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C’è un’etica nella matematica

Molte volte sono intervenuto sulle pagine di Moralia come esperto e docente di etica. In questo post vorrei però lasciar parlare un’altra parte di me: quella che da 35 anni insegna matematica (e anche fisica) nei licei. C’è un’etica associata all’insegnamento di discipline spesso a torto considerate soprattutto tecniche (e quindi – ancora a torto – meno rilevanti da un punto di vista morale)?

Etica dell’insegnare

C’è. In primo luogo un’etica dell’insegnare; un’etica del rapportarsi a giovani menti e a gruppi di giovani, talvolta curiosi, talvolta bisognosi di essere stimolati.

Un’etica che esige la tessitura di rapporti, l’attenzione per soggetti in formazione, per le loro passioni e per le loro fragilità, l’ascolto dei loro percorsi e delle loro incertezze, la comprensione delle differenze di sensibilità e di provenienze culturali.

Un’etica che chiede, d’altra parte, di saper comunicare passione per discipline in cui la soglia cognitiva – relativamente alta – non deve impedire l’accesso alla ricchezza intellettuale in esse celata.

Un’etica che invita ad adattare la didattica alla sensibilità, allo stile cognitivo e ai ritmi di ogni gruppo classe, perché tutti possano trovare la propria strada per scoprire saperi affascinanti, che altrimenti rischierebbero di essere percepiti come quasi occulti.

La sfida è quella di mostrare che fare matematica è bello; che è possibile anche per chi ritiene di non «essere portato»; che il mondo dei numeri non è meno abitabile e attraente di altri spazi culturali.

Del resto i contenuti che vi s’incontrano possono essere molto diversi e spaziare dai confini della filosofia fino all’apprendimento di strumenti molto tecnici, ma preziosi nell’interpretare i risultati di altre discipline. 

Vi sono in quest’ambito tecniche e tecnologie che possono essere d’aiuto, ma è soprattutto al docente che si chiede di coltivare personalmente competenza sui contenuti, efficacia comunicativa, duttilità nell’interazione didattica, e questo si apprende soprattutto con l’esperienza.

Il docente, del resto, sa di avere vinto almeno metà della sua scommessa quando una classe inizia a lavorare come gruppo, quando dinanzi a domande e a problemi inediti, posti magari occasionalmente e quasi per scherzo, le intuizioni degli uni interagiscono costruttivamente col rigore degli altri, per scoprire soluzioni che forse nessuno da solo troverebbe.

Il docente sa poi di aver vinto in gran parte la sua scommessa quando studenti e studentesse non chiedono più soltanto «come si fa? non ho capito...e domani c’è il compito», ma iniziano sempre più spesso a domandare anche «ma, allora, se è così, forse si può anche...?», mostrando di aver appreso il gusto della scoperta.

Il delicato compito di valutare

C’è anche un’etica del valutare le competenze e le capacità degli studenti, premiando le eccellenze, stimolando il miglioramento e sostenendo le fragilità.

La valutazione ha una forte valenza formativa: attraverso di essa studenti e studentesse possono riconoscere il cammino fatto e quello ancora da percorrere. Per questo deve essere onesta e talvolta anche esigente, senza peraltro trasformare il docente di matematica in un essere temibile: lo stile in classe deve essere quello della ricerca condivisa, magari talvolta in forme quasi ludiche.

L’etica applicata nasce sempre dalla percezione di problemi che sorgono in determinate aree, ma anche dal riconoscimento dei valori impliciti nelle relative pratiche. Portarli a parola – come ho cercato di fare in queste righe per l’insegnamento della matematica – è il primo passo per un agire coscientemente morale.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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