il musulmano in Occidente è musulmano spiritualmente: la sua religione è l’Islam, ma la sua civiltà è quella occidentale. Un intervento alla conferenza "Islam in Europa: la sfida della cittadinanza", organizzato dalla Fondazione Oasis nell'ambito del progetto "Non un'epoca di cambiamento, ma un cambiamento d'epoca".

Sono un teologo, un imam con responsabilità religiose, un pastore. Ma sono anche un dottore, che pensa la sua religione nella civiltà occidentale. Questo è il primo e più importante terreno che i musulmani devono affrontare. Prima di gestire la presenza musulmana [in Europa, ndr] infatti occorre pensarla. L’aspetto teologico precede la pratica, prepara l’integrazione dei musulmani in una civiltà che per loro è nuova. 

Il fatto musulmano in Occidente comprende tre realtà:

  • una realtà sociale legata al fenomeno della migrazione;
  • una realtà etnico-culturale legata alle origini etniche e culturali di questa popolazione plurale – araba, berbera, turca, sub-sahariana;
  • una realtà religiosa nel senso stretto del termine.

La presenza musulmana ebbe origine nel momento in cui il Profeta dell’Islam costituì la città di Medina e la proto-Costituzione, sancendo la nascita di un’unica comunità costituita dagli ebrei di Banu ‘Awf (che all’epoca erano quasi la metà della popolazione di Medina) e dai musulmani. Fin dall’inizio perciò c’è una sorta di secolarizzazione, una separazione dei piani: la comunità spirituale è una cosa, la comunità politica nazionale un’altra. Il Profeta non era un presidente, lui stesso disse di non essere un re, e pur gestendo politicamente la comunità a Medina rifiutò di essere incoronato re. Ma nel tempo l’Islam è diventato una civiltà e ha assunto una logica politica. Tutto il pensiero teologico e canonico è stato forgiato in un contesto califfale di dominio, dove la comunità spirituale è andata confondendosi con la comunità politica e la cittadinanza musulmana ha unito due elementi – il politico e lo spirituale. Dopo la caduta del Califfato ottomano i musulmani si sono ritrovati in una nuova configurazione fatta da Stati-nazione con confini. In quel momento la nozione di cittadinanza si è svincolata dalla nozione di comunità spirituale. I musulmani che oggi abitano in Occidente hanno alle spalle questa storia in cui il politico e lo spirituale si confondono e si amalgamano con il culturale e l’antropologico. Oggi è possibile essere sia cittadini occidentali sia musulmani a tutti gli effetti?

Qui intervengono la teologia e il diritto canonico musulmano, che dovrebbero essere ripensati alla luce della secolarizzazione. Non si tratta solamente di gestire la moschea e la comunità, ma di pensare una religione in un mondo globale e nella civiltà occidentale, di ritrovare il livello spirituale dell’Islam. Il musulmano in Occidente è musulmano spiritualmente nel senso che la sua religione è l’Islam, ma la sua civiltà è quella occidentale. Ci troviamo di fronte a quella che chiamo teologia di acculturazione. Adattare l’Islam al diritto positivo in vigore nel Paese, ovvero al repertorio giuridico che regola il pluralismo e federa la nazione in un destino comune, è necessario ma non sufficiente. Le pratiche religiose devono ovviamente tenere conto del diritto e della Costituzione del Paese, ma occorre anche acculturare l’Islam. È ciò che il nostro fratello cattolico chiama la “teologia dell’inculturazione”, ovvero come introdurre una religione nella civiltà. Non si tratta di trasformare la civiltà, ma di adattarsi a quest’ultima altrimenti la religione scomparirà. Senza acculturazione infatti non c’è ricezione e trasmissione della religione alle nuove generazioni.
Le religioni si esprimono in un quadro giuridico e politico. I musulmani devono sviluppare una teologia dell’alterità; si parte da una epistemologia della realtà e s’interrogano i testi fondativi, cioè il Corano e la tradizione. Se l’esegesi consiste nel comprendere il testo sacro nel contesto della sua rivelazione, l’ermeneutica applicata consiste nel comprendere il testo ora, qui.

L’Islam deve affrontare alcune questioni urgenti come il posto dell’altro in termini teologici e lo statuto dei non-musulmani, dobbiamo ripensare la dottrina della salvezza. Chi è il kāfir? Il miscredente è un infedele? L’Islam è nato in una logica di dominio, ma oggi deve integrare l’altro.
In qualità di pastore, mi occupo di acculturare i sermoni del venerdì, di insegnare l’Islam ai bambini e di diffondere la teologia dell’alterità e la teologia preventiva, per prevenire la radicalizzazione dei giovani tentati dalla pressione dell’esclusione sociale. Per riuscire in questa missione occorre integrare una serie di strumenti. L’imam perciò dev’essere prima di tutto un teologo capace di forgiare un discorso adatto alla realtà e alla sua comunità. Oggi siamo passati dalla configurazione di una comunità spirituale collettiva e fisica a una comunità spirituale connessa attraverso i social network. Quando l’imam parla nella sua moschea è in competizione con altri imam il cui discorso virtuale passa attraverso la rete.

Tareq Oubrou,
imam della Moschea di Bordeaux

28 novembre 2016

 

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