Discorso di mons. Martino
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Passeggiando per Piazza Transalpina è facile imbattersi in bambini che saltellano di qua e di là dalla linea che tratteggia il confine fra Italia e Slovenia. Più precisamente fra Gorizia e Nova Gorica, dove anche i più grandi non resistono al fascino di tornare piccoli posando i piedi a cavallo di due stati diversi.
Il titolo dell’appuntamento triestino, «Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro», ha ben fotografato lo spaccato che, soprattutto nell’ultimo decennio, viviamo a più livelli: generazionale, sociale, culturale, tecnologico, economico, politico.
«Apostolato» e «digitale». Due termini che potrebbero suonare strani accostati l’uno all’altro. Eppure un’attenta riflessione ci svela che non è così: «Viviamo una condizione digitale, cioè un tempo della storia in cui il digitale è parte integrante di quello che siamo, di come lo viviamo, di cosa speriamo, anche di quello in cui crediamo. A questa condizione si rivolge la Chiesa, che nativamente e costitutivamente fa apostolato, ossia offre la notizia di Cristo al tempo che vive e in quella notizia accompagna l’umanità nel suo cammino». A spiegare che cosa lega queste due dimensioni è il direttore dell’Apostolato digitale, ufficio inserito all’interno della Pastorale universitaria, che nasce nel novembre 2019 a seguito della riflessione del Sinodo sui giovani, celebrato l’anno precedente, sulla sfida che l’ambiente digitale rappresenta per la Chiesa.1
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