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Il re dei Giudei

Nella prima lettura, tratta dal Primo libro di Samuele, si descrive il riconoscimento di Davide come re da parte delle tribù del Nord.

Solennità di Cristo re

2Sam 5,1-3; Sal 121 (122); Col 1,12-20; Lc 23,35-43

Nella prima lettura, tratta dal Primo libro di Samuele, si descrive il riconoscimento di Davide come re da parte delle tribù del Nord.

Tale riconoscimento viene sancito con l’unzione regale. Prima di questo passaggio, Davide era già stato riconosciuto re dalle tribù del Sud, a cui era legato sia per nascita sia per territorio; importante era quindi, per poter davvero subentrare a Saul, che fosse riconosciuto tale anche dalle tribù del Nord, distanti non solo geograficamente, ma anche in un certo senso culturalmente ed economicamente.

Con questo atto, dunque, Davide diventa re in toto e pone inizio a quella che sarà la dinastia davidica. Inizia così un tema importante e, in un certo qual modo, fondamentale di tutta la storia biblica, che attraverserà per secoli avvenimenti, ribaltamenti, distruzioni e anche ricostruzioni, che vedranno sempre nella figura di un re unto (cioè «messia») di stirpe davidica la speranza di un definitivo ribaltamento delle sorti, dell’instaurazione di un regno eterno in cui la pace, l’abbondanza, la giustizia, la libertà e il bene sarebbero state realtà definitive.

L’idea quindi di un re messia liberatore attraversa tutta la narrazione biblica e permane nell’immaginario collettivo anche quando la dinastia davidica sarà annientata, anche quando non ci sarà più traccia di discendenti diretti e l’attesa del re messia si sposterà su tutto il clan davidico più o meno legato con vincoli familiari all’antico casato.

Non solo: questa attesa sarà anche diversificata e si arricchirà di ulteriori elementi, non ultimo anche di una caratteristica semidivina che il futuro re messia porterà con sé. (Per chi volesse approfondire suggerisco la lettura del recentissimo libro di Israel Knohl dal titolo La disputa messianica, Adephi 2025). Avere in mente tutto questo è importante, e indispensabile per comprendere la scena evangelica della crocifissione che Luca ci propone nel Vangelo di oggi.

Gesù è inchiodato sulla croce, e tutti quelli che gli sono intorno lo appellano «re dei Giudei», chi per scherno, chi invece nella speranza ancora non del tutto persa che egli sia veramente tale. Anche la scritta che è sopra la sua testa porta lo stesso titolo: «re dei Giudei».

Siamo quindi di fronte alla rivelazione di quel re messia tanto atteso e sperato per secoli, che pone però un problema non indifferente, dato che non è su un trono vittorioso, non ha sconfitto la potenza dominatrice di turno, ma sta morendo appeso a un palo. È questo qualcosa di veramente inaudito?

Certamente per una buona parte degli ebrei del suo tempo Gesù non corrisponde al re messia tanto atteso, ma questa non era l’unica attesa messianica che circolava in quel tempo. In modo minore, forse meno conosciuta, vi era un’altra idea messianica che si stava facendo strada nella riflessione religiosa del tempo: l’idea di un messia sofferente, che con la sua morte avrebbe purificato il suo popolo e lo avrebbe definitivamente liberato non solo o non tanto dal dominatore di turno, quanto da ogni forma di dominio e di male.

Tale idea messianica si era sviluppata soprattutto nella zona del deserto di Giuda e tra i testi ispiratori i più importanti erano sicuramente le profezie di Isaia riguardanti la figura di un «servo di Dio» sofferente; a ciò si possono aggiungere anche altri brani o espressioni ritrovati nelle grotte di Qumran e appartenenti alla comunità degli esseni, un movimento religioso non così diffuso come quello dei farisei, ma comunque presente in quel tempo.

Gesù, pur non essendo sicuramente un esseno, sceglie però di incarnare e ampliare questa visione messianica, di farla sua e di compierla fino alla fine. La sua sofferenza, come vittima innocente o – come scrive Isaia – «come agnello condotto al macello» (Is 53,7), non solo ha una valenza purificatrice («il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità», Is 53,11), ma supererà ogni aspettativa rivelando il fine della storia umana: la pienezza di vita per tutti i popoli nella tenda che non mani umane ma Dio stesso (2Cor 5,1; Eb 9,24) ha costruito da sempre per tutti.

L’accesso a quella tenda/santuario, infatti, è egli stesso: attraversata la morte, annullandone completamente gli effetti, il re messia risorto instaura il suo regno, spalanca le porte del cielo e trasforma definitivamente la storia modificando per sempre il suo destino, un destino non più di morte e di oblio, ma di vita piena ed eterna.

Anche a noi, oggi, è posta davanti la stessa scena: qual è il messia che attendiamo, che vogliamo seguire? A quale regno vogliamo appartenere?

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