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Attualità
Attualità, 20/2021, 15/11/2021, pag. 639

Cattocomunista

Guido Miglioli: il mito, l’ideologia e la storia

Daniele Menozzi

La possibilità per i credenti di una contemporanea adesione a comunismo e cattolicesimo – che già aveva animato discussioni politico-culturali nel corso della prima metà del Novecento – ha acquisito particolare rilievo nella stagione postconciliare. Nel dibattito pesavano le censure romane. Nell’enciclica Divini redemptoris del 1937, Pio XI era giunto a proclamare il comunismo «intrinsecamente perverso». 

La possibilità per i credenti di una contemporanea adesione a comunismo e cattolicesimo – che già aveva animato discussioni politico-culturali nel corso della prima metà del Novecento – ha acquisito particolare rilievo nella stagione postconciliare. Nel dibattito pesavano le censure romane. Nell’enciclica Divini redemptoris del 1937, Pio XI era giunto a proclamare il comunismo «intrinsecamente perverso». Non scioglieva il nodo la decisione della maggioranza dei padri al Vaticano II d’evitare un formale ribadimento della condanna. Ma tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta un evento imprevisto – il crollo del sistema sovietico – finiva per togliere attualità alla questione.

Il tema è però riemerso recentemente, in occasione di alcune prese di posizione di papa Francesco. A più riprese, fin dall’inizio del pontificato, Bergoglio ha dovuto infatti esplicitare le ragioni per cui era infondato l’epiteto di «papa comunista» che ambienti cattolici conservatori e tradizionalisti gli affibbiavano. L’obiettivo che costoro si proponevano era evidente: condizionare la spinta riformistica del pontefice. Ma nella battaglia mediatica che ne è seguita l’aspetto propagandistico ha sovrastato una trattazione ragionata e approfondita dell’argomento.

Un libro da poco uscito consente di ritornarci sopra con la serietà che merita (C. Baldoli, Bolscevismo bianco. Guido Miglioli fra Cremona e l’Europa. 1879-1954, Morcelliana, Brescia 2021, pp. 365, € 28,00). Lo ha scritto Claudia Baldoli. Conseguito nel 2002 il dottorato al Department of International History della London School of Economics e condotti diversi anni di ricerca all’estero, insegna ora Storia contemporanea all’Università di Milano.

Le leghe bianche

L’autrice aveva già dedicato alcuni saggi alla storia di Cremona nei primi decenni del Novecento, concentrandosi su due figure che ne avevano caratterizzato le vicende: il socialista riformista Leonida Bissolati e il leader dello squadrismo fascista Roberto Farinacci. Aveva in particolare rilevato che, se dopo la Grande guerra le loro strade si erano divise, dall’inizio del secondo decennio del secolo alla conclusione del conflitto essi avevano condiviso sul periodico La Squilla un acceso anticlericalismo, un nazionalismo vagamente mazziniano e un interventismo colonialista e bellicista nel quadro di una rilettura positivista del marxismo.

In quegli stessi anni a questi orientamenti si era profilata un’alternativa cattolica, che aveva riscosso ampi consensi tra i contadini dell’Alto cremonese, dove i salariati fissi erano di gran lunga prevalenti su avventizi e braccianti. Ne era stato espressione il giornale L’azione, fondato nel 1904, diventato quotidiano nel 1913 e soppresso dai fascisti nel 1922. Vi collaboravano personaggi di rilievo del movimento cattolico lombardo: Giuseppe Speranzini, Romano Cocchi, Giuseppe Cappi. Ma la figura più importante era senza dubbio il fondatore del periodico, Guido Miglioli. Con la sua monografia Baldoli intende ripercorrerne il complessivo itinerario politico-culturale.

Nato nel 1879, figlio di un proprietario terriero, Miglioli si laurea brillantemente a Parma prima in Lettere poi in Giurisprudenza. Abbandona, dopo un soggiorno di studio in Germania, l’idea della carriera accademica, cui sembrava destinato, per dedicarsi alla pratica legale a Cremona. Frequenta allora i circoli della sinistra radicale, ma rapidamente s’allontana da questi ambienti. S’impegna infatti nell’organizzazione delle leghe sindacali bianche in nome di un’istanza di giustizia sociale basata su una religiosità cristiana che per tutta la vita attribuirà all’insegnamento materno.

Grazie ai consistenti miglioramenti ottenuti nei patti colonici – per certi aspetti più vantaggiosi di quelli negoziati dalle leghe rosse –, ma anche in virtù di una personalità che tutte le testimonianze definiscono carismatica, ottiene una notevole popolarità, che ha immediate ricadute politiche. Viene infatti eletto alla Camera nella tornata elettorale del 1913, la prima a suffragio universale maschile, nel collegio di Soresina con la maggioranza assoluta dei voti. Sarà trionfalmente rieletto nel 1919 nelle liste del Partito popolare, che però non lo ricandida nel 1924.

Il gruppo dirigente, che ha rigettato la sua proposta di generalizzare l’alleanza sindacale tra leghe bianche e rosse che aveva realizzato a Cremona, lo ritiene ormai estraneo alla sua linea. In seguito a un’intervista a L’Unità, rilasciata nel dicembre 1924, in cui sosteneva la necessità di un’azione comune tra cattolici, socialisti e comunisti per opporsi al fascismo, viene espulso dal Partito popolare.

Naturalmente Miglioli aveva già attirato l’attenzione degli studi. Era stato in particolare Franco Leonori, suo segretario nel secondo dopoguerra, a promuovere a partire dal 1969 la pubblicazione di alcune opere che ne ricostruivano l’itinerario e le concezioni. Aveva poi richiamato l’interesse di alcuni studiosi il suo costante riferimento all’istanza evangelica della pace davanti ai conflitti cui aveva assistito: lo testimoniavano l’opposizione alla guerra italo-turca del 1911-1912; il fermo neutralismo del 1914; il voto contrario – unico deputato cattolico a farlo – ai crediti di guerra nel 1915; il convinto sostegno alla nota di Benedetto XV dell’agosto 1917; il richiamo alla guerra come «inutile strage» anche dopo la fine della conflagrazione; la denuncia dell’aggressione imperialista all’Etiopia; la costruzione nel 1948 del Movimento cristiano per la pace.

Affascinato dall’URSS

Questi lavori risentivano però di un limite. L’inaccessibilità degli archivi dell’URSS rendeva difficile determinare con la necessaria precisione le vicende di Miglioli tra le due guerre. Il suo avvicinamento al comunismo era iniziato nel primo dopoguerra. Nel luglio 1919 aveva fatto aderire le leghe bianche da lui guidate allo «sciopero internazionalista» per protestare contro le misure adottate dalle potenze vincitrici ai danni della rivoluzione russa. Apprezzato da Gramsci su L’Ordine nuovo per la sua attività sindacale, aveva trovato attenti interlocutori nell’Associazione per la difesa dei contadini guidata dai comunisti Ruggero Grieco e Giuseppe Di Vittorio.

Nel 1926, per sfuggire alle violenze squadristiche di cui era già stato più volte vittima, era espatriato clandestinamente grazie all’aiuto di una filiera di parroci che dalla Lombardia alla Svizzera si sottraevano alle disposizioni della Segreteria di stato relative al divieto per il clero d’intrattenere un qualsiasi contatto con chi intendeva uscire dall’Italia. Aveva così cominciato una vita raminga, partecipando tra Parigi, Bruxelles, Berlino alle organizzazioni degli esuli antifascisti, ma intrecciando sempre più strette relazioni con gli esponenti del Partito comunista d’Italia.

Nella prospettiva di saldare il mondo contadino con la lotta rivoluzionaria degli operai Grieco lo aveva fatto invitare a Mosca per un viaggio di studio sulle realizzazioni sovietiche in ambito rurale. Miglioli aveva così avviato la collaborazione con l’Internazionale. I suoi dirigenti avevano ben capito i vantaggi di un’attività propagandistica a favore dell’URSS da parte di un personaggio, che, pur senza mai rinunciare a proclamare pubblicamente la sua identità cattolica, sosteneva che gli obiettivi a lungo perseguiti nelle lotte delle leghe bianche nel Cremonese, e stroncati dall’avvento del regime fascista, erano effettivamente conseguiti dalla rivoluzione sovietica attraverso la nazionalizzazione delle terre.

Si poteva certo supporre che la rappresentazione di Miglioli come agente sovietico o addirittura doppiogiochista tra Mosca e il Vaticano – emergente dalle carte dell’OVRA, ma anche della polizia francese – fosse una tipica deformazione di fonti di per sé scarsamente attendibili. In effetti spie del regime erano costantemente presenti tra le persone che l’esule frequentava e delle quali si fidava al punto di affidare loro la corrispondenza da recapitare in Italia. I documenti moscoviti ora confermano che i finanziamenti ricevuti dall’URSS non riguardavano lo svolgimento di servizi informativi, bensì le sue attività editoriali e organizzative.

Ma, più che comprovare quanto era prevedibile, alle carte russe si chiedeva di chiarire aspetti poco noti della biografia di Miglioli: i suoi viaggi a Mosca e quelli in Spagna durante la guerra civile; i rapporti con il Krestintern – l’organizzazione contadina dell’Internazionale comunista attiva dal 1923 al 1939 – in cui egli ebbe un ruolo tutt’altro che secondario; le attività di organismi, come l’Istituto agrario internazionale e poi il Comitato agrario europeo, che lo videro protagonista di rilievo; il grado di autonomia che nelle varie attività aveva mantenuto nei confronti della dirigenza sovietica.

Baldoli ha risposto a questi interrogativi, aggiungendo alla consultazione dell’Archivio russo di storia socio-politica l’esame di una serie di altri archivi – italiani, vaticani, francesi, tedeschi – che, assieme a un’ampia esplorazione delle fonti a stampa, consentono per la prima volta una fondata visione d’assieme della vicenda biografica del personaggio. Non si può con ciò dire che l’indagine storiografica sia conclusa.

Un archivio frammentato

Al di là del fatto che le carte personali – depositate a Milano presso l’Archivio per la Storia del movimento sociale cattolico in Italia – non sono complete, perché Miglioli per ben due volte ha dovuto distruggere il suo archivio, in modo da evitare che cadesse nelle mani prima dei fascisti e poi dei nazisti, la sua peregrinazione in diversi paesi europei ha disperso la documentazione che lo riguarda in depositi di tutto il continente il cui elenco occorre ancora stabilire.

Inoltre il libro non fa riferimento all’archivio diocesano di Cremona. I rapporti intrattenuti da Miglioli con ordinari del calibro di Bonomelli e Cazzani rendono ovviamente di grande interesse l’esame dei fondi qui conservati. Si può presumere che i limiti posti alla consultazione non fossero ancora rimossi al momento in cui Baldoli ha condotte le sue ricerche, dal momento che sembra attestarne l’attuale apertura una recente pubblicazione delle lettere intercorse tra Cazzani e Farinacci in merito alle leggi razziali.

Comunque l’investigazione documentaria è larghissima e transnazionale. Proprio l’ampiezza della raccolta induce talvolta l’autrice a indugiare sulla presentazione del contesto. Si tratta di una linea espositiva che ha l’indubbio merito d’arricchire la ricostruzione con utili informazioni e opportune riflessioni; ma lascia talora il lettore nell’attesa di uno scavo più analitico e profondo sulle convinzioni del personaggio. Certo non è possibile allo storico, come nota giustamente Baldoli, cogliere i moti intimi dell’animo, ma le scritture, private e pubbliche, possono, se adeguatamente spremute, rivelare gli schemi mentali che spiegano comportamenti e rappresentazioni.

A questo primo limite del libro, se ne può aggiungere un secondo: i molti refusi. Non si tratta solo di un aspetto formale. In qualche caso, fortunatamente rarissimo, l’errore di battitura rende oscura la frase. Tuttavia, al di là di questi aspetti, in fondo minori, il volume raggiunge il suo obiettivo. Siamo davanti a un solido, importante e ben documentato contributo alla conoscenza di un personaggio su cui ancora gravano distorsioni e manipolazioni. Si può davvero dire che realizza il passaggio dal mito alla storia nella conoscenza della figura di Miglioli.

Per fare un esempio, si può ricordare la lucida ricostruzione dei suoi rapporti con Farinacci nel periodo della Seconda guerra mondiale. L’analisi mette in luce che all’intervento del potente gerarca, sollecitato da una lettera dell’esule, si deve con ogni probabilità il suo rientro in Italia. Arrestato a Parigi dagli occupanti nazisti e destinato all’internamento in Germania viene invece inviato al confino di Lipari. Ai buoni uffici presso il governo fascista della Segreteria di stato e di esponenti della gerarchia episcopale, messi in moto da familiari e sacerdoti amici, si può poi far risalire la successiva collocazione in sedi di confino meno disagevoli.

Le lettere indirizzate a Farinacci testimoniano indubbiamente lo sforzo di Miglioli di presentare alcune delle sue attività sotto una luce gradita all’avversario politico di un tempo: insistono infatti sul suo amore per la nazione italiana. Un sentimento davvero improbabile per un convinto internazionalista, che, eventualmente, collocava la sua patria a Roma e a Mosca, come recita il titolo del suo più famoso libro. Non manifestano però, contrariamente a quanto talora la storiografia ha asserito, alcun cedimento all’ideologia nazi-fascista.

Il comprensibile tentativo di sopravvivere non comporta insomma un’acquiescenza a infiltrazioni della cultura politica dei governanti nelle sue convinzioni cristiane. A queste si può anche ricondurre lo svolgimento per conto del Comitato di liberazione nazionale della trattativa, risultata peraltro vana, sulla resa del gerarca alla vigilia del 25 aprile 1945.

Bolscevismo bianco e pensiero sociale cristiano

Ma il più significativo apporto conoscitivo del volume consiste nel chiarimento degli effettivi contenuti di quella definizione di «bolscevismo bianco» che gli avversari hanno attribuito alle concezioni di Miglioli per tutta la vita e che, a quanto pare, lui stesso non ha giudicato una qualificazione inappropriata. Il personaggio non ha mai svolto una trattazione articolata dell’argomento e il suo linguaggio, spesso allusivo e simbolico, non ne facilita l’analisi. Si può però cercare di comprendere la sua posizione, partendo da una frase presente nella prefazione a uno dei più importanti lavori in cui egli esaltava l’esperimento sociale avviato dalla rivoluzione russa nel mondo contadino, Le village soviétique, uscito a Parigi nel 1927 al ritorno da un viaggio a Mosca: «Je ne suis ni communiste, ni socialiste. J’ai été formé à l’école sociale chrétienne».

Miglioli non vedeva insomma alcuna contraddizione tra comunismo e dottrina sociale cattolica. La composizione dei due orientamenti si trova in un insieme di convinzioni che era venuto via via sedimentando. Inizialmente persuaso che il messaggio evangelico – individuato nell’uguaglianza e fratellanza di tutti gli uomini, conseguenza della comune paternità divina – si sarebbe concretamente realizzato attraverso il conseguimento da parte dei contadini poveri di una sufficiente disponibilità di beni materiali, aveva ben presto compreso che la sua effettiva attuazione non poteva verificarsi attraverso meri miglioramenti economici strappati con le lotte sindacali. Solamente l’accesso alla proprietà terriera poteva garantire ai miseri lavoratori dei campi quella dignità che il Vangelo postula per tutti.

Il lodo Bianchi – la sentenza della commissione arbitrale che nell’agosto 1921 aveva posto fine a nove mesi di agitazione nelle campagne cremonesi – aveva fatto cessare l’occupazione delle terre da parte dei contadini, ponendo termine ai consigli di cascina, con cui i salariati avevano assunto in prima persona la direzione delle aziende. In cambio, aveva però loro concesso spazi di cogestione nell’amministrazione delle proprietà agricole. Secondo Miglioli era l’inizio della riforma agraria da lui auspicata. Ma i proprietari ne avevano disatteso l’applicazione e, per impedirne l’esecuzione sancita anche da una sentenza della magistratura, si erano alleati con il movimento fascista che, attraverso la violenza, aveva riportato i lavoratori alle misere condizioni antecedenti alle conquiste sindacali del periodo pre-bellico.

La lotta di classe era dunque una realtà che non si poteva ignorare. Su questo sfondo acquisiva, ai suoi occhi, straordinario rilievo l’esperienza sovietica. Qui la nazionalizzazione delle terre mostrava che la rivoluzione bolscevica aveva raggiunto l’obiettivo di garantire ai contadini una gestione amministrativa dei lavori agricoli in grado di assicurare loro il raggiungimento dell’obiettivo in cui Miglioli vedeva la traduzione mondana dei suoi convincimenti religiosi: l’uguale dignità di tutti gli uomini.

Ci si può naturalmente interrogare sulla fondatezza di questa concezione. Da un lato il magistero pontificio, da Pio IX a Pio XI, aveva regolarmente espresso una pubblica condanna del comunismo; dall’altro il governo di Mosca aveva messo in atto pratiche anticlericali e antireligiose.

Tuttavia, agli occhi dell’esule, questi dati di fatto non costituivano ostacoli insormontabili. Riteneva infatti che l’autorità ecclesiastica fosse cosa diversa dal cristianesimo evangelico: in particolare leggeva nelle scelte favorevoli al fascismo di Pio XI, culminate nei Patti lateranensi, la tendenza a piegare la religione agli interessi di classe degli agrari. Inoltre, pur giudicando erronea l’opposizione al cristianesimo del gruppo dirigente sovietico, poteva ragionevolmente supporre che, sul lungo periodo, la loro politica portasse a quell’emancipazione dei contadini che realizzava valori cristiani.

«Più che compagni noi siam fratelli»

Sono valutazioni che, pur non esenti da semplificazioni, non sono prive, nel contesto in cui vennero formulate, di qualche fondamento storico. Ma ciò non toglie che il giudizio generale di Miglioli sulla rivoluzione sovietica sia stato espresso senza tener conto di elementari avvertenze critiche. Altri esuli – in particolare Gaetano Salvemini – lo avevano richiamato a porre attenzione sulla debolezza della sua valutazione dell’URSS. Le visite compiute nelle campagne russe erano organizzate dall’apparato amministrativo sovietico e dunque non potevano condurre a un esame obiettivo della realtà della nazionalizzazione delle terre.

Inoltre i documenti su cui Miglioli conduceva i suoi studi gli venivano consegnati in traduzione, dal momento che non aveva alcuna conoscenza della lingua russa: come poteva immaginare di svolgerne un’analisi corretta?

Ciononostante l’esule continuò a scorgere nel mondo sovietico quello che desiderava scorgervi: una redenzione mondana dei contadini poveri attraverso cui si giungeva ad adempiere un nucleo costitutivo del messaggio evangelico. Il persistere di questa illusione spiega atteggiamenti sulla politica dell’URSS che oggi possono apparire sorprendenti: dai silenzi sulle purghe staliniane all’esaltazione del patto Molotov-Ribbentrop; dalla giustificazione dell’occupazione della Polonia e della Finlandia da parte dell’armata rossa al vagheggiamento di una politica agraria comune a tutti gli stati totalitari. Tuttavia Miglioli si mostra in grado di sganciare i suoi riferimenti ideali dal soggetto politico a cui ne aveva affidato la realizzazione.

Nel dopoguerra italiano, dopo aver declinato l’invito a entrare nel Movimento dei socialisti cristiani di Gerardo Bruni e dopo che viene respinta la sua domanda di iscrizione alla Democrazia cristiana, partecipa nelle fila del Fronte popolare alle elezioni del 1948. Ma il Partito comunista non fa confluire preferenze sul suo nome. Miglioli si impegna allora nella costruzione di un sindacato contadino. Il programma fa perno sul suo precedente progetto di riforma agraria: la compartecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda in vista d’acquisire la proprietà delle terre.

Cerca di coinvolgere in questa iniziativa l’amico Grieco, ma senza successo: il Partito comunista punta non all’elevazione del contadino a proprietario, ma alla trasformazione delle masse rurali in salariati dipendenti in modo da saldarli agli operai nel blocco sociale dei proletari che porterà al socialismo. La rottura politica è inevitabile. Non infrange l’amicizia con Grieco, che infatti celebra la figura di Miglioli dopo la scomparsa nel 1954, ma la divergenza con il PCI e i suoi dirigenti diventa insanabile. Miglioli fonda allora un suo movimento «Avanguardia cristiana», cui partecipano figure, come Primo Mazzolari, che contribuiranno a elaborare nei decenni seguenti la memoria mitica del personaggio.

Nell’inno del movimento, Bandiera bianca, che recupera le note di Bandiera rossa, si legge: «Vogliam lavoro, vogliam la terra, e senza guerra si vincerà, più che compagni noi siam fratelli, perché del Cristo è il nostro amor».

È una sintetica, ma esemplare, testimonianza di un interprete significativo di uno dei grandi schemi culturali che hanno attraversato il Novecento: la convinzione dell’esistenza di un soggetto politico in grado di trasformare in concreta organizzazione della vita collettiva un ideale politico-religioso s’accompagna alla carenza di categorie analitiche in ordine alla distinzione dei diversi e complessi intrecci che legano il cristianesimo con la storia, l’ideologia e l’utopia.

 

Daniele Menozzi

Tipo Libri del mese
Tema Cultura e società
Area
Nazioni

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