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«Ecco l’agnello di Dio»

II domenica del tempo ordinario

1Sam 3,1-10.19-20; Sal 39 (40); 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42

Il brano evangelico di questa domenica si apre con l’immagine di Giovanni insieme a due suoi discepoli. Il Battista vede passare Gesù e lo indica ai suoi seguaci con un’espressione del tutto particolare: «Ecco l’agnello di Dio». In seguito a tale indicazione i due discepoli lasciano Giovanni e s’incamminano dietro a Gesù.

La prima cosa che colpisce è proprio ciò che Giovanni fa, ovvero l’indicare a dei suoi discepoli un «altro» da seguire. In questo gesto c’è tutta l’autenticità di quest’uomo che, consapevole del suo ruolo – o potremmo dire oggi del suo ministero – è capace di non legare a sé le persone che lo seguono, ma di indirizzarle verso colui che egli stesso ha riconosciuto più grande di lui: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me» (Gv 1,30).

In un’epoca come la nostra, in cui il culto della personalità è centrale; dove ciò che conta non è la qualità del messaggio, il suo contenuto, ma le «visualizzazioni» ottenute; dove anche in campo religioso quello che importa è l’immagine di sé, il numero di follower che si riesce a raccogliere intorno alla propria persona; dove il valore mediatico supera quello spirituale, per cui un «predicatore» è «autorevole» o meno a seconda dei like che riceve, appare ancora più stridente questa scena in cui Giovanni, a capo di un movimento religioso numericamente importante, anziché preoccuparsi della propria immagine e audience indica ai suoi seguaci un «altro», a costo così di passare in secondo piano, di essere perfino dimenticato da loro.

Dietro a questa scelta non c’è solo – come si è detto – l’autentica consapevolezza che Giovanni ha di sé nei confronti dell’«altro», ma c’è anche una vera manifestazione di quanto i suoi discepoli gli stiano veramente a cuore.

Ai suoi occhi costoro non sono «numeri» o «dati» di cui vantarsi, su cui costruire il proprio potere, l’auto-glorificazione di sé, ma persone alla ricerca di senso, persone a cui egli vuole bene, di cui desidera il bene. Di fronte, quindi, a Gesù che passa, non esita a indicare loro il cammino da percorrere, un cammino che li allontana da lui per accogliere, comprendere e seguire qualcun «altro». 

L’invito che Giovanni rivolge ai suoi discepoli è dato, poi, da un’indicazione: «Ecco l’agnello di Dio». Che cosa significa questa espressione che ricorre qui per la seconda volta? Già in precedenza infatti Giovanni, «vedendo Gesù venire verso di lui, aveva detto: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!)» (Gv 1,29).

Uno dei possibili passi biblici a cui probabilmente Giovanni si riferisce è un brano del Libro di Isaia, in cui il «servo del Signore» viene descritto come un «agnello condotto al macello», che «giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,7.11). Tale indicazione, che rimane comunque piuttosto enigmatica, non risuona con esplicita chiarezza alle orecchie dei due discepoli, ma è abbastanza forte per metterli in movimento, per far sì che si allontanino da Giovanni e inizino a seguire Gesù.

Ed è a questo punto che Gesù, voltandosi e osservando i due che lo seguivano, chiede: «Che cosa cercate?». Oltre a essere una domanda fondamentale, che aiuta chi è alla ricerca a prendere consapevolezza dei propri desideri più profondi, serve, in questo caso, anche a esplicitare ciò che i discepoli vedono nella figura di Gesù, il motivo per cui lo seguono. Incuriositi dall’indicazione data loro da Giovanni, vogliono diventare discepoli di questo nuovo rabbi. 

È bene forse qui comprendere il significato di questo appellativo. «Rabbi» significa letteralmente «mio maestro». Il termine deriva dalla radice ebraica «rav», che significa «grande»; nel giudaismo del Secondo Tempio non indicava un funzionario religioso o un «ecclesiastico», ma una persona qualificata a pronunciarsi su questioni di legge e pratica ebraica.

Di solito poi un «rabbi» aveva una scuola, un luogo dove radunava i suoi discepoli per l’insegnamento e la loro formazione spirituale e religiosa. Ecco, dunque, nella seconda parte della risposta che i discepoli danno a Gesù, la loro domanda: «Dove dimori?». Essere discepoli di un maestro significa frequentare la sua scuola, e Gesù accoglie questo loro desiderio invitandoli a seguirlo: «Venite e vedrete».

Il testo non ci dice dove siano andati, anche perché di fatto Gesù non ha mai avuto una scuola, un «luogo» privilegiato di insegnamento; anzi, contrariamente all’uso di altri maestri, ha scelto di essere un «rabbi» itinerante, senza fissa dimora.

La sorpresa comunque arriva alla fine della giornata: i due discepoli scoprono che Gesù non è un rabbi, bensì il Messia. Che cosa ha fatto sì che i due comprendessero di trovarsi di fronte al Messia non è detto, ma sicuramente è racchiuso in quelle ore di intimità che hanno trascorso insieme a lui. Da quel momento in poi la loro vita consisterà nel seguirlo finché non arriverà il momento di separarsi da lui per «rimanere nel suo amore» (Gv 15,9-10).

Al contrario di ogni influencer, infatti, il legame che Gesù fonda con ogni persona che lo segue è un legame «comunionale», che si manifesta e concretizza non nel culto di una persona, ma nell’amore vicendevole di una comunità di fratelli e sorelle che «rimangono nel suo amore».

Commenti

  • 12/01/2024 Don Vincenzo Marchetti

    Splendido commento per attualità e profondità. D. Vincenzo Marchetti

  • 12/01/2024 Paolo Doglio

    Una meditazione sul testo evangelico significativa, attualizzata e utile per la riflessione e la preghiera

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