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Se l’io è in rivolta. Identità in cerca di riconoscimento

L’identità non sempre si configura come una realtà già data, ma come qualcosa che ha bisogno di essere continuamente costruita.

L’identità personale, come riconoscimento di sé stessi nell’avvicendarsi del tempo e delle esperienze, non è una condizione immutabile ma un processo in divenire, mai completamente compiuto e soggetto a ristrutturazioni; non è un bene già posseduto o un traguardo già raggiunto, ma un progetto da realizzare.

Infatti «l’identità, in senso proprio, si muove sull’orizzonte del “già” e del “non ancora” e, in quanto coscienza di sé, è da un lato ricupero del passato, e dall’altro apertura verso il futuro. L’identità personale insomma è quella di una storia, ma di una storia originale, unica nel suo genere, poiché unica, originale e insostituibile è la persona.

L’identità presenta nel corso dell’esistenza oscillazioni e adattamenti; la sua strutturazione inizia nell’infanzia e anche dopo l’età matura possono esserci crisi e regressioni».

L’identità come progetto da realizzare

L’identità, quindi, non sempre si configura come una realtà già data, ma come qualcosa che ha bisogno di essere continuamente costruita. Infatti nel corso della vita si sperimentano situazioni esistenziali particolarmente difficili o drammatiche che possono modificare in misura maggiore o minore l’identità, l’immagine di sé e l’autostima. 

L’identità, che ha un evidente fondamento biologico, si sviluppa anche mediante esperienze corporee, investimenti affettivi e riconoscimenti coscienti, a cui si sovrappongono modelli culturali elaborati dalla società. Pertanto vi sono vari fattori che entrano in gioco nella sua strutturazione.

Identità e alterità

L’identità è l’àncora di salvezza per la salute emozionale e un’equilibrata vita di relazione e si definisce, anche e soprattutto, in rapporto all’alterità. Infatti la persona si realizza primariamente nell’incontro con l’altro e questo incontro con l’altro è decisivo per la strutturazione della sua identità.

Il concetto che ognuno si fa di se stesso è, almeno in parte, dipendente dalla concezione che egli ritiene che gli altri si siano fatta di lui. 

Tale concezione è desunta dagli atteggiamenti che le persone hanno nei suoi confronti e dai giudizi che esprimono sul suo modo di essere e di comportarsi. Il senso di identità richiede una reciprocità psicosociale, un legame logico tra ciò che la persona ritiene di essere e ciò che, a suo parere, gli altri vedono e pensano di lui.

Lo sviluppo dell’io non è solo psico-organico, psicosessuale, affettivo, ma è anche psicosociale. Identità significa soprattutto benessere psicosociale. A tale proposito Erik H. Erikson afferma:

«Un senso ottimale d’identità, d’altra parte, si prova soltanto come senso di benessere psicosociale. I suoi più ovvii fattori concomitanti sono quello di sentirsi a posto nel proprio corpo, di sapere “dove si va” e di avere l’intima sicurezza di essere riconosciuti in avvenire da coloro che contano».

Pertanto non si può vivere bene senza essere riconosciuti, apprezzati, stimati, amati.

Il riconoscimento: un bisogno antropologico fondamentale

Il mutuo riconoscimento è una necessità di vita ed è alla base del rapporto sociale in quanto presupposto costitutivo della socialità.

Accanto a un’identità individuale e prodotta interiormente vi è anche un’identità derivante dal riconoscimento o non riconoscimento sociali. Ne segue che ogni volta che viene negato il legittimo riconoscimento sorge la conflittualità per affermare la propria identità, che si costruisce e definisce sulla base delle relazioni interpersonali.

Martin Luther King sosteneva che «una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato» e, potremmo aggiungere, riconosciuto e apprezzato come persona. 

Riconoscere significa accettare, confermare, approvare, valutare positivamente una persona riconoscendone le qualità. Il riconoscimento è espressione di amore e solo «chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano».

Purtroppo nella società odierna le relazioni intersoggettive sono diventate sempre più conflittuali e assistiamo a una lotta per il riconoscimento sociale e l’affermazione della propria identità e dignità personale. Troppo spesso l’abuso di potere da parte di alcuni, esercitato a vari livelli, ostacola il riconoscimento delle persone e la crescita del bene comune invece di incentivarli.

In conclusione il riconoscimento intersoggettivo è indispensabile per accrescere la fiducia e la stima in sé stessi, confermare la propria identità, considerarsi persona, sviluppare la propria personalità, crescere nella solidarietà e nella fraternità. 

 

Salvatore Cipressa è docente di Teologia morale all’Istituto teologico calabro di Catanzaro e all’Istituto superiore di scienze religiose metropolitano «Don Tonino Bello» di Lecce.

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