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Documenti, 5/2024, 01/03/2024, pag. 129

Gestis verbisque

Nota del Dicastero per la dottrina della fede sulla validità dei sacramenti

La materia e la forma «rappresentano l’elemento sensibile e oggettivo del sacramento», mentre «l’intenzione del ministro… rappresenta il suo elemento interiore e soggettivo». Essa, tuttavia, «tende per sua natura a manifestarsi anche esternamente attraverso l’osservanza del rito stabilito dalla Chiesa, cosicché la grave modifica degli elementi essenziali introduce anche il dubbio sulla reale intenzione del ministro, inficiando la validità del sacramento celebrato» (n. 19). L’invalidità dei sacramenti celebrati, con la conseguenza di dover ripetere il rito, è il problema che ha indotto il Dicastero per la dottrina della fede, con l’incoraggiamento e l’espressa approvazione di papa Francesco, a pubblicare il 3 febbraio questa «nota». In essa il Dicastero, con ampie citazioni del magistero conciliare e postconciliare, offre «alcuni elementi di carattere dottrinale» sulla validità della celebrazione dei sacramenti, «prestando attenzione anche ad alcuni risvolti disciplinari e pastorali» (n. 4). Le conclusioni sono chiare: «Appare sempre più urgente maturare un’arte del celebrare che, tenendosi a distanza tanto da un rigido rubricismo quanto da una fantasia sregolata, conduca a una disciplina da rispettare, proprio per essere autentici discepoli» (n. 27).

 

 

Stampa (5.2.2024) da sito web www.vatican.va.

Presentazione

Già in occasione dell’Assemblea plenaria del Dicastero del gennaio 2022, i cardinali e i vescovi membri avevano espresso la loro preoccupazione per il moltiplicarsi di situazioni in cui si era costretti a costatare l’invalidità dei sacramenti celebrati. Le gravi modifiche apportate alla materia o alla forma dei sacramenti, rendendone nulla la celebrazione, avevano poi condotto alla necessità di rintracciare le persone coinvolte per ripetere il rito del battesimo o della cresima e un numero importante di fedeli hanno giustamente espresso il loro turbamento. Ad esempio, invece di usare la formula stabilita per il battesimo, si sono utilizzate formule come quelle che seguono: «Io ti battezzo nel nome del Creatore…» e «A nome del papà e della mamma… noi ti battezziamo». In una tale grave situazione si sono ritrovati anche dei sacerdoti. Questi ultimi, essendo stati battezzati con formule di questo tipo, hanno scoperto dolorosamente l’invalidità della loro ordinazione e dei sacramenti sino a quel momento celebrati.

Mentre in altri ambiti dell’azione pastorale della Chiesa si dispone di un ampio spazio per la creatività, una simile inventiva nell’ambito della celebrazione dei sacramenti si trasforma piuttosto in una «volontà manipolatrice» e non può perciò essere invocata. Modificare, dunque, la forma di un sacramento o la sua materia è sempre un atto gravemente illecito e merita una pena esemplare, proprio perché simili gesti arbitrari sono in grado di produrre un gravoso danno al popolo fedele di Dio.

Nel discorso rivolto al nostro Dicastero, in occasione della recente Assemblea plenaria, il 26 gennaio 2024, il santo padre ha ricordato che «mediante i sacramenti, i credenti diventano capaci di profezia e di testimonianza. E il nostro tempo ha bisogno con particolare urgenza di profeti di vita nuova e di testimoni di carità: amiamo dunque e facciamo amare la bellezza e la forza salvifica dei sacramenti!». In questo contesto ha altresì indicato che «ai ministri è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano».

È così che, da una parte, il santo padre ci invita ad agire in modo tale che i fedeli possano avvicinarsi fruttuosamente ai sacramenti, mentre dall’altra parte sottolinea con forza il richiamo a una «particolare cura» nella loro amministrazione.

A noi ministri è pertanto richiesta la forza di superare la tentazione di sentirci proprietari della Chiesa. Dobbiamo, al contrario, diventare assai ricettivi davanti a un dono che ci precede: non soltanto il dono della vita o della grazia, ma anche i tesori dei sacramenti che ci sono stati affidati dalla madre Chiesa. Non sono nostri! E i fedeli hanno il diritto, a loro volta, di riceverli così come la Chiesa dispone: è in questa maniera che la loro celebrazione è corrispondente all’intenzione di Gesù e rende attuale ed efficace l’evento della Pasqua.

Col nostro religioso rispetto di ministri verso quanto la Chiesa ha stabilito riguardo alla materia e alla forma di ogni sacramento, manifestiamo di fronte alla comunità la verità che «il capo della Chiesa, e dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo».

La nota che qui presentiamo non tratta perciò di una questione meramente tecnica o persino «rigorista». Con il pubblicarla, il Dicastero intende principalmente esprimere luminosamente la priorità dell’agire di Dio e salvaguardare umilmente l’unità del corpo di Cristo che è la Chiesa nei suoi gesti più sacri.

Possa questo documento, approvato unanimemente il 25 gennaio 2024 dai membri del Dicastero riuniti in Assemblea plenaria e poi dallo stesso santo padre Francesco, rinnovare in tutti i ministri della Chiesa la piena consapevolezza di quanto Cristo ci ha detto: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).

Víctor Manuel card. Fernández,

prefetto

Introduzione

1. Con eventi e parole intimamente connessi, Dio rivela e attua il suo disegno di salvezza per ogni uomo e donna, destinati alla comunione con lui. Questa relazione salvifica si realizza in maniera efficace nell’azione liturgica, dove l’annuncio della salvezza, che risuona nella Parola proclamata, trova la sua attuazione nei gesti sacramentali. Questi, infatti, rendono presente nella storia umana l’agire salvifico di Dio, che ha il suo culmine nella pasqua di Cristo. La forza redentiva di quei gesti dà continuità alla storia di salvezza che Dio va realizzando nel tempo.

Istituiti da Cristo, i sacramenti sono, dunque, azioni che attuano, per mezzo di segni sensibili, l’esperienza viva del mistero della salvezza, rendendo possibile la partecipazione degli esseri umani alla vita divina. Sono i «capolavori di Dio» nella nuova ed eterna alleanza, forze che escono dal corpo di Cristo, azioni dello Spirito operante nel suo corpo che è la Chiesa.

Per questo la Chiesa nella liturgia celebra con amore fedele e venerazione i sacramenti che Cristo stesso le ha affidato, perché li custodisca come preziosa eredità e fonte della sua vita e della sua missione.

2. Purtroppo si deve costatare che non sempre la celebrazione liturgica, in particolare quella dei sacramenti, si svolge nella piena fedeltà ai riti prescritti dalla Chiesa. Più volte questo Dicastero è intervenuto per dirimere dubia sulla validità di sacramenti celebrati, nell’ambito del Rito romano, nell’inosservanza delle norme liturgiche, dovendo talvolta concludere con una dolorosa risposta negativa, costatando, in quei casi, che i fedeli sono stati derubati di ciò che è loro dovuto, «vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce». A titolo esemplificativo si potrebbe fare riferimento a celebrazioni battesimali in cui la formula sacramentale è stata modificata in un suo elemento essenziale, rendendo nullo il sacramento e compromettendo in questo modo il futuro cammino sacramentale di quei fedeli per i quali, con grave disagio, si è dovuto procedere a ripetere la celebrazione non solo del battesimo, ma anche dei sacramenti ricevuti successivamente.

3. In talune circostanze si può costatare la buona fede di alcuni ministri che, inavvertitamente o spinti da sincere motivazioni pastorali, celebrano i sacramenti modificando le formule e i riti essenziali stabiliti dalla Chiesa, magari per renderli, a loro parere, più idonei e comprensibili. Con frequenza, però, «il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice». Si manifesta in questo modo anche una lacuna formativa, soprattutto in ordine alla consapevolezza del valore dell’agire simbolico, tratto essenziale dell’atto liturgico-sacramentale.

4. Per aiutare i vescovi nel loro compito di promotori e custodi della vita liturgica delle Chiese particolari loro affidate, il Dicastero per la dottrina della fede intende offrire in questa nota alcuni elementi di carattere dottrinale in ordine al discernimento sulla validità della celebrazione dei sacramenti, prestando attenzione anche ad alcuni risvolti disciplinari e pastorali.

5. Lo scopo del presente documento, inoltre, vale per la Chiesa cattolica nella sua interezza. Tuttavia, le argomentazioni teologiche che lo ispirano ricorrono talvolta a categorie proprie della tradizione latina. Si affida, pertanto, al sinodo o all’assemblea dei gerarchi di ciascuna Chiesa orientale cattolica di adeguare debitamente le indicazioni di questo documento, ricorrendo al proprio linguaggio teologico, laddove esso differisca da quello in uso nel testo. Il risultato sia, quindi, sottoposto, previamente alla pubblicazione, all’approvazione del Dicastero per la dottrina della fede.

I. La Chiesa si riceve
e si esprime nei sacramenti

6. Il concilio Vaticano II riferisce analogicamente la nozione di sacramento all’intera Chiesa. In particolare, quando nella costituzione sulla sacra liturgia afferma che «dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa», esso si ricollega alla lettura tipologica, cara ai padri, del rapporto tra Cristo e Adamo. Il testo conciliare evoca la nota affermazione di sant’Agostino, il quale spiega: «Adamo dorme perché sia formata Eva; Cristo muore perché sia formata la Chiesa. Dal fianco di Adamo che dorme è formata Eva; dal fianco di Cristo morto in croce, colpito dalla lancia, sgorgano i sacramenti con cui viene formata la Chiesa».

7. La costituzione dogmatica sulla Chiesa ribadisce che quest’ultima è «in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». E ciò si realizza precipuamente per mezzo dei sacramenti, in ciascuno dei quali si attua a suo modo la natura sacramentale della Chiesa, corpo di Cristo. La connotazione della Chiesa quale sacramento universale di salvezza «mostra come l’economia sacramentale determini ultimamente il modo in cui Cristo, unico Salvatore, mediante lo Spirito raggiunge la nostra esistenza nella specificità delle sue circostanze. La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l’esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio».

8. Proprio costituendo la Chiesa come suo corpo mistico, Cristo rende i credenti partecipi della sua stessa vita, unendoli alla sua morte e risurrezione in modo reale e arcano attraverso i sacramenti. La forza santificatrice dello Spirito Santo agisce infatti nei fedeli mediante i segni sacramentali, rendendoli pietre vive di un edificio spirituale, fondato sulla pietra angolare che è Cristo Signore, e costituendoli come popolo sacerdotale, partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo.

9. I sette gesti vitali, che il concilio di Trento ha solennemente dichiarato di istituzione divina, costituiscono così un luogo privilegiato dell’incontro con Cristo Signore che dona la sua grazia e che, con le parole e gli atti rituali della Chiesa, nutre e irrobustisce la fede. È nell’eucaristia e in tutti gli altri sacramenti che «ci viene garantita la possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza della sua pasqua».

10. Cosciente di ciò la Chiesa, fin dalle sue origini, ha avuto particolare cura delle fonti dalle quali attinge la linfa vitale per la sua esistenza e la sua testimonianza: la parola di Dio, attestata dalle sacre Scritture e dalla tradizione, e i sacramenti, celebrati nella liturgia, mediante i quali è continuamente ricondotta al mistero della pasqua di Cristo.

Gli interventi del magistero in materia sacramentale sono sempre stati motivati dalla fondamentale preoccupazione di fedeltà al mistero celebrato. La Chiesa, infatti, ha il dovere di assicurare la priorità dell’agire di Dio e di salvaguardare l’unità del corpo di Cristo in quelle azioni che non hanno uguali perché sono sacre «per eccellenza» con una efficacia garantita dall’azione sacerdotale di Cristo.

II. La Chiesa custodisce
ed è custodita dai sacramenti

11. La Chiesa è «ministra» dei sacramenti, non ne è padrona. Celebrandoli ne riceve essa stessa la grazia, li custodisce e ne è a sua volta custodita. La potestas che essa può esercitare in riferimento ai sacramenti è analoga a quella che possiede nei riguardi della sacra Scrittura. In quest’ultima la Chiesa riconosce la parola di Dio, messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, stabilendo il canone dei libri sacri. Allo stesso tempo però si sottomette a questa Parola, che «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone». In modo simile la Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, riconosce quei segni sacri mediante i quali Cristo elargisce la grazia che promana dalla pasqua, determinando il loro numero e indicando, per ciascuno di essi, gli elementi essenziali.

Facendo ciò, la Chiesa è consapevole che amministrare la grazia di Dio non significa appropriarsene, ma farsi strumento dello Spirito nel trasmettere il dono del Cristo pasquale. Essa sa, in particolare, che la sua potestas in ordine ai sacramenti si ferma di fronte alla loro sostanza. Come nella predicazione la Chiesa deve sempre annunciare fedelmente il Vangelo di Cristo morto e risorto, così nei gesti sacramentali essa deve custodire i gesti salvifici che Gesù le ha affidato.

12. È pur vero che non sempre in modo univoco la Chiesa ha indicato i gesti e le parole in cui consiste questa sostanza divinitus instituta. Per tutti i sacramenti, in ogni caso, appaiono fondamentali quegli elementi che il magistero ecclesiale, in ascolto del sensus fidei del popolo di Dio e in dialogo con la teologia, ha denominato materia e forma, ai quali si aggiunge l’intenzione del ministro.

13. La materia del sacramento consiste nell’azione umana attraverso la quale agisce Cristo. In essa a volte è presente un elemento materiale (acqua, pane, vino, olio), altre volte un gesto particolarmente eloquente (segno della croce, imposizione delle mani, immersione, infusione, consenso, unzione). Tale corporeità appare indispensabile perché radica il sacramento non solo nella storia umana, ma anche, più fondamentalmente, nell’ordine simbolico della creazione e lo riconduce al mistero dell’incarnazione del Verbo e della redenzione da lui operata.

14. La forma del sacramento è costituita dalla parola, che conferisce un significato trascendente alla materia, trasfigurando il significato ordinario dell’elemento materiale e il senso puramente umano dell’azione compiuta. Tale parola trae sempre in varia misura ispirazione dalla sacra Scrittura, affonda le sue radici nella vivente tradizione ecclesiale ed è stata autorevolmente definita dal magistero della Chiesa mediante un attento discernimento.

15. La materia e la forma, per il loro radicamento nella Scrittura e nella Tradizione, non sono mai dipese né possono dipendere dal volere del singolo individuo o della singola comunità. A loro riguardo, infatti, compito della Chiesa non è quello di determinarle a piacimento o arbitrio di qualcuno, ma, salvaguardando la sostanza dei sacramenti (salva illorum substantia), di indicarle con autorevolezza, nella docilità all’azione dello Spirito.

Per alcuni sacramenti la materia e la forma appaiono sostanzialmente definite fin dalle origini, per cui risulta immediata la loro fondazione da parte di Cristo; per altri la definizione degli elementi essenziali è venuta precisandosi solo nel corso di una storia complessa, talvolta non senza una rilevante evoluzione.

16. A questo proposito non si può ignorare che quando la Chiesa interviene nella determinazione degli elementi costitutivi del sacramento, essa agisce sempre radicata nella Tradizione, per meglio esprimere la grazia conferita dal sacramento.

È in questo contesto che la riforma liturgica dei sacramenti, avvenuta secondo i princìpi del concilio Vaticano II, chiedeva di rivedere i riti in modo che essi esprimessero più chiaramente le realtà sante che significano e producono. La Chiesa, con il suo magistero in materia sacramentale, esercita la sua potestas nel solco di quella tradizione vivente «che viene dagli apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo».

Riconoscendo, dunque, sotto l’azione dello Spirito, il carattere sacramentale di alcuni riti, la Chiesa li ha ritenuti corrispondenti all’intenzione di Gesù di rendere attuale e partecipabile l’evento pasquale.

17. Per tutti i sacramenti, in ogni caso, l’osservanza della materia e della forma è sempre stata richiesta per la validità della celebrazione, con la consapevolezza che modifiche arbitrarie all’una e/o all’altra – la cui gravità e forza invalidante vanno appurate di volta in volta – mettono a repentaglio l’effettiva elargizione della grazia sacramentale, con evidente danno dei fedeli. Sia la materia sia la forma, compendiate dal Codice di diritto canonico, sono stabilite nei libri liturgici promulgati dalla competente autorità, i quali devono pertanto essere osservati fedelmente, senza «aggiungere, togliere o mutare alcunché».

18. Legata alla materia e alla forma è l’intenzione del ministro che celebra il sacramento. È chiaro che qui il tema dell’intenzione va ben distinto da quello della fede personale e della condizione morale del ministro, che non intaccano la validità del dono di grazia. Egli, infatti, deve avere l’«intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa», rendendo l’azione sacramentale un atto veramente umano, sottratto a ogni automatismo, e un atto pienamente ecclesiale, sottratto all’arbitrio di un individuo. Inoltre, poiché ciò che fa la Chiesa non è altro che ciò che Cristo ha istituito, anche l’intenzione, insieme alla materia e alla forma, contribuisce a rendere l’azione sacramentale il prolungamento dell’opera salvifica del Signore.

Materia, forma e intenzione sono tra loro intrinsecamente unite: esse si integrano nell’azione sacramentale in modo tale che l’intenzione divenga il principio unificante della materia e della forma, facendo di esse un segno sacro mediante il quale la grazia è conferita ex opere operato.

19. A differenza della materia e della forma, che rappresentano l’elemento sensibile e oggettivo del sacramento, l’intenzione del ministro – insieme alla disposizione del ricevente – rappresenta il suo elemento interiore e soggettivo. Essa, tuttavia, tende per sua natura a manifestarsi anche esternamente attraverso l’osservanza del rito stabilito dalla Chiesa, cosicché la grave modifica degli elementi essenziali introduce anche il dubbio sulla reale intenzione del ministro, inficiando la validità del sacramento celebrato. In linea di principio, infatti, l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa si esprime nell’utilizzo della materia e della forma che la Chiesa ha stabilito.

20. Materia, forma e intenzione sono sempre inserite nel contesto della celebrazione liturgica, che non costituisce un ornatus cerimoniale dei sacramenti e nemmeno una didascalica introduzione alla realtà che si compie, ma è nel suo complesso l’avvenimento in cui continua a realizzarsi l’incontro personale e comunitario tra Dio e noi, in Cristo e nello Spirito Santo, incontro nel quale, attraverso la mediazione di segni sensibili, «viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati».

La necessaria sollecitudine per gli elementi essenziali dei sacramenti, dai quali dipende la loro validità, deve pertanto accordarsi con la cura e il rispetto dell’intera celebrazione, in cui il significato e gli effetti dei sacramenti sono resi pienamente intelligibili da una molteplicità di gesti e parole, favorendo in tal modo l’actuosa participatio dei fedeli.

21. La stessa liturgia permette quella varietà che preserva la Chiesa dalla «rigida uniformità». Per questo motivo il concilio Vaticano II ha stabilito che, «salva la sostanziale unità del Rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni».

In forza di ciò, la riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II non solo ha autorizzato le conferenze episcopali a introdurre adattamenti generali all’editio typica latina, ma ha altresì previsto la possibilità di adattamenti particolari da parte del ministro della celebrazione, con l’unico scopo di venire incontro alle necessità pastorali e spirituali dei fedeli.

22. Tuttavia, affinché la varietà «non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva», resta chiaro che, al di fuori dei casi espressamente indicati nei libri liturgici, «regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa», che risiede, a seconda delle circostanze, nel vescovo, nell’assemblea episcopale territoriale, nella sede apostolica.

È chiaro, infatti, che «modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il sacramento stesso, perché la natura dell’azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto (cf. 1Cor 15,3)».

III. La presidenza liturgica
e l’arte del celebrare

23. Il concilio Vaticano II e il magistero post- conciliare permettono di inquadrare il ministero della presidenza liturgica nel suo corretto significato teologico. Il vescovo e i presbiteri suoi collaboratori presiedono le celebrazioni liturgiche, in modo culminante l’eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana», in persona Christi (capitis) e nomine Ecclesiae. In entrambi i casi, si tratta di formule che – pur con alcune varianti – sono ben attestate dalla Tradizione.

24. La formula in persona Christi significa che il sacerdote ripresenta Cristo stesso nell’evento della celebrazione. Ciò si realizza in modo culminante quando, nella consacrazione eucaristica, pronuncia le parole del Signore con la stessa efficacia, identificando, in virtù dello Spirito Santo, il suo io con quello di Cristo. Quando poi il Concilio precisa che i presbiteri presiedono l’eucaristia in persona Christi capitis, non intende avallare una concezione secondo cui il ministro disporrebbe, in quanto «capo», di un potere da esercitare arbitrariamente. Il capo della Chiesa, e dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo. Egli è «il capo del corpo cioè della Chiesa» (Col 1,18), in quanto la fa scaturire dal suo fianco, la nutre e la cura amandola fino a dare se stesso per lei (cf. Ef 5,25.29; Gv 10,11). La potestas del ministro è una diaconia, come Cristo stesso insegna ai discepoli nel contesto dell’Ultima cena (cf. Lc 22,25-27; Gv 13,1-20). Coloro che, in forza della grazia sacramentale, vengono configurati a lui, partecipando dell’autorità con cui egli guida e santifica il suo popolo, sono pertanto chiamati, nella liturgia e nell’intero ministero pastorale, a conformarsi alla medesima logica, essendo stati costituiti pastori non per spadroneggiare sul gregge ma per servirlo sul modello di Cristo, pastore buono delle pecore (cf. 1Pt 5,3; Gv 10,11.14).

25. In pari tempo, il ministro che presiede la celebrazione agisce nomine Ecclesiae, formula che chiarisce che egli, mentre ripresenta Cristo capo di fronte al suo corpo che è la Chiesa, rende altresì presente di fronte al proprio capo questo corpo, anzi questa sposa, quale soggetto integrale della celebrazione, popolo tutto sacerdotale a nome del quale il ministro parla e agisce. Del resto, se è vero che «quando uno battezza è Cristo stesso che battezza», lo è altrettanto il fatto che «la Chiesa, quando celebra un sacramento, agisce come corpo che opera inseparabilmente dal suo capo, in quanto è Cristo-capo che agisce nel corpo ecclesiale da lui generato nel mistero della pasqua». Ciò evidenzia la reciproca ordinazione tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, consentendo di comprendere che il secondo esiste al servizio del primo, e proprio per questo – come si è visto – nel ministro che celebra i sacramenti non può mai mancare l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

26. La duplice e combinata funzione espressa dalle formule in persona Christinomine Ecclesiae, e la reciproca feconda relazione tra sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale, unita alla consapevolezza che gli elementi essenziali per la validità dei sacramenti vanno considerati nel loro contesto proprio, cioè l’azione liturgica, renderanno il ministro sempre più consapevole che «le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa», azioni che, pur nella «diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione attiva», «appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano». Proprio per questo, il ministro comprenda che l’autentica ars celebrandi è quella che rispetta ed esalta il primato di Cristo e l’actuosa participatio di tutta l’assemblea liturgica, anche attraverso un’umile obbedienza alle norme liturgiche.

27. Appare sempre più urgente maturare un’arte del celebrare che, tenendosi a distanza tanto da un rigido rubricismo quanto da una fantasia sregolata, conduca a una disciplina da rispettare, proprio per essere autentici discepoli: «Non si tratta di dover seguire un galateo liturgico: si tratta piuttosto di una “disciplina” – nel senso usato da Guardini – che, se osservata con autenticità, ci forma: sono gesti e parole che mettono ordine dentro il nostro mondo interiore facendoci vivere sentimenti, atteggiamenti, comportamenti. Non sono l’enunciazione di un ideale al quale cercare di ispirarci, ma sono un’azione che coinvolge il corpo nella sua totalità, vale a dire nel suo essere unità di anima e di corpo».

Conclusione

28. «Noi (…) abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7). L’antitesi utilizzata dall’Apostolo per sottolineare come la sublimità della potenza di Dio si riveli attraverso la debolezza del suo ministero di annunciatore ben descrive anche quanto accade nei sacramenti. La Chiesa tutta è chiamata a custodire la ricchezza in essi contenuta, perché mai venga offuscato il primato dell’agire salvifico di Dio nella storia, pur nella fragile mediazione di segni e di gesti propri della umana natura.

29. La virtus operante nei sacramenti plasma il volto della Chiesa, abilitandola a trasmettere il dono di salvezza che Cristo morto e risorto, nel suo Spirito, vuole partecipare a ogni uomo. Nella Chiesa, ai suoi ministri in particolare, è affidato questo grande tesoro, perché quali «servi premurosi» del popolo di Dio lo nutrano con l’abbondanza della Parola e lo santifichino con la grazia dei sacramenti. Spetta a loro per primi fare in modo che «la bellezza del celebrare cristiano» si mantenga viva e non venga «deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia».

Solo così la Chiesa può, di giorno in giorno, «crescere nella conoscenza del mistero di Cristo, immergendo la (…) vita nel mistero della sua pasqua, in attesa del suo ritorno».

Il sommo pontefice Francesco, nell’udienza concessa al sottoscritto prefetto del Dicastero per la dottrina della fede il giorno 31 gennaio 2024, ha approvato la presente nota, decisa nella Sessione plenaria di questo Dicastero, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato in Roma, presso la sede del Dicastero per la dottrina della fede, il 2 febbraio 2024, nella festa della Presentazione del Signore.

 

Víctor Manuel card. Fernández,

prefetto

mons. Armando Matteo,

segretario per la Sezione dottrinale

ex audientia diei 31.1.2024: Franciscus

 

Tipo Documento
Tema Santa Sede Pastorale - Liturgia - Catechesi
Area
Nazioni