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l'Ospite

Tra femminile e femminismo

Che cosa accadde quando le donne protestanti divennero bibliste? Scoprirono che i testi biblici che le avevano ridotte a essere il «sesso debole» o seduttrici erano letture falsate da culture antiche. Occorreva dunque, secondo quelle pioniere, «salvare la Bibbia» da simili chiusure. La ricerca biblica quindi è partita da un femminismo sociale per approdare poi a una teologia «femminile».

Che cosa accadde quando le donne protestanti divennero bibliste? Scoprirono che i testi biblici che le avevano ridotte a essere il «sesso debole» o seduttrici erano letture falsate da culture antiche. Occorreva dunque, secondo quelle pioniere, «salvare la Bibbia» da simili chiusure. La ricerca biblica quindi è partita da un femminismo sociale per approdare poi a una teologia «femminile».

Il contributo più importante delle donne protestanti, a partire dal xix secolo, fu la rilettura dei testi biblici tradizionalmente utilizzati per argomentare la sottomissione delle donne, con la prospettiva di una liberazione dagli stereotipi. Le sorelle Sarah e Angelina Grimké, quacchere americane, nel 1838 scrissero le Letters on the Equality of the Sexes invocando l’abolizione della schiavitù e i diritti delle donne. Elisabeth Cady Stanton, con un gruppo di venti donne, tra il 1895 e il 1898, pubblicò una “Bibbia della donna” (Woman’s Bible), selezionando i brani che riguardavano le donne con una valutazione molto critica.

Un ritratto di Elizabeth Cady Stanton

Furono poco seguite, persino dalle donne bibliste, ma la ribellione esigeva che si ritornasse ai testi con attenzione, a partire da studi di teologia e di ricerca biblica. Antoinette Brown, congregazionalista, fu nel 1847 una delle prime studentesse di teologia nell’Ohio. Analizzò le lettere paoline spiegando che gli eccessi condannati dall’apostolo al suo tempo non si potevano trasporre al xix secolo.

Quelle bibliste furono aiutate dall’esegesi storico-critica che si opponeva alle interpretazioni letterali, che imponevano loro ruoli rigidi nelle Chiese cui appartenevano. Questa esegesi non portò a una rivoluzione, ma piuttosto a una lenta fecondità. Se tra le due guerre mondiali l’inglese Margaret Brackenbury Crook, pastora unitaria, fu la prima donna ammessa in una società biblica, fu solo nel 1964 che decise di pubblicare il frutto della sua ricerca sulla situazione delle donne nel cristianesimo, dove dimostrava l’androcentrismo della teologia. Affermò però che la sua intenzione era solo documentaria.

Il femminismo avanzava nella società degli anni sessanta dello scorso secolo, ma non nella teologia, per lo meno in quella europea. La teologia protestante si accontentò d’interrogare gli stereotipi sessuali (Francine Dumas, L’autre semblable, 1967), l’antropologia (Kari Børresen, Subordination and Equivalence, 1968), la tradizione (France Quéré, La femme. Les grands textes des Pères de l’Ėglise, 1968), in una prospettiva “femminile”, volta a ricordare le qualità delle donne. La teologia protestante se ne sentì turbata, ma non messa in discussione. Saranno solo le bibliste femministe a pensare un vero progetto di liberazione... a partire dalla Bibbia!

Questa teologia moderata con il femminismo nella teologia infatti si evolveva verso riletture più esigenti. Le esegete femministe pretesero, come i riformatori delle origini, che la Bibbia fosse accessibile a tutti e non riservata all’élite (non più clericale ma dottorale!). Il fine era di ritrovare la potenza liberatrice dei testi biblici, a partire dai vangeli dove Gesù Cristo dà spazio alle donne. Quelle bibliste, che avevano imparato a leggere e a capire le sfumature delle lingue bibliche, aiutate dalle conoscenze dei processi culturali di produzione dei testi, scoprivano errori o falsificazioni nell’interpretazione. Molte di loro rileggevano anche con l’aiuto di prospettive psicanalitiche, letterarie o sceniche. Auspicavano vivamente una teologia non d’ufficio, ma una “teologia della cucina”, intrisa dell’esperienza e delle questioni pragmatiche delle donne portatrici di una “saggezza” diversa dalle speculazioni filosofiche e intellettuali. Fu subito evidente che non bastava riabilitare solo Eva, ma anche donne lasciate nell’ombra.

Rivisitarono i testi che servivano a giustificare il ruolo secondario della donna. L’importanza di Genesi 1, 27 — l’umanità creata «maschio e femmina», creata «a immagine di Dio» — era stata celata a vantaggio di Genesi 2, dove Eva, creata per seconda, è fatta per sottomettersi al marito come sua serva. Cosa ancor peggiore, con la «caduta» in Genesi 3 si rendeva Eva colpevole del primo peccato, e “la donna” peccatrice o seduttrice. Ebbene, constatarono che solo due piccoli brani nella Bibbia riprendevano il peccato di Eva. Uno era Siracide 25, 24 («Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo»), che non era fortunatamente un libro contenuto nelle bibbie protestanti. Ma l’altro, 1 Timoteo 2, 11-15, aveva fatto danni, pur essendo l’unico testo biblico che afferma una salvezza attraverso la maternità! Quelle esegete valorizzarono le figure di donne potenti o influenti come Miriam, Debora, Maria Maddalena, Lidia e altre, che relativizzavano la centralità di Maria madre e vergine.

Più difficile fu la rilettura delle lettere che avevano tanto segnato le Chiese della Riforma. Efesini 5, 21-24, Colossesi 3, 18-19, 1 Corinzi 11, 1-16, insistendo sulla necessaria sottomissione della donna all’uomo, poiché l’uomo è la testa (il capo) della donna come Cristo è la testa (il capo) della Chiesa, non erano stati letti secondo l’intenzione dei loro autori, che era stata quella di descrivere l’amore di Cristo per la Chiesa, bensì per giustificare la messa sotto tutela della donna. A tutt’oggi, queste interpretazioni sono ancora vive nelle Chiese protestanti fondamentaliste, mentre il testo mostra bene a che punto una conversione di mentalità sia necessaria agli uomini per “amare” le loro donne.

Le esegete dimostrarono che le lettere contenevano affermazioni forti, trascurate dalla tradizione, come Galati 3, 26-28: «Siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», testo interpretato in senso spirituale dai teologi, che gli attribuivano piena validità solo per il regno di Dio!

Le esegete più femministe mostrarono Dio come donna o madre: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49, 15). Il Signore è addirittura provvisto di un seno materno e allatta (Isaia 46, 3-4, Isaia 66, 12-13). In Giobbe (38, 8-9 e 28-29) la sua attività creatrice fa eco a una procreazione. È con totale fiducia che il salmista si riposa in Dio «come bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Salmi 131, 2). Mosè considera il Signore una madre (Numeri 11, 12) e ricorda al popolo: «La roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!» (Deuteronomio 32, 18). Dio viene paragonato anche ad animali femmine: l’aquila che veglia sui suoi piccoli (Deuteronomio 32, 11), li porta sulle sue ali (Esodo 19, 4), li protegge all’ombra delle sue ali (Salmi 17, 8; 57, 2 e 91, 4), e l’orsa che difende i propri figli (Osea 13, 8).

Hugues Merle (1822-1881) «Le orfanelle» (particolare)

L’esegeta femminista Helen Schüngel-Straumann analizza Osea 11 mostrando che l’apice della pericope (v. 9) è stato spesso attenuato dalla traduzione: «Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo (nel senso di maschio); sono il Santo in mezzo a te». A importargli non è fare giustizia, ma mantenere il rapporto con i suoi, e in ciò è parziale e incoerente. Per questo l’ultima possibilità che il profeta Osea intravede per il suo popolo sta nell’amore materno di Dio. Se i lati materni di Dio si trovano più frequentemente nella tradizione profetica, polemica riguardo alle dee, il messaggio è il seguente: perché avreste bisogno di una dea madre? Yahvè è addirittura più affidabile di una madre!

Elisabeth Schüssler-Fiorenza (In Memory of Her, 1984), ricercò le donne nella storia cristiana, non solo quelle degli Atti degli apostoli e degli scritti di Paolo, ma anche le martiri e le responsabili di comunità. Le traduzioni del Nuovo Testamento avevano permesso alla tradizione di minimizzare le loro responsabilità, come mostra Romani 16, 1, dove Febe viene chiamata “diaconessa” o “serva” a seconda delle traduzioni, mentre il termine utilizzato per il suo ministero è “diacono”... al maschile, il che lascia supporre che avesse un vero ministero! Romani 16, 7 menziona due “apostoli”, Andronico e Giunia. Essendo questi nomi in accusativo in greco, in francese al nominativo è stata aggiunta una s (Giunias), mentre si tratta di Giunia, una donna-apostolo!

Queste ricerche ovviamente interrogano le Chiese, soprattutto quando le esegete femministe fondano l’interpretazione su “l’esperienza delle donne”, che può far sì che il testo venga letto in funzione di ciò che vi si vuole trovare e che ci siano prestiti selettivi dalla Bibbia. Molte sono anche le esegete femministe che ritengono che altri scritti possano essere investiti della stessa autorità della Bibbia, soprattutto scritti di altre religioni o culture, il che riduce la Scrittura a un “prototipo”, a un modello per altre letture, e non ne fa un canone chiuso (Schüssler-Fiorenza). Ma queste scelte non sono più solo appannaggio delle donne e questi dibattiti sono condivisi anche da altri esegeti.

Le esegete hanno contribuito a un vero rinnovamento della lettura biblica e a una passione per la diversificazione dei metodi. Oggi questi studi sono condotti anche da donne bibliste del sud e l’esegesi delle donne sta recando frutti largamente adottati nella ricerca esegetica degli uomini. Tale ricerca, dall’inizio del xxi secolo, non è più appannaggio dei protestanti e prosegue in una emulazione interconfessionale, anzi interreligiosa.

L'Osservatore Romano, donne chiesa mondo - marzo 2017

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