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Il Regno delle Donne

Fare teologia insieme... donne comprese

L’Associazione teologica italiana, fondata nel 1967, conclude in questi giorni l’anno del cinquantenario incontrando papa Francesco al termine del XXVIII Corso di aggiornamento (Roma, 27-29 dicembre). Alcune note di Simona Segoloni Ruta sul ruolo fondamentale dell’ATI nella vita della Chiesa italiana.

L’Associazione teologica italiana (ATI) ha compiuto nel gennaio 2017 cinquant’anni anni di vita.[1] Provocata direttamente dal Concilio, nasce per l’urgenza di ripensare la teologia italiana, allora consegnata alla ripetizione dei manuali neoscolastici ed estranea al fermento di rinnovamento che aveva attraversato la teologia tedesca e quella francese, poi nutrimento dei testi conciliari.

Da una riunione informale di alcuni teologi importanti del panorama nostrano, svoltasi durante il Congresso sulla teologia conciliare tenutosi nel 1966, parte il progetto di un’associazione di teologi italiani poi costituita dopo il primo congresso a Napoli, nel gennaio 1967. Da quel momento il ritmo dei congressi, delle pubblicazioni, delle iniziative che hanno intrecciato la vita delle chiese italiane e delle istituzioni accademiche, non si è più fermato.

I teologi che hanno partecipato alla vita dell’ATI sono molti, diversi, e hanno potuto trovare un luogo di confronto e di crescita, che ha contribuito non poco a fare della teologia che parla italiano un pensiero senza complessi di inferiorità. Certamente una discreta fetta della teologia italiana post-conciliare è prodotta dall’ATI o vede come autori teologi che hanno partecipato attivamente alla sua vita o che ad essa sono debitori in modi diversi.

Donne, una presenza minimale ma benvoluta

I cinquanta anni di vita dell’ATI sono una buona occasione per riflettere anche sulla possibilità che l’ATI ha dato alle donne che volevano pensare la fede. Infatti se le donne hanno sempre pensato la propria fede e, quando ne hanno avuto i mezzi per gentile concessione del sistema, hanno espresso questo pensare in scritti e parole significativi, solo molto di recente hanno avuto accesso all’ambiente accademico.

Proprio per tale situazione, merita cenno il fatto che fin dal suo sorgere l’ATI abbia previsto la possibilità di iscrizione per i cultori di teologia che non insegnavano, specificando che potevano essere laici e quindi anche donne. Che alcune di esse abbiano approfittato è evidente nel fatto che, già nel 1969, Adriana Zarri fu eletta in Consiglio di presidenza, anche se poi bisognerà aspettare trent’anni per avere un’altra consigliera: Valeria Boldini (1999-2003). Da quel momento in poi la presenza femminile in Consiglio è stata costante con Serena Noceti, eletta nel 2003 e dal 2011 anche vicepresidente, alla quale è stata aggiunta nel 2015 la sottoscritta.

Certamente le statistiche sia per i membri del Consiglio che per i teologi chiamati a fare relazioni, come anche per le tematiche trattate, sono impietose: le donne sono una presenza minimale, ma, significativamente dato il contesto, sono una presenza e non solo tollerata, ma benvoluta.

Affinare il campo di ricerca sul genere

Ci si potrebbe chiedere a questo punto perché, se i teologi italiani sono stati da subito accoglienti con le loro colleghe, sia nell’ATI che nell’altra associazione sorta all’inizio degli anni 90, la Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) – che ha avuto persino due presidenti donne: Cettina Militello e Mary Melone – , si è sentito il bisogno di un’altra associazione connotata al femminile, il Coordinamento teologhe italiane (CTI), che si propone di promuovere le teologhe e di sviluppare la ricerca teologica in prospettiva di genere.

Forse è proprio in questa seconda finalità che trova senso una associazione specificamente indirizzata al femminile. Infatti se per promuovere la ricerca delle donne potrebbe bastare – anche se data la situazione di svantaggio non è così scontato – l’accoglienza che le associazioni hanno sempre fatto alle teologhe, sembra che per porre all’attenzione dei ricercatori la questione di genere sia necessaria una sensibilità particolare che ancora è scarsamente diffusa fra i teologi maschi.

Infatti nell’interpretare criticamente la tradizione cristiana – che è quanto si propongono i teologi – giungiamo a risultati dialettici e per discernere tra questi ciò che può ritenersi valido, è necessario affinare delle categorie per l’elaborazione delle quali l’esperienza del teologo o della teologa è fondamentale[2].

La categoria di genere, elaborata negli ambiti degli studi sulle donne permette di analizzare la tradizione cristiana anche sotto la prospettiva della differenza sessuale, prendendo in considerazione che la stessa parola non suona nello stesso modo per uomini e donne, perché li coglie in situazioni esistenziali e sociali diverse.

Nel dibattito teologico può accadere di sentir dire – o semplicemente di dare prova di tale pensiero non considerando significativo l’approccio in questione – che la prospettiva di genere non sia adeguata alla teologia, perché partirebbe non dai dati in cui ci viene trasmessa la rivelazione, ma dall’esperienza personale. Al contrario, se si guardano i risultati, è evidente che essa sia oramai indispensabile e che proprio l’esperienza personale ha permesso alle donne di affinare strumenti critici cui altri non potevano pensare perché dalla loro prospettiva non riuscivano a vederli.

E così, usando un paragone calcistico, le teologhe, costrette a correre sulla linea laterale, hanno cominciato a vedere quanti fuori-gioco c’erano nelle azioni della tradizione cristiana, mentre i teologi, esperti giocatori in campo, non riuscivano a vederli solo perché in posizione svantaggiosa. E così dall’ospitalità accogliente dell’ATI, si passa ad un protagonismo delle teologhe, senza le quali i teologi non potrebbero avere una prospettiva completa sulla propria tradizione.

Questo bisogno gli uni delle altre e l’evidente possibilità di tendere alla verità del Vangelo solo convenendo insieme è forse il bene più prezioso offerto dall’ultimo Concilio e l’ATI ne è stata promotrice fin dal primo momento, anzi è sorta proprio per fare teologia insieme, donne incluse.

 

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[1] Sulla storia dell’ATI: S. SEGOLONI RUTA, Tradurre il concilio in italiano. L’Associazione teologica italiana soggetto di recezione del Vaticano II, Glossa, Milano, 2013.

[2] Si può vedere su questo: B. LONERGAN, Il metodo in teologia, Queriniana, Brescia, 1985. In particolare si veda il capitolo dedicato alla quinta specializzazione funzionale (fondazione).

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