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Documenti, 7/2017, 01/04/2017, pag. 224

Contro le mafie: memoria e impegno

Sergio Mattarella, Luigi Ciotti

«C’è bisogno di uscire dall’io per riorganizzare il noi. Ci vuole un impegno collettivo. Non rassegniamoci! Alla corruzione, alle mafie, alla povertà, alle disuguaglianze… Non basta indignarci, dobbiamo impegnarci tutti!» (don Ciotti). A partire dal 2017 lo stato italiano ha istituito, con la Legge n. 20 dell’8.3.2017, la «Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie», fissandola al 21 marzo e ufficializzando così una manifestazione organizzata ogni anno dalle associazioni «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie» e «Avviso pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie» (giunta quest’anno alla 22a edizione). L’evento si è svolto a Locri, in Calabria, dal 19 al 21 marzo, e ha visto tra gli interventi più significativi quello del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, a sua volta familiare di una vittima della mafia (il fratello Piersanti era presidente della Regione Sicilia nel 1980, quando venne ucciso); e quello di don Luigi Ciotti, presidente di Libera. «Accanto agli strumenti della prevenzione e della repressione, bisogna perfezionare quelli per prosciugare le paludi dell’inefficienza, dell’arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di stato, che sono l’ambiente naturale in cui le mafie vivono e prosperano» (Mattarella).

Stampa (21.3.2017) da sito web www.quirinale.it. Per il discorso di don Luigi Ciotti: stampa da file in nostro possesso.

 

 

Una nuova cultura della legalità
Sergio Mattarella

     Un saluto cordiale ai cittadini di Locri e della Calabria, a don Ciotti e agli organizzatori di questo incontro, alle autorità civili e religiose, al ministro dell’Interno, al presidente della Regione, alla presidente della Commissione antimafia, al sindaco di Locri e agli altri sindaci presenti, a tutti coloro che partecipano a queste giornate e in particolare ai tanti giovani presenti, che rappresentano testimoni di speranza.

     È con grande partecipazione che prendo la parola tra voi, familiari delle vittime innocenti delle mafie, in questa terra, così duramente ferita dalla presenza della criminalità organizzata. Una presenza pervasiva, soffocante, rapace. Una presenza che uccide persone, distrugge speranze, semina terrore e ruba il futuro di questa terra.

     Abbiamo assistito alla lettura dei nomi delle quasi mille persone uccise dalle mafie: è un elenco, al tempo stesso, doloroso e istruttivo. L’impegno che voi esprimete è strettamente legato alla memoria. Memoria e impegno interagiscono: sono termini che indicano continuità.

     In quell’elenco vi sono sindacalisti, che lottavano per i diritti dei lavoratori e dei contadini. Vi sono numerosissimi appartenenti alle forze dell’ordine e alla magistratura, che combattevano la criminalità organizzata con coraggio e capacità. Vi sono giornalisti, medici, avvocati, imprenditori, commercianti, funzionari pubblici che non si sono piegati alla sopraffazione e hanno rifiutato l’omertà. Vi sono uomini politici e amministratori onesti, che guardavano soltanto all’interesse della loro gente. Vi sono animatori culturali, esponenti del volontariato, sacerdoti, caduti perché diffondevano parole di legalità, di non violenza, di riscatto, di resistenza, di perdono. Vi sono le vittime di faide e di vendette trasversali. Trucidate per una parentela o un’amicizia. Vi sono persone inconsapevoli: uccise perché si trovavano nel posto sbagliato, per uno scambio di persona, perché avevano visto cose che si volevano tener nascoste.

     Sono centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini. Sì, tante donne e tanti bambini. I mafiosi non conoscono pietà né umanità. Non hanno alcun senso dell’onore, non del coraggio. I loro sicari colpiscono, con viltà, persone inermi e disarmate. Tra le vittime delle mafie non ci sono soltanto coloro che le hanno contrastate, consapevoli del pericolo cui si esponevano. La mafia, le mafie, non risparmiano nessuno. Uccidono, certo, chi si oppone ai loro interessi criminali. Ma non esitano a colpire chiunque diventi un ostacolo al raggiungimento dei loro obbiettivi. Che sono denaro, potere, impunità.

La lotta alle mafie riguarda tutti

     Per questo motivo, la lotta alle mafie riguarda tutti. Nessuno può dire: non mi interessa. Nessuno può pensare di chiamarsene fuori. Lottare contro la mafia non è soltanto una stringente e, certo, doverosa esigenza morale e civile. È anche, quindi, una necessità per tutti: lo è, prima ancora che per la propria sicurezza, per la propria dignità e per la propria effettiva libertà. Si tratta di una necessità fondamentale per chi tiene, insieme alla libertà, alla serenità personale e familiare; per chi vuole misurarsi con le proprie forze e le proprie capacità, senza padroni né padrini. Una necessità per la società, che vuole essere libera, democratica, ordinata, solidale. Una necessità per lo stato, che deve tutelare i diritti dei suoi cittadini e deve veder rispettata ovunque, senza zone franche, legalità e giustizia.

     Le mafie sono la negazione dei diritti. Opprimono, spargono paura, minano i legami familiari e sociali, esaltano l’abuso e il privilegio, usano le armi del ricatto e della minaccia, avvelenano la vita economica e le istituzioni civili. Vendono la droga, inquinano campi e acqua, contaminano alimenti e medicinali, incendiano boschi, devastano risorse ambientali. Le loro azioni criminali avranno effetti nocivi per generazioni. Riciclano i proventi illeciti in attività legali, falsando la concorrenza e inquinando i mercati. Trasformano in un’occasione di arricchimento ogni più turpe attività: la prostituzione, il traffico di esseri umani e di rifiuti tossici, il gioco d’azzardo, il commercio di armi, della droga e di organi del corpo umano.

     L’Italia ha compiuto passi avanti nella lotta alle mafie. Negli anni sono state affinate le tecniche investigative, sono state varate, seguendo anche l’intuizione di uomini illuminati e spesso vittime delle mafie, leggi efficaci, che colpiscono duramente i patrimoni mafiosi, premiano la dissociazione, aggravano le pene, introducono nel codice nuove forme di reati. Sono state create strutture d’indagine e giudiziarie che consentono una capillare conoscenza sul territorio del fenomeno criminale.

     Occorre sostenere il lavoro quotidiano, la rettitudine, la professionalità, l’intelligenza di tante migliaia di donne e uomini dello stato che ogni giorno – nella magistratura e nelle forze dell’ordine – difendono la nostra vita sociale, e la nostra libertà personale e familiare, dall’aggressione delle mafie, attraverso l’azione di prevenzione e di repressione. I risultati di questa azione ci sono; e sono sotto gli occhi di tutti. È bene ricordare che questa lotta, così dura, è stata e viene condotta sul terreno della legalità, del diritto, senza mai venir meno a quei principi che contraddistinguono uno stato democratico.

La mafia è ancora forte

     Ma è necessario non fermarsi. La mafia è ancora forte, è ancora presente. Controlla attività economiche, legali e illegali, tenta di dominare pezzi di territorio, cerca di arruolare in ogni ambiente. Bisogna azzerare le zone grigie, quelle della complicità, che sono il terreno di coltura di tante trame corruttive. Accanto agli strumenti della prevenzione e della repressione, bisogna perfezionare quelli per prosciugare le paludi dell’inefficienza, dell’arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di stato, che sono l’ambiente naturale in cui le mafie vivono e prosperano.

     I vari livelli politico-amministrativi devono essere fedeli ai propri doveri e, quindi, impermeabili alle infiltrazioni e alle pressioni mafiose. La repressione dell’illegalità è inseparabile anche dalla resistenza civile. La lotta al fenomeno mafioso non avrebbe potuto raggiungere livelli così alti senza una profonda consapevolezza dei nostri concittadini, senza un forte cambio di mentalità, senza la promozione di una nuova cultura della legalità. I giovani e le associazioni della società civile, come Libera e tante altre, sono stati tra i motori di questo radicale e indispensabile cambiamento.

     Dove prima vi era diffusa omertà, ora spesso vi sono i simboli e le bandiere delle associazioni impegnate contro la mafia. Dove vi era silenzio dettato dal timore, o dalla connivenza, ora vi sono le parole, forti e coraggiose, dei nostri ragazzi. Dove c’era indifferenza o rassegnazione, ora s’insegna legalità.

     Occorre rafforzare e diffondere – perché prevalga – questa crescita culturale. Una crescita che deve continuare nel tempo, e che non dobbiamo mai considerare acquisita una volta per tutte. Una crescita che presuppone un forte impegno nell’ambito educativo e formativo. La scuola è un terreno decisivo per la formazione di coscienza civica e per trasmettere il senso della legalità, e dunque il contrasto alle mafie. Sarebbe un grave errore pensare che tocchi soprattutto ad altri, che sia soltanto un problema dello stato e dei suoi rappresentanti. È un compito che riguarda ciascuno di noi: nell’agire quotidiano, nei comportamenti personali, nella percezione del bene comune, nell’etica pubblica che riusciamo a esprimere.

     Occorre infine un tessuto sociale più solido, attraverso l’effettiva possibilità di lavoro e il buon livello dei servizi sociali e sanitari. Occupazione e qualità dei servizi assicurano dignità e rendono i cittadini più capaci di esser protagonisti. Un tessuto sociale solido, e rassicurato sotto questi profili, resiste meglio alle influenze e alle pressioni mafiose. Come diceva Giovanni Falcone, «la lotta alla mafia non può fermarsi a una sola stanza, la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere». Questo è l’orizzonte politico, giudiziario, di ordine pubblico, culturale, educativo, sociale del nostro impegno contro le mafie.

     Cari familiari delle vittime innocenti, voi portate il carico maggiore della violenza mafiosa. Avete visto padri, madri, figli, fratelli e sorelle, mogli o mariti strappati a forza dalla vostra vita, dai vostri affetti, dall’intimità domestica. Nei vostri volti, e ancor più nei vostri cuori, portate una ferita che non si può rimarginare. Come sarebbe stata diversa la vostra esistenza senza la violenza della mafia! Penso a quanti progetti, a quante speranze, a quanti sogni spezzati! Tutta l’Italia vi deve solidarietà per il vostro dolore, rispetto per la vostra dignità, riconoscenza per la vostra compostezza, sostegno per la vostra richiesta di verità e giustizia.

     Partecipando, oggi qui a Locri o altrove, in altre manifestazioni per la legalità e contro la mafia, date una testimonianza morale e civile di come la violenza, la sofferenza, la morte e la paura non possono piegare il desiderio di giustizia e di riscatto. Per questo desidero dirvi che le vostre ferite sono ferite inferte al corpo di tutta la nostra società, di tutta l’Italia. E che il ricordo dei vostri morti, martiri della mafia, rappresenta la base sulla quale costruiamo, giorno dopo giorno, una società più giusta, solidale, integra, pacifica. Vi ringrazio per esser qui, vi ringrazio per il vostro coraggio.

 

Sergio Mattarella

 

 

Siamo qui perché amiamo la vita
Luigi Ciotti

 

     Siamo qui perché amiamo la vita. Abbiamo un debito verso quanti sono stati assassinati, verso le loro famiglie; non basta più ricordare, ora bisogna farli vivere con il nostro impegno. Queste vittime ci parlano, ci esortano a essere più vivi. Ci hanno lasciato in eredità la speranza di una società più giusta e più umana. Dobbiamo fare nostra quella speranza. Dobbiamo provare a realizzarla.

     Per costruire una società più giusta e più umana è necessaria una vera cittadinanza, non solo uno spazio civile regolato da diritti e da doveri, ma un progetto condiviso di valori. Questo significa per noi una personale e comune responsabilità: perché ciascuno è chiamato a contribuire al bene comune, che è una premessa del bene personale e della salvaguardia delle istituzioni. Questa corresponsabilità nasce dai rapporti educativi, familiari, dalla crescita culturale e dalla partecipazione alla vita sociale, cogliendo con attenzione i segni di speranza che ogni giorno si affacciano al nostro orizzonte e valorizzandoli.

     È necessario restituire alla vita anche l’economia, restituirla alla sua dignità di sapere che garantisce la crescita e lo sviluppo delle persone, della società, dell’ambiente, della cultura. Non ci può essere un’economia senza un’ecologia, una cura della Terra come casa comune.

     Il cambiamento che dobbiamo innescare comporta una promozione della vita a partire dai diritti sociali e civili che la garantiscono. I diritti non sono solo una questione di umanità, ma il presupposto di ogni sviluppo: sociale, civile ed economico. Si fondano sul riconoscimento reciproco, e se oggi i diritti sono così deboli non è solo a causa di chi li attacca, ma anche di chi li difende troppo debolmente, o peggio vi si nasconde dietro per giustificare inadempienze o negligenze. Il provvedimento del governo sul contrasto alle povertà, ad esempio, è del tutto insufficiente, perché la maggior parte delle persone che si trovano nella povertà assoluta rimane fuori dal reddito d’inclusione. Non si possono invocare dei vincoli di bilancio nel prevedere uno strumento di sostegno generale. Occorrono risorse adeguate per incrementare il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo nazionale per la non autosufficienza.

     Il primo e più prezioso investimento di una comunità aperta al futuro è l’educazione. È un investimento che ha nella famiglia e nella scuola i suoi veicoli principali, ma non unici: è tutta la città che deve essere educativa. Nessuno ha la ricetta in tasca. Se mira davvero alla libertà e alla responsabilità della persona, l’educazione non può essere mai imposta ma sempre proposta. Si educa insieme, si cresce insieme. L’educazione offre degli orientamenti, permette a un ragazzo di scoprire un’attitudine, una passione; ma questi orientamenti devono poi trovare occasioni e opportunità per realizzarsi in un concreto progetto di vita. Dobbiamo sempre partire dalla realtà.

     Così anche la legalità non può essere un insieme di principi sacrosanti ma astratti, dev’essere un ponte fra la responsabilità (la coscienza di essere persone sociali) e il ruolo attivo e positivo che giochiamo nelle nostre comunità. Sull’assenza di progetti e proposte concrete e credibili rischiamo di rassegnarci alle mafie come a un male inevitabile.

     Siamo qui perché amiamo la vita. Le mafie non uccidono solo con la violenza. Le vittime sono i morti, gli assassinati, ma vittime sono anche i «morti vivi», le persone a cui le mafie tolgono la speranza e la dignità, tra cui le tante vittime dell’usura. Ma ci sono anche i «morti vivi» per mancanza di coraggio, perché vivono al risparmio la loro responsabilità, perché si lasciano avvolgere dalla paura, perché si rassegnano all’agonia, un’agonia etica ed esistenziale.

     Siamo qui perché amiamo la vita, per sostenere e valorizzare quella Calabria che non accetta di essere identificata con la ’ndrangheta, con la corruzione, con quella realtà massonica emersa dall’operazione «Gotha», il cui processo penale si sta svolgendo a Reggio Calabria. C’è un rapporto profondo e antico con questa terra difficile e generosa. Una Calabria che vuole il riscatto e il benessere della propria terra. È la Calabria che amiamo, nella quale abbiamo trovato persone meravigliose e spesso veri e propri maestri.

     Penso a don Italo Calabrò, un sacerdote innamorato di Dio – capace di saldare terra e cielo, la dimensione spirituale con l’impegno sociale –, e un acuto osservatore delle realtà criminali e delle loro dinamiche. Di lui voglio ricordare tre pensieri, che non smettono di graffiare le coscienze. Il primo: «Non basta essere antimafia, occorre reimpostare tutta una cultura della vita». Il secondo: «Se c’è qualcuno che non ha onore, è proprio il mafioso». E infine la frase di un’omelia dopo il sequestro di un bimbo di 11 anni, rivolgendosi ai mafiosi: «Se per voi non è più possibile uscire dalla mafia, evitate almeno che ci entrino i vostri figli». Oggi è urgente accompagnare e tutelare i figli delle mafie, assicurando strumenti di sostegno ai tribunali per i minori ed evitandone la chiusura. La nostra associazione da nove anni collabora concretamente con la giustizia minorile, per offrire ai giovani delle possibilità di cambiamento. Da qui, oggi, deve partire anche un pensiero e un augurio di cambiamento vero a chi si trova nelle carceri.

     Un altro maestro che voglio ricordare è lo scrittore Corrado Alvaro, un grande calabrese che ha scritto: «Abbiamo il diritto di sapere non solo ciò che i rappresentanti del popolo hanno in testa, ma anche quello che hanno in tasca». Alvaro ci ricorda che la politica è servizio per il bene comune, che per questo vive tra il piano etico e la realtà concreta, respira con entrambi i polmoni; e che una politica asservita al denaro, al potere, ruba la speranza, il futuro, la dignità di un popolo.

     E poi come non ricordare Umberto Zanotti Bianco? Ambientalista ed educatore, vissuto dal 1889 al 1963, vedeva come essenziale per lo sviluppo della Calabria il tema del patrimonio culturale: per tutta la sua vita ha perseguito una battaglia contro l’ineguaglianza.

     Siamo qui perché amiamo la vita. È noto che il nome Calabria deriva dal greco. E in greco significa: «Faccio sorgere il bello». Ma sappiamo anche che per i greci il Bello e il Bene erano idealmente concetti intrecciati, indivisibili, perché l’armonia delle forme si rifletteva nell’armonia di una società governata dal bene. Per questo è nata la democrazia, che toglie i soprusi e le prevaricazioni, che promuove la giustizia. In Calabria nacque nell’VIII secolo a.C. il nome Italia, e qui a Locri visse Zaleuco, il primo legislatore dell’Occidente. La Calabria è la culla della nostra civiltà, siate orgogliosi di essere calabresi!

     Siamo qui perché amiamo la vita. La prima mafia si annida nell’indifferenza, nella superficialità, nel quieto vivere, nel puntare il dito senza far nulla, nel girarsi dall’altra parte. L’omertà uccide la verità e la speranza. Quante verità passeggiano in incognito per le vie delle nostre città! Qui non c’è bisogno di «eroismi» ma di generosità e responsabilità, e soprattutto di agire insieme, curando tra di noi fiducia, alleanze, stupore, accogliendoci a vicenda. Solo insieme possiamo essere un segno di speranza.

     Ho parlato di consapevolezza e responsabilità: consapevolezza e responsabilità sono inseparabili. Le mafie sono forti in una società diseguale, fragile e culturalmente depressa. Le mafie sono forti dove non c’è un governo della democrazia e le istituzioni sono deboli. In una società più giusta e corresponsabile, in uno stato più forte, le mafie e la corruzione non troverebbero posto. Stare dalla parte del bene vuol dire innanzitutto non voltare lo sguardo di fronte al male, perché è necessario conoscere: se oggi il male è ancora così forte e diffuso, è anche perché le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni e la nostra indifferenza.

     Lo dico con convinzione: ci sono stati dei progressi, da riconoscere e valorizzare, ma ci sono stati anche ritardi, omissioni, promesse non mantenute. Delle misure urgenti sono state rinviate, oppure approvate soltanto dopo un compromesso al ribasso.

     Insieme alle mafie, il male principale del nostro paese rimane la peste della corruzione. E corruzione significa questo: che tra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica è sempre più difficile distinguere. Dobbiamo rompere questo intreccio. È urgente approvare la riforma del Codice antimafia sulla confisca dei beni, che è fermo da un anno e mezzo, e rafforzare nei suoi strumenti e nel suo personale operativo l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. È urgente che non vi sia alcun arretramento sulle misure in materia di appalti all’interno delle disposizioni del Codice attualmente in esame. Nessun compromesso al ribasso deve aver luogo sui termini di prescrizione dei reati e sulle intercettazioni. È urgente il completamento della normativa anti-corruzione del 2012. È necessario sbloccare le proposte di legge in materia di gioco d’azzardo. Bisogna completare l’iter di approvazione delle norme a tutela dei testimoni di giustizia; eliminare il limite temporale del 1961 per il riconoscimento dello status di vittima di mafia; equiparare completamente tutte le vittime di mafia e terrorismo; dare attenzione alle vittime della criminalità comune; applicare le leggi già approvate sul caporalato e le norme previste per i reati ambientali.

     In questi giorni abbiamo avuto una bella notizia: il presidente del Consiglio ha riconosciuto a Riccardo Orioles il diritto di usufruire della Legge Bacchelli, che prevede un aiuto economico per le persone che si sono distinte in campo culturale e che vivono in condizioni di grave difficoltà economica. Orioles è stato uno dei giovani formati da Pippo Fava nella redazione dei Siciliani, e da Fava, ucciso dalle mafie, ha ereditato la passione e l’etica di un giornalismo libero dai condizionamenti, interessato solo alla ricerca della verità. Un giornalismo di cui abbiamo oggi più che mai bisogno: puntuale, critico, ma capace anche di informare con onestà, senza pregiudizi e tesi precostituite.

     Voglio mandare anche un messaggio di affetto a Luciana Alpi, la mamma di Ilaria, e dirle che non la lasceremo sola, che non permetteremo alla sua comprensibile stanchezza di diventare rassegnazione, e continueremo a esserle accanto nella sua ricerca di verità e giustizia per Ilaria e per Milan Hrovatin, il suo teleoperatore.

     Siamo qui perché amiamo la vita. Vedo questa marea di giovani: siete meravigliosi! Siete portatori di vita, di diversità di vita. Accogliere voi significa accogliere la vita. Bisogna rigenerarsi insieme. La vita è un dono: rimanga dentro di voi questo dono. Riempite la vita di vita!

     Nessuno è insostituibile, ma nessuno nemmeno può agire al posto nostro. La nostra responsabilità è necessaria. Ricordatevi: fuggire dalle nostre responsabilità significa rinunciare alla nostra libertà. C’è bisogno di voi, del vostro contributo, della vostra creatività, della vostra fantasia, della vostra passione. C’è bisogno della partecipazione responsabile dei tanti onesti che abitano questi territori. Dobbiamo diventare tutti protagonisti di un cambiamento che dia libertà e speranza. Tutti, con le nostre diversità, perché le diversità sono il sale della vita. C’è bisogno di uscire dall’io per riorganizzare il noi. Ci vuole un impegno collettivo. Non rassegniamoci! Alla corruzione, alle mafie, alla povertà, alle disuguaglianze. Dobbiamo ribellarci all’impotenza, abbassare la guardia è rischioso. La malattia più terribile è la rassegnazione: non basta indignarci, dobbiamo impegnarci tutti!

     Ieri sono apparse delle scritte sui muri: «Meno sbirri, più lavoro». Quelli che chiamano «sbirri» sono persone al servizio dello stato, cioè di tutti noi. Persone che con professionalità e dedizione provvedono alla nostra sicurezza, alla tutela delle leggi. Dobbiamo essere loro grati. Io personalmente ho verso di loro un grande debito di gratitudine. Se leggo oggi «don Ciotti sbirro» la prendo non come un’offesa, ma come un complimento. Oggi, qui, siamo tutti orgogliosamente «sbirri».

     Il lavoro è, insieme al sapere, la base della dignità umana, e dunque scuola e lavoro sono i primi antidoti alle pesti della mafia e della corruzione. Deve essere però lavoro vero, onesto, tutelato dai diritti. Non il lavoro che le mafie procurano come segno del loro potere, un lavoro sottomesso, servile. Ma nemmeno il lavoro di tanta economia, dietro al quale si nascondono forme di sfruttamento, di riduzione della persona a mezzo di profitto, lavoro che non genera dignità ma disuguaglianza. Voglio qui mandare un saluto al fratello di Hiso Telaray, vittima del caporalato.

     Abbiamo bisogno di lavoro, di politiche sul lavoro che riducano le disuguaglianze e generino dignità. Ne ha bisogno l’Italia, ne ha bisogno la Calabria. Occorrono politiche concrete sul lavoro e misure che offrano opportunità ai giovani di rientrare in Calabria e nel Sud attraverso l’effettivo e mirato utilizzo dei fondi europei e nazionali esistenti e a disposizione.

     Siamo qui perché amiamo la vita. Abbiamo bisogno di una Chiesa che ci inviti a guardare verso il cielo senza distrarci dalle responsabilità che abbiamo verso la terra. Non m’interessa sapere chi sia Dio, mi basta sapere da che parte sta (Tonino Bello). Nessu-
no si «nasconda» dietro a Dio! La speranza, oggi, non nasce da prospettive straordinarie, viene dal noi. Il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi. Saper raccogliere i segni di speranza che ogni giorno si affacciano al nostro orizzonte.

     La vera terra promessa su questa terra è l’impegno per costruirla.

 

Luigi Ciotti

Tipo Documento
Tema Cultura e società Politica
Area EUROPA
Nazioni