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La felicità o il bene? Il dilemma di Alice nella società complessa

La società complessa è segnata, lo sappiamo, dalla frantumazione del tessuto sociale, con l’emergere di gruppi differenti che ambiscono a precise garanzie e tutele dei propri interessi, ma in cui non sembra manifestarsi con chiarezza il contributo di ciascuno al bene collettivo.

Inoltre la pluralità dei sistemi sociali si coniuga non di rado con la percezione di una certa autoreferenzialità di ciascuno di essi. La più vistosa conseguenza in ambito etico è una comprensione solo marginale (o forse residuale) dell’etica come scienza del bene umano complessivo e l’emergere di etiche settoriali, con logiche discorsive ugualmente auto-referenziali, orientate prevalentemente in chiave pragmatica e impegnate a definire, attraverso procedure formali, regole strategiche di tipo immediatamente tecnico-operativo.

Ciò può essere inevitabile, come non mancava di notare il teologo morale Klaus Demmer, perché «quanto più è complessa la struttura di una singola società tanto più spezzata la prassi morale delle persone».

La complessità sociale e l’individuo

Il rapporto individuo/società non può essere affrontato solamente ridefinendo il sistema delle regole, ma nell’orizzonte antropologico del senso.

Nella società complessa il “sistema di relazioni” è il risultato di libere decisioni attuate dagli individui. L’indice della complessità segnala tuttavia, rispetto alla pluralità delle opportunità, piuttosto la superiorità del sistema rispetto alle capacità di conoscenza e di controllo da parte dell’individuo.

Inoltre l’orientamento allo scopo risulta prevalente rispetto alla riferibilità della qualità delle proprie azioni a un orizzonte condiviso di beni e di valori umani, affidando, più che alla riflessione etica, all’efficienza organizzativa e alla proliferazione del diritto la gestione della vita sociale.

Ciò rende arduo e inaggirabile, per la riflessione etica sociale cristianamente ispirata, il ripensamento di tale rapporto, certamente facendo tesoro dei “fondamentali” offerti dalla dottrina sociale della Chiesa, ma mantenendo la responsabilità di un pensiero in proprio, offrendo un più visibile contributo riflessivo alla società civile e alla stessa comunità ecclesiale.

L’individuo e la complessità sociale

Problematica risulta anche l’altra polarità, accanto alla società, costituita dall’individuo, il cui destino risente del processo di soggettivizzazione degli stili di vita. Le radici di esso affondano nella reazione alla cultura degli anni Sessanta del XX secolo, con l’enfasi sul pubblico che ha contraddistinto un tempo di forte spinta alla politicizzazione come chiave interpretativa dell’umano e del suo senso nella storia.

In positivo la cultura della soggettività ha reagito all’invadenza dei modelli di costruzione del sé improntati dall’egemonia del pubblico, ma anche da tutte le dinamiche omologanti concepite come limitazioni esterne alla libera espressione dell’io.

L’attuale enfasi sul soggetto antepone al problema dell’agire e del dovere la questione dell’identità, della ricerca di un’immagine di sé cui affidarsi e da tutelare da tutte le forme di interferenza esterna percepite come potenziali minacce alla propria autonomia.

L’inevitabile problema che si riversa sull’etica sarà pertanto quello di una sua comprensione minimale come “arte del vivere”. L’espressione è di per sé nobile e caratterizza un importante filone del pensiero occidentale, che si riallaccia direttamente al modello eudaimonistico della classicità, ma nell’attuale contesto appare modulata in una declinazione che, mettendo da parte ancora una volta la questione del bene, si ripiega al traguardo più modesto della strategia per assicurare il benessere e l’equilibrio psico-emotivo del soggetto.

Il sostegno antropologico di questo profilo del soggetto risiede nella dilatazione del desiderio in uno spazio, tuttavia, che resta interno all’io e che, nella relazione inter-personale, finisce per attirare l’interesse per l’altro ugualmente nel circuito del proprio sé. Così sulla base psicologica del desiderio soggettivo come radice di potere, cioè di disporre delle cose, delle relazioni, delle persone, delle possibilità di scelta, che non devono essere limitate, si salda anche l’emancipazione dalla tradizione e l’evanescenza del legame sociale, comprese come fastidiose interferenze sull’autonomia della persona.

Se lo sfondo della cultura ambiente testimonia il profondo potere e la sofisticazione della tecnica sulle coscienze, con il conseguente affanno di una cultura umanistica integrale, occorre parimenti una saggia capacità di concentrazione sull’essenziale, per individuare alcuni irrinunciabili punti di forza su cui far leva e dunque operare precise scelte di campo, più che coltivare l’illusione di voler agire su una prospettiva omnicomprensiva.

Anche questo risulta un compito irrinunciabile, prima che della prassi, per il pensiero, e in particolare per la riflessione teologico-morale, ponendo nuovamente al centro la questione del legame sociale non solo come problema di regole, ma come accesso alla comprensione condivisa dell’umano.

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