Dall’esperienza condivisa del processo sinodale «sta emergendo la consapevolezza di una nuova figura di Chiesa, in cui la sinodalità non è semplicemente un metodo, ma la sua essenza costitutiva, articolata e realizzata a diversi livelli della vita ecclesiale, organicamente collegati tra loro, con la missione come scopo». Questa figura di Chiesa rappresenta lo sviluppo dell’ecclesiologia conciliare delineata nel c. II della Lumen gentium, dedicato al «popolo di Dio». Il saggio che argomenta questo approfondimento dell’ecclesiologia sinodale è intitolato Un’«ulteriore recezione del concilio Vaticano II». L’emergere di una nuova figura di Chiesa nel corso del processo sinodale, è stato originariamente pubblicato in spagnolo su Cuadernos de estudio - Observatorio latinoamericano de la sinodalidad 3, agosto 2024, e ha come autore principale il teologo venezuelano Rafael Luciani e come coautore il brasiliano Agenor Brighenti.
«Possiamo dire che il Sinodo sulla sinodalità è stato un ambito in cui si è visto molto chiaramente l’emergere di questa esperienza di un’ Ecclesia tota, che s’intende come Chiesa di Chiese, articolata a vari livelli di azione sinodale».
Mi è stato chiesto d’offrire una riflessione sul ministero del prete come ministero di presidenza e per focalizzare meglio il tema parto da una frase di Gesù che non finisce mai d’inquietarmi benevolmente.
«Non dimentichiamo mai che si tratta sempre anche di noi, dei nostri valori europei, della democrazia, della libertà». Quest’anno il Premio Carlo Magno, riconoscimento assegnato ogni anno dalla città tedesca di Aachen, l’antica Aquisgrana, a personalità che si sono distinte per il loro impegno a favore della pace e dell’integrazione europee, è stato consegnato il 9 maggio al rabbino Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza rabbinica europea e già rabbino capo di Mosca, che nel 2022 ha lasciato la Russia per protesta contro l’aggressione dell’Ucraina.
Nel suo discorso Goldschmidt ha lanciato un accorato appello contro l’antisemitismo, che minaccia ancora oggi i valori europei, soprattutto dopo il pogrom jihadista del 7 ottobre 2023 e la violenta risposta bellica di Israele (cf. infografica a p. 376). «Gli ebrei non si fidano a farsi riconoscere come tali. Tolgono la mezuzah dagli stipiti delle porte, prenotano Uber e i servizi di consegna a domicilio con un nome diverso per paura della violenza. Non posso dirlo in altro modo: questa non è una vita in libertà». Ma «l’antisemitismo non è un problema degli ebrei. È un problema delle società in cui si diffonde. È un sismografo della loro situazione. L’estremismo di destra e di sinistra… non mettono in pericolo solo l’Europa ebraica, minacciano la sicurezza, la libertà e il futuro dell’Europa nel suo complesso».
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