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La «roccia» della Chiesa

Santi Pietro e Paolo, apostoli

At 12,1-11; Sal 33 (34); 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19

L’episodio del Vangelo di oggi non solo è tra i più conosciuti, ma è anche uno dei fondamenti cardine del cosiddetto ministero petrino, ovvero del primato di Pietro come «roccia» su cui l’unità di tutta la Chiesa trova il suo fondamento: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa».

Credo che si debba riflettere molto su queste parole e sulla loro portata. Lasciando ai teologi dogmatici le questioni dottrinali, limitiamoci a riflettere sul racconto evangelico. Gesù affida a Pietro un compito particolare, gli chiede di essere il punto di riferimento per tutti, di essere una «roccia» capace di sostenere tutta la sua Chiesa. Ma che significa questo?

Sappiamo che Pietro non è stato sicuramente un modello di fedeltà, e neanche un discepolo che si sia distinto dagli altri per maggiori capacità intellettive o per una migliore formazione religiosa. Sicuramente un uomo tenace, a volte impetuoso – basti pensare alla prontezza con cui tira fuori la spada per difendere Gesù nel Getsemani (Gv 18,10) –, ma anche debole, pauroso – come subito dopo nel cortile del palazzo di Caifa –, insomma una persona profondamente umana, con debolezze, qualità, slanci di generosità, di eroismo e prese di posizione a volte ottuse, chiuse, testarde – si pensi alla forte reazione di rifiuto di fronte all’annuncio della passione da parte di Gesù (Mt 16,22-23; Mc 8,32-33) –.

In qualche modo Pietro incarna, così, le diverse sfaccettature dell’esperienza umana e delle diverse reazioni che uomini e donne possono avere di fronte alle circostanze della vita. Ma non solo questo.

C’è un aspetto di Pietro che rende la sua umanità davvero grande, ed è la sua capacità di amare, la capacità di lasciarsi superare dall’amore e di lasciare che proprio l’amore possa parlare al suo cuore, possa aprirgli gli occhi, la mente, possa portarlo oltre le sue idee, le sue convinzioni, le sue rigidità. Ci sono alcune scene evangeliche e degli Atti degli apostoli che evidenziano proprio questo, ovvero come proprio il suo amore ha aperto la porta allo Spirito o come lo Spirito ha aperto il suo cuore all’amore.

Iniziamo ad esempio proprio dalla scena evangelica di questa domenica. Gesù chiede ai suoi discepoli di dirgli chi egli sia, e subito arriva la risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Una risposta che, come subito commenta Gesù, non è da Pietro, non è frutto delle sue capacità intellettive o delle sue conoscenze religiose, ma è una risposta suscitata dallo Spirito: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».

Pietro ha aperto il suo cuore, ha ascoltato la voce dello Spirito e ha dato voce a quella «voce»; e tutto questo è possibile solo se ci si lascia guidare dall’amore. Ed è proprio sull’amore che Pietro, nella scena giovannea dell’incontro con il Risorto sul lago di Galilea, potrà «riscattare» il suo tradimento, in quella triplice risposta alla domanda «Pietro, mi ami tu?». Un amore che lo conduce «dove lui non vuole» (Gv 21,18), che gli fa superare persino regole e precetti, che per fede credeva fosse importante osservare come segno di fedeltà al Signore, come nella sua visita alla casa di Cornelio, centurione romano, a Cesarea (At 10).

La grandezza di Pietro è proprio questa: lasciare che l’amore prevalga e apra la strada allo Spirito che indica la via da seguire; proprio per questo non è senza fondamento che il suo sia il primato dell’amore. Un amore capace di «sciogliere e di legare», come si legge nel Vangelo di oggi: «A te darò le chiavi del Regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli», proprio perché è dell’amore la capacità di legare le persone le une alle altre, ed è solo l’amore che è capace di sciogliere quei nodi che appesantiscono l’anima e soffocano lo spirito.

Ciò che l’amore può fare quaggiù, sulla terra, ha valore per sempre, ha il sapore dell’eternità, perché l’amore non conosce morte.

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