Sulla diversità delle religioni
I fatti scientifici, letterari, politici accaduti durante il secolo scorso, che ci precede ormai da 17 anni, sono di massima importanza. Ci fu una crisi politica ai suoi inizi poi superata positivamente. Ci fu nel costume della borghesia altolocata la Belle Epoque in tutta Europa. Ci fu la Prima e poi, dopo vent’anni, la Seconda guerra mondiale, con la nascita del fascismo e del nazismo che provocarono la guerra e poi la persero e caddero ideologicamente e fisicamente. Ci fu, esattamente un secolo fa, la Rivoluzione bolscevica con tutto quello che comportò in Russia, in Cina, in Vietnam e in tutto il mondo. Durò settant’anni, poi cadde anche quella.
Insomma il Novecento è stato un secolo lunghissimo e va studiato con estrema attenzione per quanto riguarda l’Italia, l’Europa, le Americhe, cioè l’Occidente che più da vicino ci riguarda, anche se ora ci troviamo di fronte a una società globale che coinvolge il mondo intero, a cominciare da quello tecnologico e a terminare con quello religioso. Il quale ultimo non è da sottovalutare. Anzi le religioni costituiscono un tema centrale della convivenza sociale e dell’organizzazione politica. Da soggetti residuali, quali erano considerate all’approssimarsi della secolarizzazione, sono ritornate a occupare lo spazio pubblico sollevando nuove e molteplici domande.
Oggi l’onda lunga della globalizzazione ha meticciato le culture imponendo una pluralità di poli. Parlare di religione significa affrontare la pluralità di differenti credenze, ciascuna portatrice di proprie storie, tradizioni e identità. La “diversità religiosa” modella sempre più le relazioni e le dinamiche dell’Occidente. Non a caso l’espressione “società post-secolare” entra sempre di più nei tratti caratteristici della contemporaneità, ma questa immagine va ancora tutta approfondita, descritta, regolata. Una conferma che il sacro non è facilmente emarginabile, o addirittura sopprimibile, come molto positivismo aveva pensato. L’emancipazione, la razionalità, la scienza non sostituiscono la fede, ma si integrano con essa perché la domanda di verità, di assoluto, di eterno non muore mai e diventa più acuta quanto più l’uomo progredisce.
Un mondo plurale per “diversità religiosa” solleva problemi teorici sulla natura della singola fede e sulla legittimità della pretesa di verità che ciascuna religione avanza rispetto alle altre; ma sollecita anche scelte pratiche a partire dalla convivenza nella stessa società. C’è poi il grande tema di come lo stato deve trattare una religione: quali libertà consentire, quali limiti imporre.
Dimensioni filosofiche e dimensioni politiche di questa complessa e sfaccettata problematica vanno trattate con chiarezza e profondità, senza tralasciare gli aspetti più propriamente teologici. Difatti l’uomo, con la sua ragione, è capace di conoscere Dio. E a causa dell’universale volontà salvifica di Dio egli è sotto la “sua” dinamica. Pertanto, sempre all’interno della storia dell’umanità vi è il “fenomeno religione” e le realtà relative devono inevitabilmente esprimersi in oggettivazioni a carattere sociale, anche se non sempre chiaramente distinguibili le une dalle altre.
Non essendoci un’autorità “religiosa” superiore, capace di distinguere costantemente e chiaramente per tutti tra il divino e l’umano e di radiare dalla religione individuale e sociale le espressioni depravate, ne segue che una purezza etica e dottrinale non può essere rinchiusa a priori in una religione al di fuori del cristianesimo, quale criterio necessario per considerarla in certo qual modo come legittimo mezzo di salvezza.
Poiché inoltre l’uomo, che è corporeo e sociale, può avere una religione concretamente sempre e soltanto in un'organizzazione istituzionale e sociale, ne consegue che non bisogna disconoscere a priori e in generale alle religioni non cristiane istituzionali il carattere di un mezzo di salvezza in un certo qual senso positivo. Altrimenti non si potrebbe parlare di una seria volontà salvifica di Dio per tutta l’umanità: queste religioni di fatto sono “una mescolanza” nei singoli casi difficilmente, oppure per nulla affatto superabile, di conoscenza di Dio naturale e razionale.
I rapporti di “mescolanza” sono naturalmente diversi nelle diverse religioni e hanno ognuno una sua storia. Con queste riflessioni non si è però voluto dire che ogni religione debba essere intesa di per sé come legittima. Infatti ogni uomo secondo la sua coscienza ha sempre avuto in una certa misura la possibilità di distinguere tra elementi buoni e cattivi, nella religione che gli era presentata dalla società, e in tal modo di aprirsi esistenzialmente al compimento e al superamento della religione che incontrava di fatto.
In conclusione, ritornando a esaminare più da vicino il problema come si manifesta in particolar modo nell’Occidente bisogna fare le seguenti considerazioni. Ciò che più preoccupa oggi è il fanatismo religioso con le sue derive fondamentaliste o sui modi impropri di far valere la propria pretesa di verità. Ciò non significa che possono venire trascurate o trattate sbrigativamente le domande poste dalle religioni. Occorre mettere soprattutto in guardia da un errore: classificare il fenomeno della “diversità” come un semplice “pluralismo religioso” in cui ogni credo è uguale all’altro, affermando una visione e un’interpretazione relativista della realtà.
Il “relativismo religioso” impedisce di cogliere le specificità di ciascuna fede e di stabilire priorità: aspetti cruciali quando arriva il momento delle scelte concrete che investono la convivenza sociale e lo spazio pubblico. Il relativismo rischia di banalizzare le religioni e di smarrire il corretto uso del “principio di tolleranza” (cf, Chiara Salerno, “Del velo e della tolleranza”, in L’Ospite, 10.4.2017).