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Documenti, 11/2022, 01/06/2022, pag. 344

Pastorale migratoria interculturale

Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – Sezione migranti e rifugiati

Ogni incontro con un rifugiato o un migrante è un’occasione di scambio e arricchimento, nonché un’opportunità di incontrare Gesù stesso (cf. Mt 25,35). All’insegna di questa convinzione e alla luce del fenomeno migratorio crescente, la Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale ha pubblicato il 24 marzo i nuovi Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale. Il documento, con una prefazione di papa Francesco, si articola in sette capitoli dedicati alle sfide proposte dallo scenario migratorio contemporaneo. Ogni sezione, a sua volta, si suddivide in «Sfida» e «Risposta», dando così vita a un vademecum di buone pratiche che, grazie all’accoglienza, aiutino la Chiesa a crescere e ad arricchirsi culturalmente. Purtroppo la pandemia e la guerra cui stiamo assistendo, osserva il papa, risvegliano nazionalismi chiusi e aggressivi, sia nel mondo sia all’interno della Chiesa, la quale invece dovrebbe accogliere, integrare, proteggere e promuovere ogni individuo, senza distinzioni fra autoctoni e stranieri, residenti e ospiti.

Il documento si apre con una citazione dell’Evangelii gaudium di Francesco in cui, davanti alla sfida posta dal fenomeno migratorio, il papa esorta tutti i paesi «a una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali». 

 

Stampa (24.3.2022) da sito web www.vatican.va.

Prefazione

I presenti Orientamenti pastorali contengono proposte nell’ambito della pastorale interculturale e traducono, in maniera concreta, il mio invito, suggerito nell’enciclica Fratelli tutti, a far crescere una cultura dell’incontro. Vi esorto a tornare all’immagine del poliedro, che «rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…) Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo» (Fratelli tutti, n. 215).

«Siamo tutti sulla stessa barca», chiamati all’impegno di una fraternità universale. Per i membri della Chiesa cattolica tale appello si traduce in un impegno a essere sempre più fedeli al loro essere cattolici. Come ho scritto nel Messaggio per la 107a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato: «Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente».

Nei momenti di maggiore crisi, come quelli causati dalla pandemia e dalle guerre a cui stiamo assistendo, nazionalismi chiusi e aggressivi (Fratelli tutti, n. 11) e l’individualismo radicale (Fratelli tutti, n. 105) spaccano e dividono il noi, sia nel mondo che all’interno della Chiesa. Il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare «gli altri»: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, coloro che abitano le periferie esistenziali. Queste proposte propongono perciò un noi sempre più grande, che si rivolge tanto alla comunità umana quanto alla Chiesa.

«I fedeli cattolici sono chiamati a impegnarsi, ciascuno a partire dalla comunità in cui vive, affinché la Chiesa diventi sempre più inclusiva». Questi Orientamenti pastorali ci invitano ad ampliare il modo in cui viviamo l’essere Chiesa. Ci spingono a vedere il dramma dello sradicamento prolungato e ad accogliere, proteggere, integrare e promuovere i nostri fratelli e le nostre sorelle, oltre che a creare occasioni di cooperazione verso la comunione. Ci offrono di vivere una nuova Pentecoste nei nostri quartieri e nelle nostre parrocchie, prendendo coscienza della ricchezza della loro spiritualità e delle loro vibranti tradizioni liturgiche.

Si tratta altresì di un’occasione per vivere una Chiesa autenticamente sinodale, in cammino, non statica, mai soddisfatta: una Chiesa che «non fa distinzione tra autoctoni e stranieri, tra residenti e ospiti», perché in questa terra siamo tutti pellegrini.

Siamo chiamati a sognare insieme. Non dobbiamo avere paura di «sognare e di farlo insieme come un’unica umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti fratelli e sorelle» (Fratelli tutti, n. 8; Regno-doc. 17,2021,523). Le proposte qui raccolte ci invitano a far sì che questo sogno parta dalla nostra realtà concreta, allargandosi come una tenda fino ai confini della terra, integrando i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati, costruendo insieme il regno di Dio nella fraternità e nell’universalità.

Il Signore Gesù ci dice che ogni occasione di incontro con un rifugiato o un migrante è un’occasione per incontrare lui stesso (cfr. Mt 25,35). Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per creare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre un’uniformità che spersonalizza. In questa gioia dell’incontro, le comunità cattoliche sono invitate a crescere e a riconoscere la vita nuova che i migranti portano con sé.

Francesco

Vaticano, 3 marzo 2022.

Introduzione

«È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati (…) I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i paesi a una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali» (Evangelii gaudium, n. 210; EV 29/2316).

Ci rendiamo conto sempre di più che tutto il mondo viene sfidato a collaborare per affrontare insieme i bisogni e i diritti fondamentali delle persone colpite dallo sfollamento forzato, sia all’interno che al di là dei propri confini. Oggi la Chiesa cattolica è invitata a cercare un nuovo approccio per le relazioni umane. Questo inizia con il riconoscimento che siamo fratelli tutti, fratelli e sorelle tutti.

Come ho affermato nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2021, come Chiesa dobbiamo affrontare due sfide importanti, che allo stesso tempo rappresentano un’opportunità e costituiscono una missione, sia ad intra che ad extra.

La sfida ad intra riguarda il modo di vivere la cattolicità della nostra fede: una Chiesa che è capace di includere ognuno e riconosce che ogni persona battezzata nella Chiesa cattolica ne è un membro a pieno titolo, ovunque egli o ella possa essere. Questo comporta accogliere i cattolici provenienti da qualsiasi parte del mondo e integrarli nella comunità locale quali cittadini e membri alla pari, come afferma chiaramente san Paolo: «Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). Tutti i cattolici hanno il diritto alla piena appartenenza alla Chiesa, intesa come cittadinanza attiva: significa essere responsabili, partecipare alla vita della Chiesa, animare la liturgia e raggiungere le comunità con la propria religiosità e le proprie espressioni culturali. Il primo passo, dunque, è quello di far spazio, allargare la tenda per includere tutti senza alcuna divisione o separazione di classi, dove tutti possono mantenere le loro differenze per arricchire la comunità, sul modello della ricchezza della Trinità: l’unità di Dio nel quale sussistono tre persone.

La sfida ad extra riguarda il modo di essere una Chiesa realmente missionaria: raggiungere quelli che hanno bisogno di aiuto, gli scartati, gli emarginati, gli oppressi… tutte persone da riconoscere e delle quali prendersi cura perché è un comandamento del Signore. E, per mezzo della carità e dell’amore, incoraggiare la conversione del cuore, specialmente per coloro che sono al di fuori della Chiesa, sia per scelta personale, o a motivo del mancato annuncio anche a loro del messaggio salvifico di Gesù Cristo.

L’espressione visibile della vita della Chiesa in particolari comunità concrete dovrebbe riflettere la diversità dei suoi membri. I nuovi arrivati ci sfidano a ripensare la parrocchia, non modellata su un villaggio dove ognuno conosce l’altro e i nuovi arrivati sono visti come un’aggiunta dall’esterno, ma su una Chiesa in movimento, sempre aperta ad accogliere gli altri. Non si tratta di assimilazione, ma di un arricchimento e un cammino verso la trasformazione di tutti i membri della comunità, perché quelli che arrivano in un paese non dovrebbero sentirsi come cittadini di seconda classe, quanto invece parte della comunità, un unico «noi» come membri a pieno titolo della Chiesa.

Gli Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale cercano di offrire dei suggerimenti e una guida per l’azione, che possono essere articolati attraverso quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Con questi verbi il santo padre ha riassunto l’impegno della Chiesa cattolica a favore di quelli che vivono nelle periferie esistenziali, perché: «Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana».

1. Riconoscere e superare la paura 

Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione» (Gen 46,3).

La paura è una compagna assai presente nei viaggi di esseri umani e comunità che si trovano davanti a situazioni e contesti nuovi. Si comprende come l’Egitto, che rappresenta una realtà sconosciuta, incuta paura a Giacobbe nonostante le numerose affermazioni che tutto andrà bene. Si spera che la paura, che potrebbe produrre percezioni negative o opposizione nell’incontro con l’altro, non assuma proporzioni esagerate, ma venga considerata e poi superata grazie all’intervento sempre attento di Dio.

Sfida

Una percezione negativa dei migranti e rifugiati si frappone a una accoglienza reale di molti fratelli e sorelle vulnerabili in movimento. Percezioni distorte dello straniero inteso come minaccia alla sicurezza politica ed economica spesso portano le comunità locali ad aver paura dell’altro, compresi i migranti e i rifugiati, facendo aumentare atteggiamenti di intolleranza e xenofobia.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata ad aiutare le comunità locali a capire veramente il fenomeno della migrazione e a fornire un ambiente adatto per l’incontro reciproco. Questo può essere realizzato attraverso le seguenti azioni:

1. Affrontare le paure delle persone e aiutarle a superare la loro ansia, migliorando la loro conoscenza dei migranti e rifugiati, le loro storie, le cause profonde e gli effetti della loro migrazione. «Con l’aiuto di operatori sociali e pastorali, è così necessario far conoscere agli autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri».

2. Coinvolgere i mass media a diffondere le buone pratiche dell’accoglienza e dell’ospitalità, come pure le storie dei migranti e rifugiati che contribuiscono con successo allo sviluppo umano integrale delle comunità di accoglienza. «I mezzi di comunicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo di grande responsabilità: tocca a loro, infatti, smascherare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. (…) Anche i mezzi di comunicazione sono chiamati a entrare in questa “conversione di atteggiamenti” e a favorire questo cambio di comportamento verso i migranti e i rifugiati».

3. Utilizzare un linguaggio positivo nel parlare pubblicamente dei migranti e dei rifugiati e diffondere solidi argomenti basati sulla ricerca contro la loro falsa rappresentazione. «A tale riguardo, i mezzi d’informazione hanno un ruolo importante nella formazione dell’opinione pubblica e una responsabilità nell’uso di una corretta terminologia per ciò che concerne rifugiati, richiedenti asilo e altre forme di migrazione».

4. Promuovere empatia e solidarietà verso i migranti e i rifugiati, per riconoscerli come nostri fratelli e sorelle, portatori della stessa dignità umana e co-protagonisti nel costruire un «noi» sempre più ampio nella società e nel favorire una piena espressione della fraternità cristiana nella Chiesa. «Desidero invitarvi a una maggiore consapevolezza della vostra missione: vedere Cristo in ogni fratello e in ogni sorella bisognosi, proclamare e difendere la dignità di ogni migrante, di ogni persona dislocata e di ogni rifugiato. In tal modo, l’assistenza prestata non sarà considerata un’elemosina che dipende dalla bontà del nostro cuore, ma un atto dovuto di giustizia».

5. Coinvolgere adolescenti e giovani, che sono più aperti e hanno opinioni più comprensive nei confronti di migranti e rifugiati, in vista di un vero cambiamento nella narrativa migratoria. «Aiutate i giovani a crescere nella cultura dell’incontro, capaci di incontrare la gente diversa, le differenze, e a crescere con le differenze: così si cresce, con il confronto, con il confronto buono».

2. Promuovere l’incontro

Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,39).

Il cieco di Gerico vuole incontrare Gesù, ma gli altri cercano di fermarlo. Non si lascia scoraggiare da queste persone nel fare questo incontro, ma grida ancora più forte, per farsi sentire da Gesù. Viviamo in ambienti dove spesso si evita l’incontro; è anche ostacolato da persone che vorrebbero mantenere lo status quo o, peggio ancora, fomentare conflitti; o dove le persone cercano di mettere a tacere le voci degli emarginati, escludendoli dagli incontri che costruiscono la comunità. Promuovere l’incontro significa perseguirlo «ad alta voce» creando occasioni in cui tutte le voci, specialmente quelle delle persone più vulnerabili, possano essere ascoltate.

Sfida

Le comunità cattoliche si trovano spesso impreparate e disorientate a causa dell’arrivo di molti migranti e rifugiati. Questi ultimi, invece, potrebbero avere difficoltà a integrarsi con la gente del posto, ricorrendo alla creazione di zone di comfort e ghetti.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata a costruire ponti tra le comunità locali e i nuovi arrivati, promuovendo una vera «cultura dell’incontro». Questo può essere realizzato per mezzo delle seguenti azioni:

1. Impegnarsi in modo proattivo nella lotta alle disuguaglianze e promuovere un cambio da una cultura dello scarto a una cultura della cura e dell’incontro come elemento costitutivo della vita comunitaria. «I cristiani, forti della certezza della fede, possono dimostrare che, ponendo al primo posto la dignità della persona umana con tutte le sue esigenze, gli ostacoli creati dall’ingiustizia cominceranno a cadere».

2. Aiutare a vedere la migrazione come fenomeno globale interconnesso che offre opportunità di incontri arricchenti e crescita culturale per tutte le persone coinvolte. «Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza. Si dovrebbe invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro, in un contesto di autentica comprensione e benevolenza».

3. Preparare le persone a incontri vivificanti che traggono profitto da tutti i luoghi di formazione cattolica: scuole, classi di catechismo, gruppi giovanili, formazione alla fede e altri. «I consacrati e le consacrate, le comunità, le associazioni laicali e i movimenti ecclesiali, nonché gli operatori pastorali, devono sentirsi impegnati a educare anzitutto i cristiani all’accoglienza, alla solidarietà e all’apertura verso gli stranieri, affinché le migrazioni diventino una realtà sempre più “significativa” per la Chiesa, e i fedeli possano scoprire i semina Verbi (semi del Verbo) insiti nelle diverse culture e religioni».

4. Invitare le parrocchie a creare spazi di incontro in cui sia le persone del posto che i nuovi arrivati abbiano l’opportunità di condividere le loro esperienze e celebrare la loro diversità culturale: ad esempio eventi sportivi, feste o altri eventi sociali. Data la loro particolare sensibilità e necessità, dovrebbero essere messi a punto dei programmi pastorali specifici per i giovani del posto e per i nuovi arrivati. «Le Chiese particolari sono chiamate dunque ad aprirsi, proprio a causa dell’Evangelo, a una miglior accoglienza dei migranti, anche con iniziative pastorali d’incontro e di dialogo, ma altresì aiutando i fedeli a superare pregiudizi e prevenzioni».

5. Formare agenti pastorali che siano «costruttori di ponti», promotori di un dialogo arricchente e di condivisione tra autoctoni e nuovi arrivati. Ciò può iniziare mettendosi in contatto con i nuovi arrivati all’interno del territorio parrocchiale e invitandoli a diventare membri attivi della comunità locale. «Tutti gli sforzi che potrete compiere gettando ponti tra comunità ecclesiali, parrocchiali, diocesane, come pure mediante le Conferenze episcopali saranno un gesto profetico della Chiesa che in Cristo è “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”» (Lumen gentium, n. 1).

3. Ascoltare ed essere compassionevoli 

«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15).

Il vero ascolto è sempre un esercizio di simpatia ed empatia, il che significa che la persona che ascolta deve imparare a prendersi cura della persona che condivide la sua esperienza, e che l’esperienza umana deve risuonare nel proprio cuore. È questo atteggiamento di sentire e di prendersi cura degli altri e con gli altri che unisce le persone e genera una comunità umana compassionevole.

Sfida

A causa del sospetto o dell’impreparazione, le comunità cattoliche locali potrebbero trascurare le esperienze e i bisogni, le paure e le aspirazioni dei migranti e dei rifugiati, impedendo l’empatia e la compassione necessarie per rendere l’incontro con loro significativo e arricchente.

Risposta

Considerando ogni occasione di incontro con migranti e rifugiati bisognosi come un’occasione unica per incontrare Gesù Cristo stesso (cf. Mt 25,32) e praticare il comandamento dell’amore, la Chiesa cattolica è chiamata ad ascoltarli ferventemente e a crescere nella compassione. Questo può essere realizzato attraverso le seguenti azioni:

1. Promuovere all’interno delle comunità cattoliche locali una cultura della cura dei migranti e dei rifugiati che sono profondamente feriti, con un’attenzione particolare ai minori. «“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37; cf. Mt 18,5; Lc 9,48; Gv 13,20). Con queste parole gli evangelisti ricordano alla comunità cristiana un insegnamento di Gesù che è entusiasmante e, insieme, carico di impegno. Questo detto, infatti, traccia la via sicura che conduce fino a Dio».

2. Invitare i parrocchiani, in particolare gli adolescenti e i giovani, a coinvolgersi personalmente in programmi di assistenza a favore dei migranti e dei rifugiati bisognosi, per favorire l’empatia e la compassione. «Sacerdoti, religiosi e religiose, laici e, soprattutto, giovani uomini e donne siano sensibili nell’offrire sostegno a tante sorelle e fratelli che, fuggiti dalla violenza, devono confrontarsi con nuovi stili di vita e difficoltàdi integrazione.L’annuncio della salvezza in Gesù Cristo sarà fonte di sollievo, speranza e “gioia piena”» (cf. Gv15,11).

3. Includere corsi di counseling e ascolto come parte della formazione degli operatori pastorali per la cura dei migranti. «È pertanto necessario che fin dall’inizio, nei seminari, “la formazione spirituale, teologica, giuridica e pastorale … sia sensibilizzata ai problemi sollevati nel campo della pastorale delle persone nella mobilità”».

4. Incoraggiare gli operatori sanitari e sociali cattolici a offrire servizi specifici per migranti e rifugiati bisognosi e anche corsi di formazione agli agenti pastorali come parte della loro missione. «Sociologi, psicologi, antropologi, economisti, giuristi e canonisti, moralisti e teologi si riunirebbero e, confrontando le proprie conoscenze ed esperienze con coloro che hanno la cura d’anime, contribuirebbero ad approfondire la comprensione del fenomeno e a proporre i mezzi adatti a farvi fronte».

4. Vivere la nostra cattolicità

«Voi sapete che a un giudeo non è lecito avere contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo» (At 10,28).

Pietro, animato dallo Spirito e dall’invito del centurione romano Cornelio, riconosce apertamente il suo presupposto che siano da evitare persone che appartengono a nazioni e religioni diverse. Ma ammette anche apertamente che Dio gli ha indicato una strada nuova e diversa: la via per invitare le genti a partecipare alla salvezza offerta da Cristo e vissuta in pienezza nella cattolicità della Chiesa. Questo è il cammino che da quel momento in poi la Chiesa, sorretta dallo Spirito, è chiamata a percorrere.

Sfida

Una tendenza all’uniformità preconfezionata e alla retorica nazionalistica all’interno di alcune comunità cattoliche locali si scontra con il vero significato della Chiesa, che è per sua natura universale, formata da persone con lingue e tradizioni diverse. Questa tendenza porta a divisioni e mette in pericolo gli sforzi fatti per favorire un’espressione autentica della comunione universale della Chiesa.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata a comprendere la molteplicità dei suoi membri come una ricchezza da apprezzare, come un’occasione per far vedere di essere sempre più «cattolici» e anche come un dono da celebrare attraverso liturgie vibranti e rispettose delle diverse tradizioni culturali. Questo può essere fatto attraverso le seguenti azioni e riflessioni:

1. Favorire la comprensione della Chiesa come comunione nella diversità, a immagine del Dio uno
e trino, e come madre di tutti, una casa e una famiglia per tutti i battezzati: «In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell’unità».

2. Vedere l’autentica molteplicità dell’espressione culturale e religiosa all’interno delle comunità cattoliche locali come un’opportunità per imparare dalle diverse tradizioni e per promuovere l’apprezzamento interculturale attraverso la comunicazione creativa. «Sacramento di unità, la Chiesa vince le barriere e le divisioni ideologiche o razziali e a tutti gli uomini e a tutte le culture proclama la necessità di tendere alla verità, in una prospettiva di giusto confronto, di dialogo e d’accoglienza reciproca. Le diverse identità culturali devono così aprirsi a una logica universale, non già sconfessando le proprie positive caratteristiche, ma mettendole a servizio dell’intera umanità. Mentre impegna ogni Chiesa particolare, questa logica evidenzia e manifesta quell’unità nella diversità che si contempla nella visione trinitaria, la quale, a sua volta, rimanda la comunione di tutti alla pienezza della vita personale di ciascuno».

3. Garantire spazi adatti per la celebrazione della liturgia e invitare i fedeli a partecipare alle varie celebrazioni per apprezzare la ricchezza della spiritualità e delle tradizioni cattoliche. «L’unità della Chiesa non è data dall’origine e lingua comuni, ma dallo Spirito di Pentecoste che, raccogliendo in un solo popolo genti di lingue e nazioni diverse, conferisce a tutte la fede nello stesso Signore e la chiamata alla stessa speranza».

4. Offrire una cura pastorale specifica – ministri, strutture e programmi – a tutti i fedeli provenienti dalle diverse etnie è da intendersi sempre come il primo passo di un processo di integrazione a lungo termine, volto a realizzare la comunione nella diversità. «Le conferenze episcopali, dato l’odierno grande numero di emigranti e di turisti, sono pregate d’affidare a un sacerdote delegato a questo scopo,o a unaspeciale Commissione, tutto ciò che si riferisce allo studio e all’organizzazione del loro servizio spirituale».

5. Una formazione specifica per accrescere le capacità e le competenze dei ministri e degli agenti pastorali per promuovere l’attuazione dei punti precedenti. «Una preparazione specifica costituisce una necessità imprescindibile, sia per la natura che per l’efficacia di questo tipo di pastorale. (…) Si percepisce sempre più chiaramente la necessità della formazione spirituale, teologica, giuridica e pastorale nei seminari e nei vari noviziati per i futuri sacerdoti da orientare verso i problemi posti dalla pastorale delle persone in movimento».

6. Formare i seminaristi al servizio di una Chiesa che è cattolica per natura e sempre più universale nella sua espressione vissuta, includendo nei loro studi teologici dei corsi specifici per favorire la loro conoscenza delle lingue parlate dai fedeli e facendo far loro un’esperienza pastorale nei paesi di origine dei migranti. «La cura delle persone migranti porterà davvero frutti se è svolta da persone che le conoscono bene [cioè la mentalità, i pensieri, la cultura e la vita spirituale] e che conoscono a fondo la lingua della gente. Si conferma così il già evidente vantaggio di prendersi cura delle persone che migrano attraverso sacerdoti della propria lingua, e questo finché l’utilità lo indica».

5. Considerare i migranti una benedizione 

«Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2).

Spesso si fa esperienza della grazia di Dio in modi sorprendenti e imprevedibili. La Lettera agli Ebrei, che fa riferimento all’incontro di Abramo e Sara con i tre uomini a Mamre (Gen 18), afferma che pellegrini e stranieri potrebbero essere i veicoli e i messaggeri inaspettati della grazia di Dio. È, allora, necessa-
rio accogliere le persone nella mobilità e i migranti per essere collegati a questo canale prezioso, attraverso cui Dio vuole arricchire e rivitalizzare le nostre comunità.

Sfida

Nei paesi dove i flussi migratori sono notevoli, in molte comunità cattoliche esiste un’ampia percentuale di migranti. In alcuni casi, quasi tutti i parrocchiani sono stranieri. Inoltre, in alcune diocesi, l’amministrazione dei sacramenti e dei servizi pastorali dipende già da sacerdoti che vengono dall’estero. Tuttavia, raramente questa viene vista come una benedizione, come un’occasione propizia per far rifiorire la vita ecclesiale, particolarmente laddove, a causa del secolarismo, il deserto spirituale avanza minacciosamente.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata a comprendere e valorizzare le opportunità che i migranti cattolici offrono per portare nuova vita alle comunità locali. Questo può essere fatto attraverso le seguenti azioni:

1. Riconoscere la presenza dei migranti nelle comunità cattoliche e favorire l’idea che una tale presenza sia una benedizione e un’occasione per aprirsi alla grazia di Dio che può dare energia nuova alla vita ecclesiale, in quanto i migranti possono essere portatori di nuove dinamiche rivitalizzanti. «Le loro peculiarità diventano richiamo alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nell’accettazione dell’altro. La vicenda migratoria può essere l’annuncio, quindi, del mistero pasquale, per il quale morte e risurrezione tendono alla creazione dell’umanità nuova nella quale non vi è più né schiavo né straniero (cf. Gal 3,28)».

2. Consentire ai migranti di vedere nella propria ricchezza un prezioso contributo alla vita delle comunità locali, mettendo a disposizione le capacità e le competenze acquisite nelle loro comunità di origine. «Molti migranti hanno svolto fin dalle origini un ruolo prezioso. Furono proprio dei migranti i primi missionari che affiancarono e coadiuvarono il lavoro degli apostoli nelle regioni della Giudea e della Samaria. Le migrazioni, come veicolo della fede, hanno rappresentato una costante nella storia della Chiesa e dell’evangelizzazione di interi paesi. Spesso all’origine di comunità cristiane, oggi fiorenti, troviamo piccole colonie di migranti, che sotto la guida di un sacerdote si radunavano in modeste chiese, per ascoltare la parola di Dio e chiedere a lui il coraggio di affrontare le prove e i sacrifici della loro dura condizione».

3. Preparare i migranti cattolici a essere veri missionari nei paesi di arrivo, testimoni della loro fede e annunciatori del Vangelo. Tale missione dovrebbe essere riconosciuta, promossa e sostenuta attraverso un’efficace cooperazione interecclesiale. «I rifugiati e altre persone forzatamente sradicate hanno un grande potenziale per l’evangelizzazione (…) Occorre sensibilizzarli e offrire loro la formazione necessaria, prima di tutto illuminandoli sul valore dellatestimonianza, ma non escludendo l’esplicito annuncio che tenga conto delle situazioni e circostanze, sempre nel pieno rispetto dell’altro.

4. Promuovere la partecipazione attiva dei migranti cattolici alla vita delle parrocchie locali, coinvolgendoli nei consigli pastorali parrocchiali, nei consigli economici e in altre responsabilità pastorali. «I migranti dovrebbero considerarsi non solo i destinatari delle cure pastorali della Chiesa, ma anche come gli effettivi contributori nella sua missione. Mentre la Chiesa cerca di alleviare le difficoltà che incontrano nel vivere il loro impegno per Cristo in un ambiente nuovo, particolarmente nella fase iniziale del loro inserimento, questo li incoraggia a coinvolgersi nella vita e nella missione della Chiesa».

5. Proporre nuove strutture pastorali per rispondere in modo più efficace alla crescente presenza dei migranti, cioè parrocchie interculturali, dove i programmi pastorali mirano a costruire una comunità arricchita dalla diversità. «Pastorale d’insieme significa qui, soprattutto, comunione che sa valorizzare l’appartenenza a culture e popoli diversi. (...) In questo senso si possono prevedere la parrocchia interculturale e interetnica o interrituale, dove si cura, allo stesso tempo, l’assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. La parrocchia tradizionale territoriale diventerebbe così un luogo privilegiato e stabile di esperienze interetniche o interculturali, pur conservando, i singoli gruppi, una certa autonomia».

6. Sviluppare programmi catechistici e pastorali innovativi che tengano conto della presenza significativa di bambini e giovani di seconda generazione e delle dinamiche interculturali che possono portare all’interno delle comunità locali. «Chiediamo che una speciale attenzione sia rivolta ai bambini e ai giovani migranti o immigrati poiché essi stanno tra due culture, specialmente offrendo loro opportunità di gestire e servire la comunità e incoraggiando tra loro le vocazioni».

7. Offrire una formazione specifica ai sacerdoti stranieri che prestano servizio nelle comunità locali, in modo da renderli mediatori capaci di promuovere un’integrazione rivitalizzante tra fedeli locali e nuovi arrivati. «Un’attenta e generosa cooperazione tra le diocesi è importante per fornire sacerdoti e religiosi che siano idonei per questo importante ministero. Orientamenti per la loro formazione e la loro accoglienza da parte della diocesi ospitante devono essere elaborati congiuntamente con la diocesi di partenza. Durante la loro permanenza nella diocesi ospitante, sacerdoti e religiosi dall’estero meritano un’ampia
e attenta assistenza perché si orientino e una buona accoglienza».

8. Formare ministri e seminaristi capaci di mettere in pratica i punti menzionati precedentemente. «Questa preparazione deve fondarsi sulla rivelazione profetica dell’accoglienza; sul richiamo evangelico della solidarietà cristiana, sul fondamento teologico dei diritti umani e sull’assoluto convincimento della dignità della persona umana. È ovvio che una formazione così motivata sia il migliore presupposto perché le varie disposizioni della Chiesa a favore dei migranti di qualsiasi religione, cultura e condizione sociale possano essere attuate con tempestività e con uno spirito veramente sacerdotale».

6. Realizzare la missione evangelizzatrice

«Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?» (At 11,17).

Dio Padre, per mezzo dello Spirito Santo, offre a tutti, senza esclusione, i doni vivificanti di fede, speranza e carità in Gesù. La Chiesa non deve ostacolare la missione di Dio restringendo questa offerta universale in nome di principi religiosi ed etnocentrici distorti. La missione appartiene a Dio, ed egli ha affidato questa missione alla Chiesa. La Chiesa compie la sua missione guidata dallo Spirito Santo annunciando il Vangelo a tutte le nazioni.

Sfida

Molte comunità cattoliche percepiscono l’arrivo di migranti e rifugiati di altre confessioni o senza fede come una minaccia alla loro identità religiosa e culturale consolidata. Questo porta spesso ad assumere atteggiamenti di sfiducia e sospetto che impediscono qualsiasi tipo di interazione significativa con loro.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata a considerare la presenza di tanti migranti e rifugiati di altre fedi o senza fede un’occasione provvidenziale per compiere la sua missione evangelizzatrice attraverso la testimonianza e la carità. Questo può essere perseguito attraverso le seguenti azioni:   

1. Fare una riflessione missiologica che veda le migrazioni come segno dei tempi e come occasione per riflettere su come la Chiesa possa abbracciare tutti, e diffondere tra i fedeli i risultati di tale riflessione. «Al fine di dare “ragioni” alla cura pastorale dei migranti e dei rifugiati, vi invito ad approfondire la riflessione teologica sulle migrazioni come segno dei tempi».

2. Preparare i fedeli del posto a incontrare i migranti e rifugiati di altre fedi o senza fede, e ciò rappresenta un’occasione concreta di testimonianza gioiosa che può approfondire e rafforzare la fede cattolica. «I cristiani sono chiamati perciò a testimoniare e praticare, oltre allo spirito di tolleranza – che pure è una grandissima acquisizione politica e culturale, e anche religiosa –, il rispetto dell’altrui identità, avviando, dove è possibile e conveniente, percorsi di condivisione con persone di origine e cultura differenti, in vista anche di un “rispettoso annuncio” della propria fede».

3. Promuovere atteggiamenti di accoglienza e servizi caritativi a favore di tutti i migranti e rifugiati presenti nelle comunità locali come modo opportuno per annunciare l’amore misericordioso di Dio e la salvezza di Gesù Cristo. «Per questo, la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. (...) Attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede (cf. Gc 2,18). E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare».

4. Aiutare le comunità locali a impegnarsi nel dialogo interreligioso, partendo da una conoscenza solida ed equilibrata delle altre religioni, che vada al di là di generalizzazioni e pregiudizi. «“Una sola famiglia umana”, una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze».

5. Includere la missione ai migranti e ai rifugiati nei programmi pastorali a livello diocesano e parrocchiale. «Le migrazioni possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera».

6. Formare ministri e seminaristi per essere in grado di attuare i punti menzionati sopra. «La pastorale dei migranti non è solo l’opera di missionari distac-
cati, ma è l’opera di tutta la Chiesa locale, preti, religiosi e laici» ed è di tale importanza che deve diventare oggetto di «uno sforzo costante di studio e di approfondimento sotto l’aspetto teologico, pastorale e organizzativo».

7. Cooperare in vista della comunione

«E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).

La nostra vocazione di discepoli missionari, membri battezzati della Chiesa, è quella di promuovere e rafforzare la comunione e l’unità nella diversità, seguendo l’esempio di Gesù. È il pastore che si prende cura non solo di coloro che sono normalmente considerati «le sue pecore», ma anche di tutta l’umanità. La via della comunione diventa allora il cammino verso la fraternità universale.

Sfida

Le attività di assistenza a migranti e rifugiati da parte di diverse entità cattoliche sono spesso frammentarie e non coordinate. Ciò può compromettere l’efficacia dell’apostolato, causare divisioni interne e provocare la perdita di risorse. Mancanze simili influiscono anche sul lavoro di altre organizzazioni impegnate nell’assistenza ai migranti e rifugiati.

Risposta

La Chiesa cattolica è chiamata a promuovere una cooperazione efficace tra tutte le entità cattoliche, e tra queste e tutte le altre organizzazioni. Questo può essere fatto attraverso le seguenti azioni:

1. Garantire il coordinamento degli sforzi di tutte le entità cattoliche impegnate nella pastorale dei migranti attraverso incontri regolari, in cui tutti sono chiamati a condividere visioni e progetti per un’azione efficace in comunione con la Chiesa locale.

È perciò necessario stabilire come la Chiesa locale possa essere rafforzata in modo da poter essere in grado di affrontare le sfide future che sorgano da un certo grado di continuità di impegni. A questo fine le organizzazioni caritative cattoliche dovrebbero sempre operare in stretta collaborazione con la struttura diocesana/eparchiale locale sotto la guida del vescovo diocesano/eparchiale. Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, i competenti dicasteri della Santa Sede possono offrire consiglio e assistenza.

2. Promuovere la cooperazione tra le Chiese locali nei paesi di partenza, transito e arrivo dei migranti e rifugiati, fondata su una responsabilità pastorale condivisa. In definitiva è l’unica Chiesa che si prende cura dei migranti e rifugiati.

Da parte loro, le Chiese d’origine, quelle di transito e quelle di accoglienza dei flussi migratori sappiano intensificare la loro cooperazione, a beneficio sia di chi parte sia di chi arriva e, in ogni caso, di chi ha bisogno di incontrare sul suo cammino il volto misericordioso di Cristo nell’accoglienza del prossimo.

3. Migliorare la cooperazione ecumenica, sia nella preghiera che nell’azione, a partire dalla promozione di una progettazione pastorale comune tra i leader cristiani che prestano servizio nello stesso territorio. «La collaborazione tra le varie Chiese cristiane e le varie religioni non cristiane in quest’opera di carità porterà a nuove tappe nella ricerca e nella realizzazione di una più profonda unità della famiglia umana».

4. Aumentare gli incontri interreligiosi a livello locale e non, per riflettere insieme sulla migrazione, difendere i diritti dei migranti e dei rifugiati e diffondere il messaggio della fraternità universale. «Al riguardo, la Chiesa cattolica sente sempre più importante il bisogno di un dialogo che, a partire dalla coscienza della identità della propria fede, possa aiutare le persone a entrare in contatto con le altre religioni. Dialogo indica non solo il colloquio, ma anche l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre credenze, per una mutua conoscenza».

5. Promuovere azioni congiunte e cooperazione tra diverse organizzazioni religiose, enti della società civile, governi e agenzie internazionali al fine di perseguire insieme il più ampio noi. «In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile a impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie».

Conclusione

Crescendo libere da ogni paura, in particolare da quelle che si basano su percezioni fuorvianti, le comunità cattoliche sono chiamate a costruire ponti con i nuovi arrivati, promuovendo una vera «cultura dell’incontro». Ci auguriamo sinceramente che questo opuscolo aiuti i suoi lettori a diventare veramente costruttori di ponti, desiderosi di approfondire la loro consapevolezza, attraverso l’esperienza, della ricchezza che la presenza dei migranti e rifugiati porta nelle nostre comunità.

Considerando ogni occasione di incontro con migranti e rifugiati bisognosi come un’opportunità per incontrare Gesù Cristo stesso (cfr. Mt 25,35), le comunità cattoliche sono invitate a comprendere e valorizzare le opportunità che i migranti offrono per portare una nuova vita alle loro comunità e a crescere nell’apprezzamento dell’altro, celebrando liturgie vivaci e rispettose delle diverse tradizioni culturali.

Le comunità cattoliche sono invitate a considerare la presenza di molti migranti e rifugiati di altre fedi o senza fede come un’occasione provvidenziale per realizzare la missione evangelizzatrice della Chiesa attraverso la testimonianza e la carità.

Così facendo, le comunità cattoliche promuoveranno naturalmente un’efficace cooperazione tra tutte le istituzioni, contribuendo all’immagine e all’invito che il profeta Isaia presenta al popolo di Dio: «Gli stranieri che si uniscono al Signore... questi li porterò al mio santo monte, e gioiranno nella mia casa di preghiera... perché la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,6-7).

Grazie alla consapevolezza della presenza di migranti e rifugiati che, per grazia di Dio, sta crescendo nelle comunità cattoliche, la Chiesa continuerà a mettere in luce la molteplicità dei suoi membri come una ricchezza da apprezzare e il contributo degli sfollati come un’occasione per esprimere più fortemente e visibilmente la cattolicità della nostra fede.

«Per i membri della Chiesa cattolica tale appello si traduce in un impegno a essere sempre più fedeli
al loro essere cattolici. (…) Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza. Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante nell’unica casa, componente dell’unica famiglia».

In effetti questi orientamenti pastorali mirano a farci partire dal basso e ad allargarci fino ai confini più remoti dei nostri paesi per accogliere, proteggere, promuovere e integrare i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati, costruendo il regno di Dio nella fraternità e nell’universalità, e a unirci a Zaccaria mentre canta: «E del giuramento fatto ad Abramo nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore in santità e giustizia, al suo cospetto, per tutti i nostri giorni» (Lc 1,73-75).

 

Tipo Documento
Tema Pastorale - Liturgia - Catechesi Santa Sede
Area
Nazioni