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«Vi ha gettato tutto quello che aveva»

XXXII domenica del tempo ordinario

1Re 17,10-16; Sal 146 (145); Eb 9,24-28; Mc 12,38-44

 

«Pregano a lungo per farsi vedere» (Mc 12,40). Così avveniva un tempo; oggi è assai raro che si scelga la preghiera come modalità per essere visti. Senza alcun dubbio nella società odierna domina l’immagine e, di conseguenza, l’apparire, tuttavia ci si muove su altri piani rispetto a quelli di un tempo. La riproduzione di quanto visto dai nostri occhi è ora praticabile e praticata da tutti e in ogni momento. In questa situazione l’immagine è diventata il vero reale; essa rimanda ormai solo a se stessa.

In antico non era così. La tecnica, ai quei tempi, non permetteva una riproduzione immediata. Perciò bisognava sfruttare le situazioni che consentivano di essere visti dagli altri sotto una particolare luce: «Amano passeggiare in lunghe vesti e ricevere il saluto sulle piazze» (Mc 12,38).

L’immagine di sé si collegava a un ambito incentrato sul modo in cui si è scorti dagli altri. In tali circostanze ci sforziamo di apparire diversi da quel che realmente siamo. Questa dinamica assume l’aspetto dell’ipocrisia, vale a dire, in base all’etimo, della simulazione. Ci si impegna a far sì che gli altri ci vedano per quel che effettivamente non siamo. L’atteggiamento, se assunto rispetto alla preghiera, si pone agli antipodi dell’atto di affidarsi al Dio che «scruta mente e cuore» (Sal 7,10). Quando si sta pregando in modo autentico si crede di essere visti nello strato più profondo del nostro essere: «Il Padre vede nel segreto» (Mt 6,6). Dio ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi.

Gesù osserva colei che non fa nulla per farsi vedere, anzi, tutto lascia ritenere che, data la modestia della sua offerta, la vedova desiderasse piuttosto non essere vista. Nel tempio non avviene alcun dialogo tra Gesù e l’anonima vedova. L’atto di guardare continua a essere egemonico: «Seduto di fronte al tesoro osservava...».

Tuttavia non tutti i modi di guardare si equivalgono. Quello di Gesù è uno sguardo non solo penetrante ma anche carico di pietas. Egli scorge quel che gli altri non vedono, ignora invece quanto altri ostentano. Gesù è il solo a sapere che il soldo della vedova, agli occhi di Dio, vale più delle grosse somme versate dai ricchi.

Il Vangelo sembra non dare peso a una questione per noi decisiva: perché la vedova ha donato tutto quello che aveva a un’istituzione come quella del tempio? Poco prima Marco non aveva forse proposto la scena della cacciata dei mercanti, evocando le forti parole di Geremia che qualificavano il tempio come un «covo di ladri» (Mc 12,15-17; Ger 7,11)? E subito dopo Gesù non avrebbe forse annunciato la distruzione del tempio, a favore del quale la vedova ora stava versando ogni suo avere (cf. Mc 13,1-2)?

Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò? Da un lato si è chiamati a sottolineare l’enorme responsabilità di chi, ieri come oggi, riceve l’offerta dei poveri; dall’altro occorre proclamare che, pure quando ci si muove tra le contraddizioni della società, Dio è in grado di vedere e di giudicare le profonde e invisibili intenzioni del cuore. La vedova, offrendo ogni suo avere al tesoro del tempio, in realtà stava offrendo se stessa a Dio. «Vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44); potremmo anche trascrivere il detto in questo modo: «Vi ha gettato tutto quello che era».

La fede dichiara che non si può vedere Dio (cf. Gv 1,18), e lo fa nello stesso momento in cui afferma che egli ci vede. L’atto di credere implica che lo sguardo di Dio trascenda ogni nostra attuale capacità di vedere. Per noi l’autentico vedere è ancora una promessa: «Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).

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