Marcello Neri
Francesco ci ha lavorato su a lungo, ha lentamente dissodato il campo della sua parola alla gente, fino all’altro giorno quando nel corso dell’udienza generale ha rotto ogni indugio: e ci ha detto che è proprio così che si sente il Dio di Gesù. In tutta semplicità, come sa fare lui, ha convocato i nostri sensi e il nostro corpo (quelli che ogni essere umano è) alla vertigine della relazione affettiva con Dio. Per un attimo, ci siamo sentiti restituiti alle pagine più luminose del Vangelo; quelle davanti alle quali ti viene da dire “se fosse proprio così di Dio”, allora sì che ci puoi investire ciò che di più caro hai – appunto, tutti i nostri affetti: quelli che abbiamo per i cuccioli che generiamo alla vita, quelli che ci fanno fremere nell’incontro con la persona amata, quelli che discreti ma indefessi circolano nelle amicizie di una vita. Insomma, ciò che ci tiene in vita dandole calore e custodia.
Perché Dio, ci dice sempre il nostro, è la carezza che ci tiene in vita, prima della quale non c’è nulla. Bello da morire; e, infatti, per persuaderci che non sa essere nient’altro che questo, si è consegnato alla morte. L’unico gesto che aveva, per piantare nel nostro cuore la tenerezza originaria del suo mistero. È così che Francesco rimette in circolo nelle parole un po’ asfittiche della Chiesa di oggi il principio affettivo della Parola che è Dio. Anzi, fa molto di più – eppure i molti non sembrano accorgersene. Qui il successore di Pietro lavora alacremente alla restituzione di Dio al desiderio dei suoi desideri. Vedendo in questo il compito che rapisce la vita di colui che è chiamato a prendersi cura e a custodire i molti fratelli e sorelle nel Signore. Costi quel che costi, egli non recede di un millimetro da questo; perché non meno di questo è quello che tutti dobbiamo al Dio di Gesù.
Se così e non altrimenti è di Dio, allora ci sentiamo felici e anche un po’ confusi – ci confessa Francesco. Felici di scoprire che il segreto del nostro desiderio è il desiderio stesso di Dio – roba che inebria e ci chiede di mettere in gioco il meglio che abbiamo. Confusi dalla sorpresa, dalla inaspettata corrispondenza; ma anche dal fatto che l’affetto dei nostri affetti smaschera il nostro sospetto di aver pensato che Dio fosse ben altra cosa – così da poter giustificare la nostra lontananza da Lui. E la Chiesa del Signore sarà anche piena di difetti, di scandali che gridano vendetta a cospetto del Vangelo; ma questo non ci legittima a dubitare del suo indefesso essere affetto per noi. L’unica comunità che egli desidera, è quella edificata intorno a questo azzardo dell’affezione. E questo smaschera l’impresa prometeica che è la tentazione millenaria della Chiesa stessa: disciplinare e addomesticare questo eccesso di amore che è il Dio di Gesù. La parola di colui che ci custodisce nella fede risuona a monito della Chiesa tutta: sei qui unicamente per lasciar essere Dio il desiderio dei suoi desideri, e non per mortificarlo a ogni passo con la scusa di volerne proteggere l’onore.
E adesso non abbiamo più scuse, neanche quella di un pontificato in difetto di teologia – con buona pace di tutti. Francesco ha giocato fin dal principio a carte scoperte: inculcandoci a ogni occasione la riorganizzazione del cattolicesimo contemporaneo e della Chiesa intorno alle armoniche esigenti di una compiuta theologia cordis. Sì, proprio quella che prende le mosse dalla devozione al Sacro Cuore – dove Dio è solo affezione concreta per noi e la fede amore affettivo che gioisce e gode del sentire che di Lui è proprio così. Per noi teologi c’è lavoro abbastanza da spenderci una vita. La domanda è: ne siamo all’altezza? Perché il compito che Francesco ci affida è di quelli che fanno rabbrividire. Quando si/ci chiede se il pensiero di Dio ci commuove, ci stupisce, ci intenerisce; ci sta chiedendo una ragione della fede che si muova a partire dal sentire del corpo e sia sensibile alle affezioni dell’animo. Mica robetta. E quando ci dice che l’affetto dei nostri affetti che è Dio è la scaturigine originaria di ogni parola e predicazione su di Lui, ci sta chiedendo di ribaltare la forma mentis millenaria della teologia che abbiamo coltivato in casa nostra – quella che nullifica ogni possibilità di pensare e sentire il Dio di Gesù come affetto di agape, che vibra e vive di un corpo di carne. E solo qui. Non è impressionante questo – si chiede Francesco davanti al desiderio dei desideri che è Dio. Sarà bene rimboccarsi le maniche per essere all’altezza, col pensiero, di questa impressione dell’affezione di Dio. Verso dove si debba muovere questa rinnovata theologia cordis, Francesco ce lo ha detto chiaramente: ogni cucciolo d’uomo che viene al mondo deve sapere di poter mandare un bacio a Gesù – il gesto del loro intuito e quello dell’esigenza più alta della fede.