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25 novembre - Caro troglodita, ti svelo un segreto

Dalla differenza fisica fra donne e uomini al dominio degli uni sulle altre – e alla violenza che questo comporta – il passo è stato presentato come breve, anzi inevitabile. Invece è lunghissimo, perché fatto di cultura. E quindi è a partire dal piano culturale che è possibile, doveroso e umano cambiarlo.

 

Da dove nasce la violenza sulle donne?

Quale radice ha il sistema patriarcale che ha caratterizzato la storia del mondo e che tuttora lo pervade, anche nel cosiddetto Primo Mondo?

Sono domande che non hanno una risposta chiara e netta.

Molteplici gli intrecci tra fattori culturali, religiosi, politici.

A mio parere, non è possibile comunque prescindere da quelli che mi sembrano due presupposti naturali: la maggiore forza fisica dei maschi e il fatto che la generazione della prole sia legata al solo corpo della donna.

Questa situazione “di partenza” è ciò che la natura ci ha consegnato, una condizione – filosoficamente parlando – necessaria.

Contingente, invece, cioè storica, è la maniera con cui questi presupposti sono (stati) agiti, interpretati, vissuti.

Sembra “necessario”, ma non lo è

Di per sé, infatti, la maggior forza fisica dei maschi non implica – necessariamente – l’uso di questa come strumento di offesa, di dominio, di possesso, di controllo…

E il fatto che siano le donne a partorire non vuol dire – necessariamente – che esse, almeno per qualche mese prima e dopo il parto – dipendano da un uomo, che le sfami, le difenda, le chiuda in casa a occuparsi dei figli.

La storia sarebbe potuta andare diversamente e potrebbe andare diversamente.

Perché invece no?

Perché la possibilità di prevaricare fisicamente è diventata prevaricazione agita e addirittura legittimazione per una presunta superiorità valoriale dei maschi sulle femmine?

Perché la generazione dei figli ha ulteriormente connotato la donna come appartenente al “sesso debole”?

Non è facile rispondere, ma è questo slittamento dal dato di natura al piano delle scelte contingenti, cioè lo slittamento da una condizione naturale all’interpretazione che essa fondasse una legge di natura, che ha, per secoli, instaurato e reiterato il sistema che noi oggi chiamiamo patriarcato e che si fonda sull’assunto dell’inferiorità delle donne.

Un assunto, secondo il quale la donna prorio perché inferiore, deve essere guidata, controllata, protetta da chi le è superiore, il maschio (padre, marito, figlio adulto, ecc…), ed essergli sottomessa. La violenza nasce proprio in questo quadro culturale ed è funzionale al mantenimento di questo ordine simbolico. E ciò vale sia per la violenza fisica (le percosse, lo stupro, ecc…), sia per quella verbale (gli insulti, la svalutazione, l’umiliazione, ecc…), sia per quella psicologica (l’instillazione della paura, la minaccia, la vergogna, ecc…). Tanto che, nelle forme più “raffinate” di patriarcato, non serve più – agli uomini – nemmeno alzare le mani, non serve ormai nemmeno essere necessariamente più forti fisicamente.

Ciò è possibile perché da violenza personale (di una persona contro un’altra), questo modo di pensare, di pensarsi, di vivere e di essere è diventato sistema, si è istituzionalizzato, è diventato “normale”, ovvio, indiscutibile, irreformabile… “naturale”.

Si è, cioè attribuito, il carattere filosofico della necessità a un sistema che era, invece, un costrutto umano, culturale, contingente.

Questo è stato il grande inganno che la cultura greca, latina e cristiana hanno reiterato nel nostro occidente e che, nel resto del mondo, è stato ugualmente veicolato da altre civiltà e religioni.

Il fattore libertà

Si potrebbe obiettare: questa diffusione del sistema patriarcale non è forse la dimostrazione che non poteva non andare così? Cioè che necessariamente le cose dovessero andare così?

No! Perché – a meno di negare la libertà – è improprio attribuire il carattere della necessità alla storia umana, cioè al dipanarsi delle libertà nel tempo. Se l’essere umano è libero, allora le sue scelte non sono necessarie, obbligate, inevitabili.

Dunque, poteva andare diversamente, ma, soprattutto, può e potrà andare diversamente.

Come?

Beh, dato che il patriarcato è figlio di condizioni naturali di partenza e di un loro “uso” culturale, il problema si può affrontare o sul piano della natura o su quello della cultura.

Nel primo senso, bisognerebbe perseguire soluzioni che depotenzino la forza fisica dei maschi e che sleghino la generazione dal corpo delle donne.

Le ipotesi, in questa prospettiva potrebbero essere molte: far fare a tutte le donne corsi di autodifesa; costruire uteri artificiali; impedire che una donna resti sola con uno o più maschi; usare la genetica per “costruire” maschi meno forti; generare solo femmine; selezionare solo i maschi inoffensivi ed eliminare gli altri, in modo che le madri – per evitare che i loro figli vengano tolti di mezzo – li crescano inermi…

Si tratta evidentemente di uno scenario iperbolico, irrealistico e – a mio modo di vedere – spaventevole.

Ma – soprattutto – inutile: esistesse anche un mondo solo di donne, non si riproporrebbe la medesima dinamica della violenza della più forte sulla più debole?

Il problema, infatti, non è il dato di natura, ma l’interpretazione e l’uso di quella “condizione di partenza”.

Siamo onnivori, eppure non mangiamo i nostri animali domestici.

Non abbiamo le ali e tuttavia voliamo.

Abbiamo la lingua, ma ci laviamo con l’acqua.

Potremmo fare la pipì ovunque e invece andiamo in bagno.

Perché – allora – pur essendo tendenzialmente i maschi più forti delle femmine, non abbiamo ancora fatto quel salto culturale per cui le donne non si picchiano, non si stuprano, non si umiliano?

È sul piano della cultura che va condotta la battaglia.

Possiamo fare di meglio

Molto si è fatto e molto si sta facendo: indubbiamente le nuove generazioni sono più attrezzate di quelle passate e, dunque, speriamo che il futuro delinei uno scenario più confortante. Per ora, nel suo complesso, la situazione pare ancora molto critica: guardando solo alla punta dell’iceberg, dobbiamo rilevare, ad esempio, che in Italia, i femminicidi sono stati 92 nel 2019, 101 nel 2020, 103 nel 2021, con i dati ancora incompleti del 2022 che permangono in linea con quelli degli anni precedenti.

In ogni caso, credo che un aspetto su cui insistere sia quello di mostrare che come umani possiamo essere meglio di quello che siamo stati: c’è un salto evolutivo che culturalmente possiamo fare. Un salto che una parte della società ha già fatto e che, se dovessi tradurre in un appello, suonerebbe così: «Caro troglodita, ti svelo un segreto: nelle relazioni con le donne c’è molto di più di quello che hai vissuto finora».

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