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«Ascoltatelo»

II domenica di quaresima

Gen 12,1-4a; Sal 32 (33); 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9

I personaggi centrali della pagina evangelica di oggi sono Gesù, Mosè ed Elia. Siamo su di un «alto monte», un luogo non ben specificato che la tradizione cristiana, successivamente, identificherà con il monte Tabor. È probabile, invece, come alcuni studiosi fanno notare, che il monte «alto» sia l’Ermon, alla base del quale vi era Cesarea di Filippi, dove Gesù constata con amarezza che Pietro, e forse anche tutti gli altri discepoli, hanno capito ben poco della sua visione messianica. In quell’episodio, infatti, se da una parte Pietro risponde bene alla domanda di Gesù – e voi chi dite che io sia? –, riconoscendo nel Maestro il Messia (il Cristo); dall’altra reagisce malamente all’annuncio che Gesù fa della sua prossima passione, morte e risurrezione: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Di fronte a tale reazione Gesù risponde in modo ancora più pesante: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).

Forse è proprio questo il punto, che cosa significa pensare secondo Dio? 

La narrazione evangelica continua, così come continua il cammino di Gesù con i suoi, e leggiamo che «sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte». L’atmosfera non deve essere stata molto allegra, Pietro è stato duramente rimproverato e probabilmente anche gli altri sono rimasti taciturni e pensierosi; è ben comprensibile che anche Gesù, da parte sua, si sia sentito solo, incompreso. Se neanche i «suoi» hanno capito la sua idea di Messia, che speranza aveva di essere compreso dal resto della gente? Incomprensione, delusione e, forse, anche una sensazione di fallimento possono essere stati i sentimenti che lo hanno accompagnato durante la salita verso l’«alto monte».

Ma giunti alla meta ecco che avviene qualcosa di particolare: Gesù appare a Pietro, Giacomo e Giovanni trasfigurato: «Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce». Accanto al Maestro i discepoli vedono anche altre due persone: «Apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui». Deve essere stata una scena davvero unica e a dir poco coinvolgente se Pietro esclama: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».

Ovviamente non è quello l’intento e soprattutto il significato di quanto sta avvenendo e a conferma di questo ecco una voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Questo «ascoltatelo» deve essere ben risuonato nelle orecchie dei tre discepoli, dato che poco prima si erano rifiutati proprio di ascoltarlo. Ma che ci stanno a fare Elia e Mosè? La voce «dal cielo» non è solo un invito all’ascolto, è anche la conferma che Gesù riceve dal Padre riguardo al suo messianismo, al modo con cui ha manifestato ai suoi, alle folle il suo essere Messia, inviato dal Padre. E tale conferma è supportata dalle Scritture di Israele, dalla Torah e dai Profeti, ovvero da Mosè ed Elia.

Sono dunque le Scritture la conferma e la consolazione di Gesù, che nel volto di Mosè e in quello di Elia rilegge anche la storia di questi due «servi del Signore», una storia per certi versi fallimentare, piena di insuccessi, ma nello stesso tempo vera, vissuta nella fedeltà alla loro missione e in ascolto della parola di Dio. Mosè ed Elia, le Scritture che rappresentano e la loro storia personale possono consolare Gesù, confermarlo nella strada che ha compiuto e in quella che lo attende. Di tutto questo i discepoli non capiscono un gran che, almeno non subito, e se ne abbiamo un racconto è solo perché, a posteriori, dopo l’evento della risurrezione, saranno capaci anche loro di rileggere i fatti e di comprenderne il senso. 

Da qui tre riflessioni che possono essere utili anche per noi oggi. La prima è che non sempre ciò che si presenta come un insuccesso o un fallimento in realtà è veramente tale; la seconda, strettamente collegata alla prima, è che a volte c’è bisogno di tempo per comprendere quanto avviene; che un’esperienza o una situazione che può sembrarci fallimentare, o deludente, o sbagliata può nel tempo rivelarsi vera e, soprattutto, piena di senso, arricchente.

Ma perché questo percorso si compia, affinché il nostro sguardo si apra a un’altra lettura di senso, occorre «ascoltare» le Scritture, la «voce» del Padre, lasciarsi nutrire e consolare da quell’unica Parola che può farlo, perché Parola di vita e non di morte.

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