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«Siate santi perché io sono santo»

VII domenica del tempo ordinario

Lv 19,1-2.17-18; Sal 102 (103); 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

          Le parole del Levitico, che la liturgia ci propone, sono tratte da quei capitoli che racchiudono la «Legge di santità» (Lv 17-26): di che si tratta? Il popolo di Israele ha stretto con Dio l’alleanza al Sinai, si è legato a lui, e anche Dio si è legato al suo popolo, da ora in poi egli cammina con il suo popolo, abita in mezzo al suo popolo, nella tenda del Convegno; la sua presenza, rappresentata dalla nube, scandirà le tappe del cammino che guideranno il popolo verso la terra promessa.

          Dio «abita» in una tenda in mezzo all’accampamento, tutta la vita del popolo è collegata alla sua presenza, al suo essere l’«Emmanuel», il Dio con noi. Se Dio è il totalmente santo, anche il popolo deve diventarlo, deve comportarsi di conseguenza: «Siate santi perché io sono santo».

          Certo questo non avviene per magia, è un itinerario, un cammino che vede alti e bassi; è qualcosa che, soprattutto, richiede il coinvolgimento di ogni singolo individuo, prima ancora che della collettività. Anzi è proprio la vita comune il luogo in cui la santità del singolo viene messa alla prova. E da qui la regola fondamentale da osservare: «Amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore».

          Ora, però, bisogna notare un piccolo particolare: la traduzione italiana non riporta una preposizione che è invece presente nel testo ebraico. Come sottolinea Avraham Ibn Ezra (commentatore ebreo medievale, 1090-1164), nell’originale ebraico al verbo «amerai» segue la particella «per» e non direttamente, in qualità di complemento oggetto, «il tuo prossimo»: per cui la traduzione letterale sarebbe: «amerai per il tuo prossimo come te stesso». La tradizione ebraica, infatti, fa notare che di per sé «comandare» di amare qualcuno non è fattibile, dato che l’esperienza umana insegna che al cuore non si comanda. Il senso è allora «amerai per il tuo prossimo quello che ami per te»; non si tratta quindi di un amore diretto alle persone – che non è comandabile – ma dell’amore dei loro diritti che sono come i tuoi. Inoltre il versetto termina con l’affermazione «io sono il Signore», che vuole essere un rimando al fondamento di tale regola, un fondamento metastorico e non relativo.

          Questa dimensione etica, patrimonio di Israele, continua nella riflessione di un altro ebreo, Paolo di Tarso, il quale, in continuità con quanto detto nel Levitico, accentua la singolarità di questa santità che ciascun individuo è chiamato a rispettare in se stesso e negli altri: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi». Ogni persona è tempio del Signore; affermazione di una forza stravolgente che se solo fosse presa sul serio scardinerebbe diversi aspetti «istituzionali» giustificanti categorie di separazione sociale e anche religiosa.

          Così Gesù nel Vangelo, proprio sulla base di quanto affermato nel Levitico, supera quella che già era diventata una conquista legale fatta propria dalla cultura greco-romana, ma che aveva radici più antiche, per esempio nel famoso Codice di Hammurabi: «Occhio per occhio, dente per dente». Infatti ciò che può sembrare alle nostre orecchie un’affermazione «barbara» in realtà rappresenta una prima forma civile che aveva la funzione di arginare la violenza e di comminare pene proporzionali al reato.

          Ma, come abbiamo visto, lo spirito del Levitico, la santità richiesta al popolo il cui Dio è Santo, al singolo individuo che è tempio del Signore, richiede di andare ben oltre. Non si tratta solo di arginare il male o di limitare una pena al danno ricevuto, ma di desiderare e perseguire il bene dell’altro, chiunque egli sia, amico o nemico, e questo, come insegna il Levitico, perché il bene del tuo prossimo è il vero modo di amare noi stessi, cioè di essere dalla parte di Dio, di essere, come insegna Gesù, «figli del Padre vostro», «perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

          Basterebbe solo prendere sul serio questa regola per costruire una società migliore, peccato che non ci amiamo abbastanza per osservarla!

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