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Attualità
Attualità, 12/2018, 15/06/2018, pag. 383

Con atti e con parole

Indagine sulla comunicazione di Francesco

Luigi Accattoli

L’uso di parabole narrate e vissute è un aspetto creativo della comunicazione di Francesco che ho segnalato in questa rubrica nei mesi di novembre 2017, marzo e aprile 2018. Ora tiro le fila interrogando parabole vissute (il papa che indossa il giubbetto salvagente di una bambina morta in mare, l’incontro con un trans a Santa Marta e altre) che Francesco stesso interpreta volgendole in parabole narrate.

 

L’uso di parabole narrate e vissute è un aspetto creativo della comunicazione di Francesco che ho segnalato in questa rubrica nei mesi di novembre 2017, marzo e aprile 2018. Ora tiro le fila interrogando parabole vissute (il papa che indossa il giubbetto salvagente di una bambina morta in mare, l’incontro con un trans a Santa Marta e altre) che Francesco stesso interpreta volgendole in parabole narrate.

L’intenzione è di provocare a un accostamento critico, cioè attrezzato, della predicazione kerigmatica bergogliana che la polemica quotidiana appiattisce sugli aspetti conflittuali distraendo dall’intenzione prima, che è evangelica, ovvero di richiamo all’insegnamento di Gesù sia quanto ai contenuti sia quanto al modo della loro trasmissione.

Il buon pastore non conosce i guanti

Abbozzo un elenco di parabole vissute, o di loro tipologie, mirando a quelle che lo stesso Francesco ha «spiegato» in parole. Poi azzardo un’interpretazione del metodo del papa gesuita che privilegia la comunicazione immaginativa e lo fa seguendo l’insegnamento degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola.

Chiede preghiera in silenzio su di sé e in silenzio benedice i giornalisti: avviene appena eletto e poi in tante occasioni nelle quali dice a gruppi e folle: «Ora preghiamo in silenzio col cuore».

Il Giovedì santo lava i piedi a donne e musulmani e da quella pratica trae un criterio di riforma del rito «in modo che (…) i pastori possano scegliere i partecipanti tra tutti i membri del popolo di Dio» (20 dicembre 2014; Regno-doc. 3,2016,80). Ma la parabola gestuale è andata oltre e vi ha incluso i non cristiani.

Evita i pranzi di rappresentanza e mangia con chi non conta: con gli ospiti delle mense Caritas ad Assisi, Firenze, Genova; con i carcerati a Napoli e a Milano. Una volta in Vaticano, pranza con i dipendenti. A Bologna partecipa alla tavolata dei poveri in San Petronio.

Abbraccia una persona colpita dal morbo di Recklinghausen (6 novembre 2013), lebbrosi e simili: anche questo in più occasioni e luoghi. «Il buon pastore non conosce i guanti», dice ai preti il 3 giugno 2016.

Invita a colazione alcuni senza tetto per il proprio compleanno e ne chiama una folla a visitare la Sistina (26 marzo 2015). Prega con loro il Padre nostro e dice: «Ho bisogno della preghiera di persone come voi».

Battezza la bambina di una coppia sposata civilmente (12 gennaio 2014): ed è parabola vissuta che completa le parabole narrate che dedica alle «dogane pastorali» imposte a chi vive in situazione irregolare.

Telefona a Pannella che sta digiunando per le carceri (25 aprile 2014). Chiama Emma Bonino malata di tumore (1° maggio 2015), la riceve, l’invita a un evento vaticano di promozione della pace. Con tali gesti sollecita i cattolici a realizzare con i non credenti una «prossimità» favorevole alla testimonianza evangelica (cf. EG 255-258: EV 29/2362-2365).

Sosta in silenzio alla barriera di cemento che separa Israele e Palestina, abbraccia un amico ebreo e uno musulmano davanti al Muro del pianto, a Yad Vashem bacia le mani ai sopravvissuti della Shoah (26 maggio 2014).

Chiede la benedizione a Bartolomeo inchinandosi davanti a lui e Bartolomeo risponde baciandolo sulla testa (29 novembre 2014). Rinuncia cioè alla rivendicazione della precedenza, dando gestuale attuazione all’impegno appena annunciato in vista dell’unione: «La Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune» (Regno-doc. 21, 2014, 672).

Con l’imam sulla papamobile

Accoglie a Santa Marta con la fidanzata un trans «che era una lei e ora è un lui» (24 gennaio 2015): è l’applicazione simbolica e insieme fattuale del paradigma «integrare tutti» che troverà formulazione compiuta nel paragrafo 297 di Amoris laetitia (cf. Regno-doc. 5,2016,192).

A Gyumri, in Armenia, il 25 giugno 2016 scende dall’aereo fianco a fianco con il catholicos Karekin II «come si addice a due fratelli»: così dirà ad Andrea Tornielli nell’intervista d’introduzione al volume Francesco in viaggio (Piemme, Milano 2017), aggiungendo: «A volte i gesti dicono più di tante parole».

In due occasioni natalizie chiede perdono ai dipendenti per gli scandali vaticani e una volta lo chiede all’udienza generale (14 ottobre 2015). Un inveramento evangelico del titolo di «servo dei servi» rivendicato a volte dai papi come argomento di precedenza su altri «servi».

A Nairobi invita i giovani a prendersi per mano come gesto contro il tribalismo (27 novembre 2015). Visita la moschea di Bangui che raggiunge avendo come ospite l’imam sulla papamobile (29 novembre 2015).

A Ciudad Juárez in Messico celebra a 80 metri dalla barriera che chiude gli USA ai migranti (17 febbraio 2016). Porta con sé da Lesbo in Vaticano 12 profughi musulmani (16 aprile 2016): sette mesi prima aveva chiesto alle parrocchie d’Europa di accogliere ognuna un rifugiato.

Perché questi spretati sono guardati con disprezzo

Mostra ai piccoli del Treno dei bambini un giubbetto salvagente che era stato di una bambina morta in mare (28 maggio 2016) e successivamente l’indossa sulla veste bianca nel corso di una riunione della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per lo sviluppo umano integrale («Il pontefice che veste i panni dei migranti», in Il fatto quotidiano, 13 aprile 2018).

Incontra in una comunità romana 20 donne liberate dal racket e chiede loro perdono «per tutti quei cattolici e credenti che hanno partecipato a questo mercato» (12 agosto 2016).

Con il primate anglicano Welby benedice al Celio 17 coppie di vescovi anglicani e cattolici di tutto il mondo per esortarli a collaborare tra loro mandandoli «avanti a due a due come il Signore inviò i settantadue discepoli» (5 ottobre 2016).

Incontra in un appartamento romano un gruppo di preti che hanno lasciato il ministero e si sono sposati (11 novembre 2016) e lo fa «perché questi spretati sono guardati con disprezzo», dirà a p. 59 del volume intervista con Dominique Wolton, Dio è un poeta (Rizzoli, Milano 2018).

Confessa e si confessa in San Pietro nelle celebrazioni penitenziali della quaresima. «Il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio», dice il 2 giugno 2016 al Giubileo dei sacerdoti.

A questo tema del confessore che si confessa risponde bene un’altra parabola, che non è sua ma di Giovanni Paolo II e che lui ha fatto propria e narrata in almeno due occasioni: intervistato dal giornale milanese Scarp de’ tenis (28 febbraio 2017) e da Wolton nel volume citato Dio è un poeta (p. 121).

La riassumo usando le parole di Francesco. In piazza Risorgimento c’era un senzatetto polacco spesso ubriaco che raccontava di essere stato compagno di seminario del papa e di avere poi «lasciato» per una donna. Gli fanno fare una doccia e lo portano dal papa. S’abbracciano. Giovanni Paolo gli dice: confessami. Io? Te ne do licenza. Si inginocchia e dopo: ora confessati tu da me. Quell’uomo è diventato cappellano in ospedale e ha trascorso il resto della vita facendo del bene.

Non mi basta parlare devo fare qualcosa

Sulla base di questa rassegna – che potrebbe essere più ampia – azzardo una descrizione sommaria del genere comunicativo della «parabola vissuta» che Francesco viene proponendo. Essa ha tre note principali: si tratta di un atto con una sua concretezza e novità, che ha come protagonista il papa in persona, svolto o narrato con finalità d’insegnamento. Con l’intento, appunto, della parabola: sia che il papa quell’intento lo espliciti, sia che esso resti affidato all’interpretazione del riguardante.

Quasi sempre – come ho segnalato negli esempi addotti – l’interpretazione sorge dall’atto o, addirittura, è l’idea già espressa a generare l’atto. «In alcune circostanze non posso parlare senza gesti. Non mi basta leggere un testo, devo anche fare qualcosa» ha detto Francesco ad Andrea Tornielli nella citata intervista del volume Francesco in viaggio.

Potremmo concludere che una parabola vissuta è un atto che veicola un insegnamento più complesso della sua significanza immediata. Provo a precisare questa prevalenza del significato sul significante in riferimento a due delle parabole fattuali richiamate sopra: il trans ricevuto a Santa Marta e l’incontro con un gruppo di preti che hanno lasciato il ministero.

Immediatamente i due atti dicono misericordia verso gli irregolari o i feriti della vita. Ma se ne svolgi un’ermeneutica compiuta trovi che alludono a possibili cambiamenti del diritto e della prassi, o a una nuova interpretazione degli stessi. E qui l’interpretazione della parabola è destinata a restare aperta, proprio come succede con le parabole di Gesù.

Con parole e gesti contundenti

I trans che si sposano sono oggi nell’ordinamento canonico quello che erano gli eunuchi nel giudaismo del tempo di Gesù: ma il diacono Filippo battezza l’eunuco incontrato sulla via di Gaza superando quell’esclusione. Ed ecco Francesco che con la sua parabola fattuale ci provoca a guardare oltre l’ordinamento.

Lo stesso vale per i preti sposati: incontrandoli, il papa spinge a immaginare una qualche forma di loro rientro nella «conversazione» ecclesiale. Parlando il 19 febbraio 2015 al clero di Roma così aveva risposto a una domanda di don Giovanni Cereti: «Non so se il problema che poni [del recupero pastorale dei preti che hanno lasciato il ministero e si sono sposati; nda] sarà risolto e non so neanche se potrà essere risolto, ma esso è nella mia agenda».

Francesco ha detto una volta che Gesù insegnava con «parole e gesti contundenti» (26 aprile 2018). Anche i suoi lo sono. L’insegnamento in parabole scuote, apre a interrogazioni. E capita che il papa si ritrovi a spiegarle agli uditori che a sera l’interrogano. Come faceva il rabbi di Galilea.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Francesco
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