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Documenti, 3/2024, 01/02/2024, pag. 119

L’antisemitismo e l’esempio dei Giusti

Il presidente della Repubblica in occasione della celebrazione del Giorno della memoria

Sergio Mattarella

«Anche ai nostri giorni la ruota della storia sembra talvolta smarrire la sua strada, portando l’umanità indietro, a tempi e stagioni che mai avremmo pensato di dover rivivere. Le conquiste della pace e delle libertà democratiche… vanno salvaguardate di fronte a risorgenti tentazioni di risolvere le controversie attraverso il ricorso alla guerra, alla violenza, alla sopraffazione. Parole d’ordine, gesti di odio e di terrore sembrano di nuovo affascinare e attrarre, nel nostro continente ma anche altrove».

Il 26 gennaio si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la celebrazione del Giorno della memoria, fissata il 27 gennaio (in Italia dal 2000) «al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che… si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati» (legge n. 211 del 2000).

Nel suo discorso il presidente Mattarella ha collegato il tema della memoria con la guerra in corso tra Israele e Hamas: «Assistiamo nel mondo… a un ritorno di antisemitismo che ha assunto recentemente la forma dell’indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini, persino neonati. Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah».

 

Stampa (29.1.2024) da sito web www.quirinale.it. Titolazione redazionale.

«La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: ne rappresenta il fondamento condotto all’estremo, oltre ogni limite della legge morale che è incisa nella coscienza umana». Con queste parole un sopravvissuto all’inferno di Auschwitz, Primo Levi, scolpiva, nel 1973, il giudizio sulle radici e sulle responsabilità prime dello sterminio organizzato e programmato ai danni di donne e uomini definiti di razze inferiori, il più grave compiuto nella storia dell’umanità. Il più abominevole dei crimini, per gravità e per dimensione − il genocidio di milioni di persone innocenti −, commesso a metà dello scorso secolo nel cuore della civile Europa, dove già da molto tempo gli ideali di libertà, di rispetto dei diritti dell’uomo, di tolleranza, di fratellanza, di democrazia si erano diffusi, e venivano proclamati e largamente praticati.

Il tradimento della storia

Il senso di incredulità registrato di fronte a quanto accaduto in quegli anni sventurati, accanto al pudore dei sopravvissuti, rinchiusisi in un primo momento nel silenzio, traeva la sua origine anche da una concezione ottimistica della storia e della natura dell’uomo.

L’uomo del Novecento − immerso nel tempo della ragione, della fiducia incondizionata nell’avanzamento della scienza, della cultura, della tecnica − mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte a un tornante così tragico; mai avrebbe concepito la possibilità di una simile regressione: mentre si confidava – come veniva conclamato − in un’alba radiosa per l’umanità, si trovò improvvisamente precipitato nelle tenebre più fitte. 

Auschwitz spalancava – e spalanca tuttora − i suoi cancelli su un abisso oltre ogni immaginazione. Un orrore assoluto, senza precedenti – cui null’altro può essere parificato −, ideato e realizzato in nome di ideologie fondate sul mito della razza, dell’odio, del fanatismo, della prevaricazione. Un orrore che sembrava inconcepibile tanto era lontano dai sentimenti che normalmente si attribuiscono al genere umano.

Eppure Auschwitz e tutto il meccanismo di sterminio − che ha inghiottito milioni di ebrei, e anche appartenenti al popolo Romanì, omosessuali, dissidenti, disabili, testimoni di Geova − sono stati concepiti e realizzati da menti umane. Menti che, per quanto perverse, hanno sedotto, attratto e spinto alla complicità centinaia di migliaia di persone, trasformate in «volenterosi carnefici» secondo la lucida definizione di Daniel Goldhagen.

Eppure le ideologie di superiorità razziale, la religione della morte e della guerra, il nazionalismo predatorio, la supremazia dello stato, del partito, sul diritto inviolabile di ogni persona, il culto della personalità e del capo, sono stati virus micidiali prodotti dall’uomo, virus che si sono diffusi rapidamente, contagiando gran parte d’Europa, scatenando istinti barbari e precipitando il mondo intero dentro una guerra funesta e rovinosa.

«Siamo uomini – ammoniva ancora Primo Levi –, apparteniamo alla stessa famiglia umana a cui appartennero i nostri carnefici», dimostrando «per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell’uomo dopo millenni di vita civile».

La fiammella dei Giusti

Nel buio più fitto, nella lunga e oscura notte dell’umanità, prendendo a prestito un’immagine di Elie Wiesel, tante piccole fiammelle hanno indicato una strada diversa dall’odio e dall’oppressione.

Sono stati i «Giusti», secondo una terminologia cara al popolo ebraico perseguitato. Persone che, per motivazioni diverse, hanno rischiato la propria vita e talvolta l’hanno perduta per mettere in salvo cittadini ebrei dalla furia omicida nazifascista. Un lungo elenco di nomi, quasi ottocento − come abbiamo ascoltato − quelli finora accertati in Italia, una costellazione di luci e di speranza che continua a rassicurare sul destino dell’umanità.

Persone tra le più disparate: donne e uomini, laici e religiosi, partigiani, appartenenti alle forze dell’ordine, funzionari dello stato, intellettuali, contadini. Accomunati dal coraggio, dalla rivolta contro la crudeltà, dal senso di umanità.

C’è chi ha nascosto e protetto, chi ha falsificato documenti e liste, chi ha aiutato a espatriare. Migliaia di gesti, grandi e piccoli, di ribellione contro il conformismo e contro l’ideologia imperante.

Abbiamo ricordato quest’oggi qualche nome: da Giorgio Perlasca a Gino Bartali e gli altri che, nel video e nelle letture, sono stati riproposti alla nostra riconoscenza. Desidero citarne alcuni altri che hanno condiviso il tragico destino della deportazione delle persone che hanno tentato di salvare.

Odoardo Focherini, amministratore del giornale cattolico Avvenire d’Italia; Torquato Fraccon, partigiano, morto a Dachau insieme al figlio; il domenicano padre Giuseppe Girotti; Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del comune di Varese; Giovanni Palatucci, reggente della questura di Fiume; Andrea Schivo, agente di custodia nel carcere San Vittore di Milano. Scoperti e arrestati dai nazifascisti, hanno concluso la vita nei Lager tedeschi.

Di fronte alla barbarie, di fronte all’ingiustizia, tutte queste persone non hanno girato la testa, non hanno volto lo sguardo altrove. Hanno sconfitto, innanzitutto dentro loro stessi, la paura, l’inerzia complice, l’indifferenza che, come ci ricorda spesso Liliana Segre − cui rivolgo un pensiero affettuoso a ottant’anni della sua deportazione − è la più perniciosa delle colpe.

I Giusti hanno dimostrato, a rischio della propria vita e di quella delle loro famiglie, che il senso di umanità, se rettamente coltivato, resiste in ogni condizione e supera persino i confini del tempo e della morte. Ci hanno insegnato, anche di fronte a tragedie immani, il valore salvifico dei gesti di coraggiosa solidarietà. Perché, per ripetere anch’io questa mattina il celebre detto del Talmud, «chi salva una vita salva il mondo intero».

L’esempio dei Giusti rischiara la nostra via e il nostro percorso. E consente di ritessere quella trama di fiducia nel genere umano che con la costruzione dei campi di sterminio sembrava per sempre distrutta.

Tuttavia, di fronte a questi esempi di altruismo, di coraggio, di abnegazione risaltano ancor di più i crimini commessi da altri uomini e altre donne, in nome di regimi dittatoriali e brutali.

Celebrare doverosamente i Giusti non deve far dimenticare i tanti, troppi ingiusti: i pavidi, i delatori per denaro, per invidia o per conformismo; i cacciatori di ebrei; gli assassini; gli ideologi del razzismo.

Non c’è torto maggiore che si possa commettere nei confronti della memoria delle vittime che annegare in un calderone indistinto le responsabilità o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe, personali o collettive.

Non si deve mai dimenticare che il nostro paese, l’Italia, adottò durante il fascismo – in un clima di complessiva indifferenza − le ignobili leggi razziste: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei. Un portato inestinguibile di dolore, di sangue, di morte sul quale mai dovremo far calare il velo del silenzio. I morti di Auschwitz, dispersi nel vento, ci ammoniscono continuamente: il cammino dell’uomo procede su strade accidentate e rischiose.

Il ritorno dell’antisemitismo

Lo manifesta anche il ritorno, nel mondo, di pericolose fattispecie di antisemitismo: del pregiudizio che ricalca antichi stereotipi antiebraici, potenziato da social media senza controllo e senza pudore. La nostra Costituzione dispone con chiarezza: tutti i cittadini sono portatori degli stessi diritti.

La presenza ebraica è stata fondamentale per lo sviluppo dell’Italia moderna e nella formazione della Repubblica. Le comunità ebraiche italiane sanno che l’Italia è la loro casa e che la Repubblica, di cui sono parte integrante, non tollererà in alcun modo minacce, intimidazioni e prepotenze nei loro confronti.

Anche ai nostri giorni la ruota della storia sembra talvolta smarrire la sua strada, portando l’umanità indietro, a tempi e stagioni che mai avremmo pensato di dover rivivere. Le conquiste della pace e delle libertà democratiche sono esaltanti e vanno salvaguardate di fronte a risorgenti tentazioni di risolvere le controversie attraverso il ricorso alla guerra, alla violenza, alla sopraffazione. Parole d’ordine, gesti di odio e di terrore sembrano di nuovo affascinare e attrarre, nel nostro continente ma anche altrove.

Su questo occorrerebbe compiere un’approfondita riflessione, indagando le motivazioni che spingono numerose persone a coltivare in modo inaccettabile simboli e tradizioni di ideologie nefaste e minacciose, che hanno portato all’umanità soltanto dolore, distruzione, morte.

Va richiamata, a questo riguardo, l’importanza decisiva della cultura, dell’istruzione. Di quanto – ad esempio − sono preziose le collaborazioni di studio e ricerca tra le università, sempre positive; sempre fonte di avanzamento di civiltà, al di sopra di ogni frontiera. Sempre affermazione del carattere della cultura, che unisce e non può separare.

Il fanatismo, religioso o nazionalista, che − mosso da antistoriche e disumane motivazioni − non tollera non soltanto il diritto, ma neppure la presenza dell’altro, del diverso, ritiene di poter imporre la sua visione con la forza, la guerra e la violenza, violando i principi fondamentali del diritto internazionale e della civiltà umana. Siamo di fronte a un nuovo «crinale apocalittico» per usare un’espressione cara a Giorgio La Pira.

In alcune zone del mondo, in un’epoca così travagliata come la nostra, sembra divenuta impossibile non soltanto la convivenza, ma persino la vicinanza.

Assistiamo nel mondo – ripeto − a un ritorno di antisemitismo che ha assunto recentemente la forma dell’indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini, persino neonati. Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah.

Non si può negare il diritto a uno stato

Siamo convinti che i giacimenti di odio siano stati ingigantiti da parole e atti spietati, persino blasfemi. Il sogno di una pace, sancita dal reciproco riconoscimento e rispetto delle tre religioni monoteiste figlie di Abramo, appare lontano − forse come non è mai stato in tempi recenti −, ma rimane l’orizzonte di un riscatto di questa parte del mondo, e non soltanto di questa.

Guardiamo a Israele come paese a noi vicino e pienamente amico, oggi e in futuro, per condivisione di storia e di valori. Siamo e saremo sempre impegnati per la sua sicurezza. Sentiamo crescere in noi, di giorno in giorno, l’angoscia per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas.

L’angoscia sorge anche per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza. Anzitutto per l’irrinunziabile rispetto dei diritti umani di ciascuno, ovunque. E anche perché una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili rischia di far sorgere nuove leve di risentimenti e di odio. Può accrescere gli ostacoli per il raggiungimento di una soluzione capace di assicurare pace e prosperità in quella regione, così centrale nella storia dell’umanità e così martoriata.

Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno stato. Ci ostiniamo a rimanere fiduciosi nel futuro dell’umanità. Nella convinzione profonda che un futuro intriso di intolleranza, di guerra e di violenza non sia il desiderio inscritto nelle coscienze delle donne e degli uomini.

I Giusti, con il loro coraggio, con la loro speranza e il loro sacrificio ci indicano la direzione e ci esortano ad agire, con determinazione e a tutti i livelli, contro i predicatori di odio e contro i portatori di morte.

I Giusti italiani sono tra le radici migliori della nostra Repubblica. Per questo li celebriamo e li onoriamo, tutti insieme, come popolo italiano e come comunità, oggi, nel Giorno della memoria.

Sergio Mattarella

 

Tipo Documento
Tema Politica Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

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Di fronte ai tentennamenti, alle sgrammaticature, alle ambiguità di alcuni esponenti dell’attuale destra di governo e di fronte a un clima di radicalizzazione che ha coinvolto alcuni commentatori e alcuni esponenti della sinistra, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Cuneo il 25 aprile per le celebrazioni del 78° anniversario della Liberazione d’Italia dal regime fascista e dall’occupazione nazista, ha ricordato nell’ordine: il rapporto costitutivo tra antifascismo e Resistenza e tra Resistenza e Costituzione; tra Costituzione repubblicana e forma e valori delle istituzioni democratiche; tra antifascismo, Resistenza e principi di civiltà, che furono programmaticamente conculcati e annichiliti, in nome di teorie aberranti, dal fascismo.

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Contro le mafie: memoria e impegno

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«C’è bisogno di uscire dall’io per riorganizzare il noi. Ci vuole un impegno collettivo. Non rassegniamoci! Alla corruzione, alle mafie, alla povertà, alle disuguaglianze… Non basta indignarci, dobbiamo impegnarci tutti!» (don Ciotti). A partire dal 2017 lo stato italiano ha istituito, con la Legge n. 20 dell’8.3.2017, la «Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie», fissandola al 21 marzo e ufficializzando così una manifestazione organizzata ogni anno dalle associazioni «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie» e «Avviso pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie» (giunta quest’anno alla 22a edizione). L’evento si è svolto a Locri, in Calabria, dal 19 al 21 marzo, e ha visto tra gli interventi più significativi quello del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, a sua volta familiare di una vittima della mafia (il fratello Piersanti era presidente della Regione Sicilia nel 1980, quando venne ucciso); e quello di don Luigi Ciotti, presidente di Libera. «Accanto agli strumenti della prevenzione e della repressione, bisogna perfezionare quelli per prosciugare le paludi dell’inefficienza, dell’arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di stato, che sono l’ambiente naturale in cui le mafie vivono e prosperano» (Mattarella).