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Attualità
Attualità, 16/2010, 15/09/2010, pag. 579

L'etica dei visitatori. Essere malati esige che vi sia al fianco uno che ti sorregge

P. Stefani
A volte sono in luoghi periferici o addirittura in vecchie ville isolate; altre volte sono agli angoli delle nostre strade in vecchi palazzi riadattati. È dato passarvi sotto anche più volte al giorno. Si conoscono persino i loro nomi, in certi casi inconsapevolmente beffardi: «Anni verdi», «Il focolare», addirittura «Paradiso»… In fondo, però, ciò vale, in nuce, anche per il loro nome comune: «casa di riposo». Nonostante la vicinanza, restano «mondi altri», almeno fino a quando non si ci si trova nelle circostanze di andarvi a trovare qualcuno. Tuttavia, a ora incerta, si è pure assaliti dal pensiero, per lo più presto allontanato, di dover finire lì i propri giorni. Allora si è, non di rado, di fronte a dei «mai» riferiti a sé, ma anche ai propri cari, che restano tali fino a quando quei luoghi non risolvono un problema del quale non sapremmo, altrimenti, come venire a capo. A questa forma consolidata nel tempo, in anni più recenti, se ne sono aggiunte altre. Per alcune di esse non si è osato trovare un termine italiano: è il caso dell’hospice. Qui i nomi sono più diretti: non si riesce troppo a fingere. Spesso si tratta di un nome e di un cognome: tutto lascia credere che siano quelli di una persona che ha preceduto gli «ospiti» sulla stessa via; ora sono i suoi parenti che, per ricordarlo, cercano di rendere meno aspre le sofferenze altrui.

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