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Il Regno delle Donne

Unorthodox – Il coraggio di essere sé stesse

La storia di Esty, protagonista della serie tv prodotta da Netflix, parla anche di noi. In essa ritroviamo infatti quelle di tutte le donne che, lasciandosi alle spalle gli stretti destini femminili ricevuti alla nascita, sono andate e vanno alla ricerca della propria voce nel mondo e sul mondo. Un percorso difficile ma necessario.

Unorthodox, la nuova serie prodotta da Netflix, è una miniera di contenuti e suggestioni che apre una porta sul mondo degli ebrei Satmar, comunità ultraortodossa fondata da Yoel Teitelbaum (1887-1979), uno dei più feroci oppositori del sionismo. Il rabbino Teitelbaum lascia l’Ungheria nel 1946 e approda a New York insieme a un gruppetto di seguaci, per costituire una nuova comunità in una terra libera e riprendersi la vita dopo la tragedia della Shoah.

Si insediano a Williamsburg, Brooklyn, oggi quartiere hipster gremito di artisti, negozietti vintage, ristoranti alla moda e locali in cui ascoltare musica dal vivo. Attualmente sono 120.000 i membri residenti nello stato di New York, la maggior parte a Brooklyn, altri a Kyrias Joel.

Unorthodox ci porta in questo microcosmo, in una società saldamente radicata nella tradizione, in cui vige la legge della Torah, si parla yiddish, la vita è scandita dalle pratiche religiose e grazie al lavoro di abili matchmaker si possono fare buoni matrimoni, benedetti da una prole numerosa.

Le ragioni di un successo

Non intendo entrare nelle questioni relative alla produzione, per quanto interessanti, perché in rete è possibile trovare risposta a ogni genere di curiosità sugli attori, le location, i costumi (bellissimi!), le scelte linguistiche e artistiche. Si contano sulla punta delle dita le recensioni negative e credo che il punto interessante sia esattamente questo: come mai ha riscosso un così grande successo, come si diceva un tempo, di critica e di pubblico?

Perché è molto onesto e vero, e perché nonostante parli di un pezzetto di mondo poco conosciuto al di fuori dell’ambiente ebraico e di quello degli addetti ai lavori, i valori che presenta attraverso la figura della protagonista Esty sono universali.

Non è questo lo spazio per entrare nel complesso discorso del ruolo della donna nell’ebraismo e comunque non credo sia questo il punto della questione, perché è ovvio che una comunità singola non rappresenta – né mai potrebbe farlo – la storia e la fede di un popolo nel suo insieme. Come non credo sia giusto richiedere a una fiction di assolvere al ruolo di un documentario, per cui mi pare sterile l’indagine intrapresa da qualcuno per trovare le falle della serie. Chi volesse conoscere luci e ombre della società ultraortodossa può contare su una buona quantità di letteratura scientifica.

La bellezza di Unorthodox sta piuttosto nell’umanità dei suoi personaggi e nel fatto che, nonostante l’evidente criticità del tema, non si lascia mai andare a giudizi di alcun tipo, ma semplicemente mette in luce la complessità delle esistenze e delle relazioni. Con grande rispetto e, comunque, con buona veridicità nel ritrarre la comunità Satmar.

Esty fra due mondi

I personaggi principali, Esty e Yanki Shapiro, sono due giovani dall’aria un po’ infantile e poco esperti della vita, che si ritrovano a gestire un matrimonio carico di aspettative da parte della famiglia di lui, dalle sue sorelle prolifiche e da sua madre, una suocera assillante e onnipresente. Esty è diversa dalle sue coetanee, ama la musica, è taciturna e introversa e lentamente sviluppa insofferenza alle regole rigide. Cerca l’amore del marito, ma lui non sa corrispondere con altrettanto affetto. Esty sa di volere di più per sé e, aiutata dall’insegnante di pianoforte, trova il coraggio di lasciare quel mondo per andarsene in Europa, a Berlino, dove vive sua madre, da cui è stata lasciata quand’era bambina.

Berlino è l’antitesi di Williamsburg, è il luogo in cui ciascuno ha il diritto di essere sé stesso e di compiere anche scelte controcorrente, fuori da ogni regola. Dal punto di vista storico rappresenta il simbolo della distruzione portata dalla Seconda guerra mondiale, ma anche della capacità di ricostruire edifici ed esistenze. È la città che nei decenni ha accolto ondate di immigrati dalla Turchia, dalla Russia e in misura minore da molti altri paesi e da tutti si è lasciata plasmare.

Esty fa la conoscenza di un gruppo di studenti del Conservatorio e si inserisce tra loro con naturalezza, nonostante il suo abbigliamento consono alle regole della modestia stabilite dalla tradizione e la parrucca facciano a pugni con gli shorts e le chiome ribelli delle altre ragazze. O forse è proprio per questo che si sente a proprio agio, perché per la prima volta non è una diversa.

Si porta dietro i fantasmi dell’infanzia e le rigidità da cui poco alla volta cercherà di liberarsi, ma non accusa il mondo ultraortodosso e si limita a spiegare la sua fuga con un semplice “Non ero tagliata per quella vita”.

Su di lei pesa l’ombra della Shoah, un lutto ereditato e condiviso, a cui dà voce sulle rive del lago di Wannsee, durante una gita con gli amici. Di fronte a quella villa in cui il 20 gennaio 1942 fu decretata la soluzione Finale, si scandalizza: “Ma come? Fate il bagno nel luogo in cui fu deciso lo sterminio di milioni di ebrei?”.

Il suo interrogativo non è solo etico e morale, ma tocca le questioni importanti legate alla politica dei luoghi della memoria e al processo di rielaborazione storica compiuto dalla Germania dopo la guerra. Il ragazzo accanto a lei risponde con molta semplicità che lo stesso lago anni dopo ha anche visto la fuga e la morte di molti dissidenti della DDR.

Cercarsi, trovarsi

Esty trova il coraggio di entrare in acqua e proprio in quel luogo simbolo della storia, toglie la parrucca e l’abbandona, per poi immergersi come si fa nel mikveh, in una sorta di purificazione e di nuovo inizio.

Con grande fatica, un passo alla volta, ma sempre con tenacia e determinazione, da questo punto in poi compie passi importanti e supera anche l’incapacità fisica di avere un rapporto con un uomo. Quel dolore che le aveva impedito per molti mesi di adempiere ai doveri coniugali, sparisce nel momento in cui sente la reciprocità dell’attrazione con Robert. La consulente matrimoniale della comunità Satmar le aveva diagnosticato il vaginismo, facendola sentire inadeguata e impossibilitata a “servire da recipiente per il marito”. Berlino le libera l’anima e il corpo.

In città arriva anche Yanki, dopo aver saputo che in quell’unico rapporto doloroso a cui lei alla fine si era arresa, con indosso i vestiti, è stato concepito un figlio. Esty è incinta, deve tornare a Williamsburg. Yanki desidera una vita con lei e con il loro bimbo.

L’uomo sembra un bambino impaurito, suscita tenerezza; le vuole bene sul serio, le ha perfino comprato una collana, ma Esty ha intrapreso un cammino da cui non si torna indietro. Anche lei gli vuole bene e lo spettatore coglie il rimpianto per un legame che avrebbe potuto essere diverso.

L’ultimo episodio ci mostra la ragazza sul palco del Conservatorio, impegnata in un’audizione per ottenere una borsa di studio. E se a New York era stato il pianoforte a liberarla, a Berlino è il canto.

“È vietato ascoltare la voce della donna”, dice la tradizione rabbinica ebraica; la voce femminile, allora, diventa il simbolo di quella libertà che si ottiene solo con fatica e tanto coraggio.

Esty eleva la propria voce, come tante altre donne della storia ebraica, dalla Bibbia in poi, dimostrando che davvero “la voce è tutto”, come scrivevo un paio di anni fa nel mio libro sulle voci femminili del mondo ebraico.

Dopo essersi liberata di quelle regole che le stavano strette, Esty guarda con serenità al suo futuro, in cui le è consentito sentirsi donna a modo suo, nell’evoluzione del percorso che ciascuna di noi desidera e prova a compiere, a prescindere dalla società di appartenenza e dall’angolo di mondo in cui vive.

Commenti

  • 16/05/2020 Bruna Laudi

    Grazie Maria Teresa. Purtroppo non ho Netfix e ho solo sentito parlare di questa serie. La tua analisi mi ha riportato alla parte di famiglia ortodossa che abita in Israele, dove secondo me si agitano situazioni simili, ma nessuno ne parla. Sono curiosa di sapere come si evolveranno queste comunità in una società tanto complessa.

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