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Attualità
Attualità, 14/2009, 15/07/2009, pag. 507

La narrazione. Due modi di raccontare la storia ebraica

P. Stefani
Nel libro del Deuteronomio vi è un passo famoso anche perché, in seguito, posto al centro della cena pasquale ebraica (seder). Esso, fin da epoca antica, fu diversamente inteso. La sua peculiarità più stringente è di concentrare in poche righe tutta la storia del popolo d’Israele. Per questo, secondo un’autorevole teologia biblica in auge qualche tempo addietro (cf. G. von Rad), il brano era considerato esempio per antonomasia di «piccolo credo storico». Prima di trascriverlo, conviene compiere un cenno sulla sua ambientazione letteraria.

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Roosevelt e Giuseppe

P. Stefani
Ci sono vari modi per presentare i sogni del faraone interpretati da Giuseppe (cf. Gen 41,1-36). Uno di essi consiste nel parlare di sogni e politica. Nella tradizione politica più nobile risuona tuttora il detto che fu di Martin Luther King: «I have a dream». In qualche modo se ne avverte ancora l’eco; tuttavia, da qualche anno più conforme alla cronaca sarebbe piuttosto il ricorso al verbo «essere». A molti leader recenti o attuali ben s’attaglierebbe il detto: «I am a dream». Né l’una né l’altra formulazione sono, però, davvero confacenti a quanto avvenne nell’episodio di Giuseppe. Per qualificarlo, l’espressione migliore sarebbe: «L’interpretazione dei sogni e la politica».
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P. Stefani
Da vari anni opera a Milano il gruppo interconfessionale Teshuvah. La parola in ebraico significa «ritorno, pentimento» (nell’ebraico contemporaneo anche «risposta»). La denominazione prospetta, accanto all’ascolto della tradizione ebraica, l’esigenza di un cammino di conversione inteso come «ritorno» a Dio, alle fonti bibliche e alle origini della tradizione cristiana. Questa prospettiva ha una propria peculiarità che caratterizza gli obiettivi del gruppo in modo differente da quelli delle esperienze di amicizia o di dialogo tra ebrei e cristiani.
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P. Stefani
Vi è una percezione sufficientemente diffusa in base alla quale, dopo la morte delle grandi e terribili ideologie che hanno insanguinato buona parte del secolo XX, le religioni abbiano trovato un terreno più fertile per giocare un ruolo nella sfera pubblica. L’espressione ormai storica di «rivincita di Dio» indica in modo efficace questa precomprensione. In realtà il discorso è più articolato di quanto non presupponga questo schema. Le religioni, infatti, hanno assunto il posto delle ideologie nella misura in cui esse stesse si sono ideologizzate. Inoltre, siccome fa parte costitutiva dell’apparato ideologico contrapporsi a posizioni giudicate antitetiche, le religioni ideologiche vivono solo nella misura in cui sono nelle condizioni di entrare in polemica, verbale o fattuale, con gli avversari.