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Attualità, 12/2025, 15/06/2025, pag. 323

Chiesa cattolica - Violenze e abusi: no alle indagini-elemosina

Peter Beer, Hans Zollner SI

È quasi intollerabile e anche di più il fatto che alle vittime di abusi sessuali vengano elargite elemosine da parte dell’istituzione in cui hanno subito l’abuso e la loro sofferenza non sia stata presa sul serio per molto tempo, e che queste elemosine vengano anche presentate come prova dell’integrità morale della Chiesa.

L’elemosina è una cosa buona in sé, anzi è molto più che buona. È un dovere cristiano che permette alla fede di diventare concreta nel servizio agli altri in quanto seguaci di Gesù. La fede senza l’elemosina è come un’opzione astratta per interpretare l’esistenza e il mondo senza conseguenze pratiche. Una fede priva di forza e vigore.

I credenti che fanno l’elemosina ai più poveri e ai più deboli, alle persone svantaggiate e trascurate nei più diversi contesti di vita, possono riposare ogni giorno con la coscienza pulita e un senso di gratificazione. Hanno fatto la propria parte per rendere il mondo un posto migliore. E in effetti, senza la carità, molti finirebbero abbandonati nella rete dell’assistenza sociale.

Dunque va tutto bene, non è vero?

Non proprio, almeno non per coloro che devono vivere di carità.

Per loro, l’elemosina è sempre un promemoria del fatto che dipendono dalla buona volontà degli altri. Ricevere l’elemosina infatti e la sua misura sono determinati a completa discrezione di chi la compie. Questo rapporto unilaterale tra chi fa l’elemosina e chi la riceve non è privo di conseguenze per quest’ultimo. La sensazione di sicurezza, il senso del proprio valore e le possibilità di libera autodeterminazione, la fiducia in se stessi ne risentono. Nonostante tutti gli aspetti positivi dell’elemosina come aiuto in caso di un’emergenza assoluta, essa può anche avere un effetto umiliante.

A maggior ragione questo vale per coloro che sono stati colpiti da abusi sessuali avvenuti in ambienti ecclesiastici. È quasi intollerabile e anche di più il fatto che alle vittime di abusi sessuali vengano elargite elemosine da parte dell’istituzione in cui hanno subito l’abuso e la loro sofferenza non sia stata presa sul serio per molto tempo, e che queste elemosine vengano anche presentate come prova dell’integrità morale della Chiesa.

Qui c’è qualcosa di gravemente sbagliato. L’istituzione, che condivide la responsabilità del fatto che qualcuno sia dipendente dall’elemosina, presenta come un nobile segno della propria magnanimità l’elargizione di elemosine a queste persone. Tuttavia, bisogna fare chiaramente la seguente affermazione: le vittime di abusi sessuali hanno dei diritti e la Chiesa ha il dovere di soddisfarli.

Non si tratta di generosità, la cui entità e portata viene definita e autodeterminata, ma di un’umile presa d’atto dei propri obblighi di fronte a chiare esigenze e necessità. L’elemosina nel senso sopra descritto può facilmente mascherare questo fatto. E di qui non è poi così lontana la critica, giustificata, secondo cui tali elemosine hanno il solo scopo di far tacere le persone, nella speranza che la tempesta d’indignazione nei confronti della Chiesa nel contesto degli abusi si plachi col tempo e che ci si possa così risparmiare l’arduo percorso di una seria confessione di colpa e della relativa espiazione, pentimento e conversione/riforma.

In un vicolo cieco

Quando si parla di queste elargizioni, che possono dare l’impressione di avere come unico scopo quello di tranquillizzare le persone colpite e l’opinione pubblica, spesso si pensa subito a quegli esborsi finanziari, spesso irrisori, che rappresentano il riconoscimento dell’ingiustizia subita attraverso l’abuso o che sono intesi come risarcimenti o riparazioni per i danni (conseguenti) causati dall’abuso.

Ma questo non è l’unico problema. C’è anche la questione dei rapporti e delle indagini avviati e commissionati dalla Chiesa sugli abusi che si sono verificati nella propria area di responsabilità. Questi rapporti possono liberare le persone colpite dall’abuso causato dall’isolamento e dalla solitudine, in quanto inscrivono l’esperienza diretta dell’abuso in un contesto di reato e chiariscono la portata dell’abuso. Ciò oggettiva l’abuso e rende più facile la comunicazione per le persone colpite, cosa che a sua volta contribuisce a formare un’opinione pubblica adeguata.

Con questi rapporti e le responsabilità in essi descritte, il dolore causato dall’abuso subito trova un destinatario; non rimane come un sentimento di base permanente, per tutta la vita, diffuso nelle persone colpite nell’anonimo groviglio organizzativo e giurisdizionale delle strutture ecclesiastiche.

In definitiva, questo significa anche prendere sul serio e valorizzare ogni singola persona colpita da abuso. Non si tratta semplicemente di dare risonanza tra le mura ecclesiastiche alle loro esperienze e ai sentimenti che ne derivano, ma di riconoscere chiaramente alcuni fatti: «La tua sofferenza è reale»; «La tua sofferenza è anche colpa nostra»; «La tua sofferenza e il modo in cui la affrontiamo è anche responsabilità nostra».

Le indagini e i rapporti possono rappresentare tutto questo, anche se non è detto che lo facciano automaticamente. Per poterlo fare davvero, devono soddisfare determinati criteri. In caso contrario, le indagini e i rapporti rimangono semplici elargizioni nel senso peggiore del termine.

Le «indagini-elemosina» hanno spesso delle caratteristiche simili, che possono essere classificate in base a 1)ambito d’applicazione, 2)lasso di tempo, 3)prospettiva, 4)metodo, 5)recezione e 6)oggetto.

Ambito d’applicazione. L’ambito d’applicazione dell’indagine per quanto riguarda le unità organizzative e strutturali (ad esempio le diocesi) incluse nel rapporto è così elevato o così ampio e vasto in termini di numero, dimensioni e diversità che il rapporto stesso presenta inevitabilmente un grado di astrazione molto elevato. I casi concreti, le persone concrete, le persone colpite così come i colpevoli e gli insabbiatori non possono essere identificati in nessun modo, così che anche le responsabilità, le connessioni, i fattori d’influenza ecc. rimangono nebulosi. Questo è uno dei motivi per cui non si possono trarre conclusioni concrete da questo tipo di indagini.

Lasso di tempo. Il lasso di tempo coperto dall’indagine sembra essere stabilito in modo arbitrario, il che solleva la domanda sulle motivazioni di tale procedura. Sorge il sospetto che si voglia proteggere qualcuno, sia esso un presunto autore di abusi o un insabbiatore di casi di abuso non meno importante, semplicemente non includendolo nel periodo di indagine scelto. Un’altra possibile ipotesi è che si voglia ridurre al minimo il numero di casi di abuso.

Prospettiva. La prospettiva rispetto al periodo scelto per l’indagine è già molto ristretta fin dall’inizio a causa della teoria del singolo colpevole. La colpa e la responsabilità degli abusi che si sono verificati vengono analizzate esclusivamente rispetto agli autori. I fattori contestuali e istituzionali di influenza e impatto sono deliberatamente ignorati.

Metodo. L’indagine stessa è condotta internamente come un «lavoro chiuso» eseguito da dipendenti della Chiesa animati da buone intenzioni. Essi procedono in gran parte passivamente e si limitano più o meno a una pura analisi dei documenti esistenti prodotti dalla Chiesa stessa per quanto riguarda il metodo di ricerca.

Recezione. Si tenta di mantenere la recezione del rapporto di ricerca il più possibile limitata e controllata. Per questo motivo, è sufficiente una breve presentazione dei numeri dei casi, in qualsiasi modo siano stati ottenuti, con la vaga convinzione che tutto migliorerà in futuro perché – come dimostra il rapporto stesso – c’è tanta buona volontà. La questione può quindi considerarsi chiusa.

Oggetto. L’oggetto dello studio si concentra sul presente e sulle misure attualmente adottate contro gli abusi e sulla loro presunta efficacia. Le misure preventive standardizzate diventano una sorta di polo attrattivo che piace a tutti. Logicamente, il numero di casi di abuso portati alla ribalta in questo contesto rimane relativamente basso. Molti altri casi rimangono nell’ombra della storia e alcune delle persone colpite da abusi ancora in vita non riceveranno mai giustizia.

Alcuni criteri di riferimento

I rapporti e le indagini che non vogliono dare l’impressione d’essere una forma di elemosina hanno bisogno di un ambito che trovi il giusto equilibrio tra prospettive micro e macro, tra concretezza e generalizzazione. È importante evitare gli estremi del troppo vicino e del troppo lontano, del troppo ristretto e del troppo distante, che contribuiscono all’irriconoscibilità dell’oggetto d’indagine e quindi impediscono approfondimenti, processi d’apprendimento e cambiamenti effettivi nell’ambito della Chiesa in termini di protezione delle persone vulnerabili.

Solo se ci si riesce a riconoscere nell’indagine e nel rapporto d’indagine basato su di essa, ad esempio come diocesi, come comunità religiosa, ci si renderà conto che si è parte in causa e destinatari. Solo se si riuscirà a riconoscere il numero e quindi la diffusione degli abusi, ci si renderà conto d’essere messi in discussione sia come istituzione sia come comunità.

In parole povere, un periodo d’indagine sufficientemente lungo, che permetta d’evidenziare sviluppi e connessioni, non è orientato solo all’anno ecclesiastico. Deve piuttosto partire da periodi significativi di eventi e azioni che vanno fino ai giorni nostri. Si tratta di eventi ecclesiastici significativi come la fondazione di una diocesi (si veda, ad esempio, il caso di Bolzano-Bressanone; cf. Regno-att. 10,2025,265) o la fine della guerra nel 1945, nonché la fondazione della Repubblica, che hanno avuto un impatto significativo sulla Chiesa anche come grandi eventi sociali.

A chi critica la scelta di periodi così lunghi, a chi sostiene che i colpevoli sono morti da tempo e che qualsiasi tipo di processo è inutile, bisogna sempre rispondere con un fatto. Può essere vero che i colpevoli sono morti da tempo, ma le loro vittime sono ancora vive. Esse hanno il diritto di vedere riconosciuta la loro sofferenza.

Le indagini e i rapporti che possono essere qualificati adeguati e sufficienti tengono conto del fatto che il singolo autore di reato ha sempre commesso i suoi reati in un ambito sociale. Per non trascurare questo aspetto ed escludere prematuramente le responsabilità, è necessaria una visione sistemica del contesto in cui s’inseriscono l’autore e il reato.

C’è la comunità parrocchiale che sospettava qualcosa ma ha preferito voltarsi dall’altra parte invece di fare domande e prestare attenzione. C’è il superiore che si è limitato a trasferire il sacerdote colpevole o un altro colpevole, invece di dargli una punizione, una terapia, una cura, una supervisione (o altro) appropriata, e non ha rivolto la sua attenzione alle vittime. C’è il curriculum che può fornire informazioni su come il candidato al sacerdozio è stato selezionato, formato, seguito o meno.

Affinché l’indagine e il rapporto non degenerino in un compiacimento acritico, la partecipazione e il coinvolgimento di esperti esterni è essenziale quando si conduce uno studio e si prepara il relativo rapporto. Ciò non significa che le competenze e le esperienze interne alla Chiesa debbano essere completamente abbandonate, ma richiedono un inquadramento, un sostegno e un monitoraggio da parte di soggetti esterni.

L’interazione tra investigatori e reporter esterni e interni, ecclesiali e non, aumenta l’accettazione dell’indagine e del rapporto all’interno e la necessaria trasparenza all’esterno. Gli specialisti e gli esperti esterni e interni sono entrambi assolutamente dipendenti dalla voce delle persone colpite da abuso. La loro voce autentica non può essere sostituita e deve essere ottenuta contattando attivamente le persone colpite. Senza la partecipazione attiva delle persone coinvolte, l’indagine e il rapporto rimarranno frammentari.

Un’indagine e un rapporto che finiscono, per così dire, in un cassetto si fanno beffe del loro nome. L’indagine e il rapporto sono solo un primo passo che deve essere seguito da altri. Il rapporto non deve solo contenere una descrizione e un’analisi di ciò che è accaduto, ma anche raccomandazioni per i possibili miglioramenti e i cambiamenti necessari per proteggere le persone vulnerabili.

Senza la volontà di trasformare una situazione ecclesiale che evidentemente non ha potuto o forse non riesce ancora a gestire in modo appropriato i casi di abuso, si può parlare non solo di indagini e rapporti-elemosina ma anche di indagini e rapporti falsi.

Se c’è una reale volontà di cambiare, una volontà di trasformare la realtà ecclesiale, lo si vede anche dalla presenza di una comunicazione sull’indagine e sul rapporto che sia degna di questo nome. Ciò significa fornire informazioni continue sull’impiego del rapporto, far capire al pubblico quali conclusioni ne sono state tratte, quali ulteriori passi si stanno compiendo sulla base di esso e quale obiettivo prospettico se ne potrebbe trarre.

Senza verità non c’è giustizia, che a sua volta è il prerequisito per un’autentica misericordia. Guardare al passato in termini di casi di abuso e di come sono stati affrontati serve a questa finalità principale. Tuttavia, dobbiamo anche guardare al presente per mettere in pratica ciò che abbiamo imparato dal passato e, in vista del futuro, fare tutto il possibile per ridurre al minimo il rischio di diventare vittime di abusi.

L’indagine e il rapporto come sguardo al passato costituiscono la base per poter agire in modo appropriato nel presente e nel futuro. Il presente e il futuro restano sempre delle sfide.

Decisioni e segni profetici

In definitiva, i rapporti e le indagini in questione riguardano essenzialmente la credibilità della Chiesa. Se la Chiesa s’accontenta di indagini e rapporti elemosina o – peggio ancora – se ha intenzione di farlo, allora la credibilità della Chiesa sarà definitivamente finita, visti gli abusi avvenuti nella sua area di responsabilità. Se invece la Chiesa riuscirà a costringersi ad avviare rapporti e indagini realistici e accurati, allora le cose andranno diversamente.

Tali rapporti «autentici» nel senso appena descritto inviano un chiaro segnale che le persone che commissionano questi rapporti, i cui risultati riguardano loro stessi e le loro istituzioni, non rifuggono dal confrontarsi con i propri lati oscuri per il bene della verità. La verità viene posta al di sopra della propria reputazione e di quella della propria istituzione, in modo che le vittime di abusi sessuali possano davvero ricevere giustizia su questa base.

Inoltre, si chiarisce che non ci sono due pesi e due misure. Con le denunce «genuine», ci si astiene dall’essere più indulgenti verso se stessi e la propria istituzione rispetto alle persone a cui si sa di essere sempre nuovamente inviati per ricordare loro la verità, per esortarle al pentimento, alla confessione e alla penitenza.

Le indagini e i rapporti «autentici» sono un passo importante per la propria trasparenza e coerenza, perché contribuiscono in modo significativo all’adempimento del compito a cui ci si sente chiamati: quello d’essere dei veri pastori, nell’onesta preoccupazione nei confronti delle persone che sono tra le più stanche e oppresse.

Il loro peso può essere alleviato rivelando come hanno sofferto a causa della loro Chiesa o almeno di componenti di essa. Le indagini e i rapporti «autentici» ci rendono avvicinabili e fanno capire che la Chiesa è disposta a essere modesta e umile. Essi dimostrano che le persone non solo parlano di queste virtù, ma sono anche disposte a metterle in pratica.

Soprattutto nel nostro tempo, in cui c’è tanta autopromozione, pomposità, egocentrismo, compiacimento e arroganza in tutti i settori della società, questo è un importante segno profetico in termini di missione della Chiesa.

In definitiva una cosa dovrebbe essere chiara: le indagini e i rapporti sui casi d’abuso di competenza della Chiesa, soprattutto se avviati dalla Chiesa stessa, possono essere sia un contributo ad aggravare la crisi innescata dagli abusi e dalla loro gestione inappropriata, sia un segno credibile di conversione e di pentimento e quindi di sincera fiducia nella propria missione e nella propria fede.

Spetta alla Chiesa decidere che cosa scegliere. La decisione sul tipo di indagine e rapporto – elemosina o realismo accurato – è anche una decisione sul futuro della Chiesa.

 

Peter Beer,
Hans Zollner SI

 

Tipo Articolo
Tema Minori Ministeri - Vita religiosa
Area
Nazioni