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Documenti, 17/2008, 01/10/2008, pag. 532

La traduzione del «nome di Dio». Lettera della Congregazione per il culto divino alle conferenze ep.

F. card. Arinze, A.M. Ranjith
Nelle celebrazioni liturgiche, nei canti e nelle preghiere «non deve essere né usato, né pronunciato» il tetragramma JHWH, che invece dev’essere reso, nella traduzione dei testi biblici in lingua moderna per l’uso liturgico, con gli equivalenti di Adonai/Kyrios: Lord, Signore, Seigneur, Herr, Señor... È quanto dispone questa recente lettera che la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha inviato alle conferenze episcopali, richiamando ciò che è esplicitamente dichiarato al n. 41 dell’istruzione del 2001 Liturgiam authenticam sull’uso delle lingue vernacole nelle edizioni dei libri della Liturgia romana (EV 20/415). L’intervento, reso pubblico dal Comitato per la liturgia della Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti, si deve al fatto che, «nonostante questa chiara norma, in anni recenti è invalsa la pratica di pronunciare il nome proprio del Dio di Israele, conosciuto come santo o divino tetragrammaton, (...) sia nella lettura dei testi biblici presi dal Lezionario, come anche nelle preghiere e negli inni», oltre che ricorrere «in diverse forme scritte e parlate» (n. 1).

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