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Documenti, 1/2018, 01/01/2018, pag. 52

Per un’arte del buon vicinato

Discorso alla città per la vigilia di Sant’Ambrogio

Mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano

«Voglio fare l’elogio delle istituzioni che oggi… si fanno carico della promozione del bene comune, della pace sociale e della promozione di una convivenza civile serena... Voglio fare l’elogio degli onesti e dei competenti, dei generosi e dei coraggiosi. Voglio fare il loro elogio anche per incoraggiare altri, anche per svegliare i giovani, per scuotere i pensionati in piena efficienza: fatevi avanti! Prendetevi qualche responsabilità! Dedicate tempo! Le istituzioni hanno bisogno di voi! La città, il paese, hanno bisogno di voi!». È un elogio della politica il Discorso alla città pronunciato da mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, nella tradizionale occasione della vigilia di Sant’Ambrogio, il 6 dicembre. S’intitola Per un’arte del buon vicinato. «Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?» (Mt 5,47), ed è il primo del nuovo vescovo, entrato ufficialmente nell’arcidiocesi ambrosiana il 24 settembre 2017. Il discorso, che propone un’alleanza «di cittadini e istituzioni, di fedeli e pastori della comunità cristiana e delle altre religioni», delinea il programma pastorale di una «Chiesa dalle genti», che sarà affrontato da un Sinodo minore che si aprirà il 18 gennaio 2014.

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Discorso alla città per la vigilia di Sant’Ambrogio

Mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano

Il discorso annuale pronunciato per la vigilia di Sant’Ambrogio 2022 dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, s’intitola E gli altri? Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico. L’atteso intervento, come sempre tenuto davanti alla cittadinanza il 6 dicembre nella basilica di Sant’Ambrogio, si apre con una «confidenza personale»: con il passare del tempo, scrive l’arcivescovo, egli fatica sempre più a sopportare il malumore, a giustificare il lamento e l’aggressività. Per questi motivi il testo, rivolto a tutti (dai cittadini alle istituzioni, dai laici ai credenti) sprona a guardare oltre sé stessi e a porsi l’importante domanda: «E gli altri?».

Per trovare risposta a questa domanda l’arcivescovo crea un elogio dell’inquietudine: la paura dell’ignoto e del futuro serpeggia in una città che corre e progetta, ma spesso a vantaggio di pochi. E gli altri? Ma anche il realismo della speranza merita un elogio: l’inquietudine può essere un rimedio e il confronto con «gli altri» rende civile la convivenza tra i popoli. Ma chi sono questi «altri»? I bambini e le donne vittime di abusi, gli anziani soli, chi non ha voce, chi non va a scuola, chi non lavora, chi è sottopagato… Nell’elogio della politica è la risposta: fare degli altri i veri interlocutori di ogni nostro pensiero e azione, nutrirli dei frutti prodotti dal realismo della speranza.