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«Ma io vi dico...»

VI domenica del tempo ordinario

Sir 15,16-21; Sal 118 (119); 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Per secoli tra i cristiani, non solo cattolici, è prevalsa una lettura dell’Antico (o Primo) Testamento di carattere tipologico, prevalentemente di origine patristica, o peggio ancora sostitutivo. L’idea di fondo è che quanto era scritto nelle Scritture di Israele, più o meno corrispondenti a quanto viene chiamato Antico Testamento, era prefigurazione (ombra velata) di quanto Gesù avrebbe compiuto e quindi il Nuovo Testamento sarebbe venuto così a sostituire di fatto l’Antico. 

Tale pensiero e atteggiamento, forse non è superfluo ricordarlo, ha fomentato di fatto l’antigiudaismo, che si è poi espresso e manifestato in svariate forme e che ancora oggi campeggia anche tra alcuni cristiani (molti o pochi che siano). Eppure le parole di Gesù nel Vangelo di oggi sono molto chiare: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto».

Il binomio «Legge e Profeti» (sarebbe meglio tradurre Torah e Profeti) sta a indicare le Scritture di Israele, che Gesù stesso non solo considera ispirate e fondamentali, ma un riferimento per sempre valido: «Finché non siano passati il cielo e la terra», finché c’è dunque un mondo e un essere umano capace di leggerle e intenderle. Gesù dunque non abroga le Scritture del suo popolo, ma dice che le «compie», ovvero le fa proprie, le incarna, perché siano di insegnamento a quanti lo seguono. Quanto segue nel testo evangelico, infatti, non è la sostituzione di queste Scritture, ma un insegnamento per meglio comprenderle e viverle. Un insegnamento, direi, oltremodo «ortodosso», ancora più esigente di quanto lo fosse quello «degli scribi e dei farisei», che di per sé dunque era valido e giusto. Infatti Gesù chiede ai suoi che la loro «giustizia» superi quella «degli scribi e dei farisei», cioè sia più grande di quanto lo sia già la loro. 

Incarnare la Scrittura, prenderla sul serio e viverla è infatti ciò che permette a una persona di essere un «giusto», non secondo dei propri parametri o delle proprie idee, ma in riferimento alla conoscenza, all’ascolto e all’attuazione della Parola del Signore. 

Segue quindi l’esigenza maggiore richiesta da Gesù nel prendere sul serio questa Scrittura per viverla in modo radicale. L’«avete inteso che fu detto… ma io vi dico», quindi, non è un modo per contrapporre all’insegnamento della Scrittura – alla quale si deve ascolto, obbedienza (dal latino ob-audire = prestare ascolto) – un nuovo insegnamento, ma è una formula che invita ad andare proprio alla radice di quella Scrittura, al suo senso più profondo. Così, per esempio, il «non uccidere», ha dietro di sé diverse sfumature, gradi, il cui apice è certamente l’omicidio, ma la cui radice è più sottile e parte dal considerare l’altro inferiore a sé, dal dare spazio e azione ai propri sentimenti di rabbia, dal denigrare l’altro anche solo verbalmente. Azioni che di per sé non automaticamente preludono a un omicidio, ma che, secondo l’insegnamento di Gesù, sono già una forma di omicidio, potremmo dire «in pectore».

L’elenco che segue riguarda proprio le relazioni tra persone, che prima di tutto vengono considerate «fratelli»; pertanto devono essere relazioni di pace, laddove il temine «pace» indica un costruire la pace a partire proprio dal riconoscimento della sua mancanza: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono». Così anche per quanto riguarda l’adulterio, che di per sé ha diversi livelli; Gesù infatti mostra il processo graduale che lo precede e che parte dal desiderio, anche se solo inespresso.

Ancora più radicale è l’ultima parte del discorso, che a prima vista potrebbe sembrare quasi autolesionistica: «Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te (…) se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te». L’idea di fondo è che il mio vero bene non può essere tale se non è anche il bene dell’altro, per cui paradossalmente è salutare, «anche se fa male», eliminare in noi stessi ciò che è male.

Dietro a tali esplicitazioni radicali c’è l’invito all’autenticità, «sia il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”», che non significa vedere la realtà tutta bianca o tutta nera, in modo uniforme e piatto in un verso o nell’altro, ma essere veramente capaci di sincerità, di limpidezza, di trasparenza; aspetti davvero rari e «rischiosi» nelle relazioni umane di sempre e a qualsiasi livello.

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