A
Attualità
Attualità, 22/2008, 15/12/2008, pag. 794

Il senso del presente. Accettare sé stessi e accogliere la temporalità

P. Stefani
In una della pagine più antigiudaiche di Lutero si legge che di fronte all’ipotesi che Dio gli desse un messia simile a quello atteso dai giudei, egli avrebbe preferito essere una scrofa piuttosto che un essere umano. La frase, come spesso capita, viene ripetuta senza essere letta nel suo contesto. Se lo si facesse si avrebbe la conferma che i grandi sono tali anche nei loro errori. Il presupposto da cui parte il riformatore è che il Messia ebraico sia colui che riempie i suoi fedeli di beni e piaceri materiali. Anche se così fosse, graverebbe sempre sul nostro animo il pesante fardello della morte e, dopo di essa, la prospettiva, ancor più terrificante, dell’inferno e dell’ira di Dio. Ci si troverebbe, allora, in una situazione simile al caso prospettato dal tiranno Dionisio quando replicò a un tale che celebrava la sua attuale felicità, facendolo sedere a una tavola riccamente imbandita mentre aveva sopra il capo una spada sguainata appesa a un filo di seta e sotto di sé un cumulo di braci ardenti; l’ospite che si trovava in quella precaria situazione si sentì dire: «Mangia! Sii felice». Perché allora il maiale?

La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.

Leggi anche

Attualità, 2025-18

60 anni di dialogo ebraico-cristiano: l'unica radice

C.M. Rutishauser, P. Stefani

Il significato del rapporto ebraico-cristiano «non è dato da sé», ma è «costituito dal contesto sociale», soggetto a «forti cambiamenti», come quello rappresentato dal massacro compiuto da Hamas e da ciò che ne è seguito. Muove da questo presupposto il gesuita C.M. Rutishauser, che mette a fuoco tre snodi: la compresenza di due narrazioni secolari sulla colpa europea, quella della Shoah e quella del postcolonialismo; la rimessa in discussione del paradigma occidentale della secolarizzazione e il confronto mondiale tra forze liberaldemocratiche e forze identitarie di cui Israele sembra oggi il teatro; il compito attuale del dialogo ebraico-cristiano alla luce del legame storico e teologico tra ebraismo e cristianesimo. Un dialogo oggi urgente e allo stesso tempo in crisi, come afferma P. Stefani, rileggendo, nel 60° della sua promulgazione, la dichiarazione conciliare Nostra aetate. Essa è stata l’«inizio di una svolta» nei rapporti cattolico-ebraici e «foriera di grandi e tutt’altro che esaurite conseguenze». Cruciali tra di esse l’abbandono, tuttora incompiuto, della teologia della sostituzione e l’assenza, nel testo conciliare, del tema del rapporto della Chiesa con la terra d’Israele.

Attualità, 2015-2

Sogni e politica alimentare

Roosevelt e Giuseppe

P. Stefani
Ci sono vari modi per presentare i sogni del faraone interpretati da Giuseppe (cf. Gen 41,1-36). Uno di essi consiste nel parlare di sogni e politica. Nella tradizione politica più nobile risuona tuttora il detto che fu di Martin Luther King: «I have a dream». In qualche modo se ne avverte ancora l’eco; tuttavia, da qualche anno più conforme alla cronaca sarebbe piuttosto il ricorso al verbo «essere». A molti leader recenti o attuali ben s’attaglierebbe il detto: «I am a dream». Né l’una né l’altra formulazione sono, però, davvero confacenti a quanto avvenne nell’episodio di Giuseppe. Per qualificarlo, l’espressione migliore sarebbe: «L’interpretazione dei sogni e la politica».
Attualità, 2015-1

Italia - Dialogo ebraico-cristiano: Chiesa e Israele

Gli interrogativi teologici posti dal gruppo Teshuvah

P. Stefani
Da vari anni opera a Milano il gruppo interconfessionale Teshuvah. La parola in ebraico significa «ritorno, pentimento» (nell’ebraico contemporaneo anche «risposta»). La denominazione prospetta, accanto all’ascolto della tradizione ebraica, l’esigenza di un cammino di conversione inteso come «ritorno» a Dio, alle fonti bibliche e alle origini della tradizione cristiana. Questa prospettiva ha una propria peculiarità che caratterizza gli obiettivi del gruppo in modo differente da quelli delle esperienze di amicizia o di dialogo tra ebrei e cristiani.