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Al di là del limite

I domenica di quaresima

Gen 2,7-9; 3,1-7; Sal 50 (51); Rm 5,12-19; Mt 4,1-11

La tentazione di essere diversi da quello che si è accompagna l’esistenza umana, e credo sia una tentazione di cui tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza. In fondo è il desiderio di uscire dalla propria realtà, di sognare dei superpoteri che possano rimuovere tutti gli ostacoli e le difficoltà che abbiamo davanti, il desiderio di poter volare al di là dei nostri muri.

La tentazione che il serpente insinua nella donna, nel racconto di Genesi, è proprio questa: chi l’ha detto che l’essere umano è mortale? Chi l’ha detto che il suo limite è proprio quello di essere «creatura» e non creatore? Così ci si illude che l’unico modo per vivere è perseguire il superamento del limite, annullare la morte, concepire la propria esistenza come se si fosse dio, «raggiungere i cieli» e «farsi un nome», come pensavano gli abitanti di Babele.

Purtroppo prima o poi il limite, la nostra stessa creaturalità, ci si presenta davanti inesorabile, con tutta la sua fragilità e mortalità. È un momento drammatico, ma che può essere anche un momento di grande grazia: «Si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi». Così termina il tentativo di «essere come Dio» per la coppia genesiaca: la scoperta della loro nudità. Una nudità che era ed è da sempre, ma che per la prima volta viene vista nella sua drammaticità, come espressione del loro limite, della loro vulnerabilità, della loro fragilità. Tutto questo è vero; ma è anche proprio vero che il limite, la fragilità, la vulnerabilità, e persino la mortalità, siano solo un male?

La rivelazione biblica ci offre un’altra possibilità di risposta; ci offre la possibilità di scoprire la bellezza, la potenzialità, la vitalità che è insita proprio in tutta questa «precarietà».

Un esempio di ciò lo troviamo nell’episodio evangelico di oggi: Gesù, «condotto dallo Spirito nel deserto», si ritrova di fronte al limite della propria umanità. Quaranta giorni senza mangiare e bere è quanto basta per portare un essere umano allo stremo delle forze, porlo di fronte al limite, alla morte. Momento buono quindi per proporre il superamento del limite: «Se tu sei Figlio di Dio...».

Ma Gesù non cade nella trappola, non accetta scorciatoie fallimentari (proprio perché tipicamente umane), non rinuncia alla sua umanità; al contrario, è proprio in essa che trova e offre il senso, la pienezza di quel limite: «Sta scritto...». Le sue risposte sono tutte tratte dalle Scritture di Israele, dalla Parola che Dio ha consegnato al suo popolo, una parola di vita, di sapienza, di verità. Una Parola che indica all’uomo la strada per vivere in pienezza la potenza e la bellezza del proprio limite, un limite che diventa luogo di apertura, incontro con Dio, amore e servizio per gli altri.

Il superamento della morte è proprio questo: consumarsi nell’amore, condividere quello che si ha, rinunciare ad avere potere sugli altri, rendere «culto a Dio». Dietro alle risposte che Gesù dà a Satana vi è un programma di vita e di azione.

Gesù non sceglierà di incantare gli uomini con la promessa di una sicurezza economica: trasformare pietre in cibo significherebbe risolvere il grande problema della fame nel mondo. Neanche sceglierà di mostrarsi un gradino superiore agli altri, eliminando per sé «ogni pietra di inciampo», ovvero ogni difficoltà fisica e morale. Infine non cercherà il dominio, il potere sui popoli, di qualunque forma esso sia, militare, politica, economica e – potremmo aggiungere oggi – informatica, ma realizzerà il senso dell’essere creatura umana: «Rendere culto a Dio», ovvero prendersi cura della creazione, realizzare quell’unica immagine e somiglianza di Dio che è inscritta in ogni uomo e in ogni donna, rendendo visibile l’origine e il fine di ogni cosa: la pienezza di vita che solo l’amore contiene.

Sì, l’essere umano è limitato, finito, mortale, ma tutto questo è la sua ricchezza, la sua forza, la sua grandezza, proprio perché questo limite è la strada di accesso all’infinito di Dio. Gesù vivrà più o meno una trentina d’anni, il suo percorso umano sarà fallimentare e la sua morte come quella di un infame; non raggiungerà né potere, né ricchezza e non risolverà neanche i problemi del suo mondo (fame, povertà, ingiustizia); eppure la sua vita, la sua umanità, le sue parole sono ancora oggi pane per chi ha fame, consolazione per chi soffre, speranza per chi teme, vita per chi muore.

Ecco il modo in cui, nella sua umanità, ha risposto per se stesso e per noi tutti a quella tentazione: «Se tu sei il Figlio di Dio...».

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