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Attualità
Attualità, 22/2019, 15/12/2019, pag. 693

Giubileo di Loreto

Un invito a ricordare i pellegrini antichi

Luigi Accattoli

Per una manciata di motivi stavolta dico qualcosa del pellegrinaggio a Loreto. Perché sono nato là vicino e vi ho sempre pellegrinato. Perché un’amica eritrea vi è andata ora da Roma nel fine settimana, con altre 7 eritree, nere tutte come la Vergine lauretana e tra loro c’erano 3 ortodosse, una protestante e una musulmana. Perché l’8 dicembre è partito il giubileo lauretano che andrà fino all’Immacolata del prossimo anno.

Il giubileo è indetto per il centenario della proclamazione della Madonna di Loreto a «patrona degli aeronauti», lei che volò con la casetta sua da Nazaret alla Marca d’Ancona. È un Anno santo rivolto in particolare alla gente dell’aria e degli aeroporti e sono curioso di vedere che ne verrà.

Tra i visitatori
ci sono anche dei musulmani

Curiosissimo sono poi dell’attrazione dell’antico santuario verso gente non cattolica: «La Madonna è di tutti», mi ha detto l’amica eritrea. Ma siete state a messa e avete fatto la comunione? «La comunione no ma la messa sì. Sappiamo la regola. Le cattoliche hanno fatto la comunione anche per noi che non la facevamo. Tutte siamo entrate nella santa casa». Forse i tempi nuovi non vengono solo per fare danno.

Ho chiesto all’arcivescovo di Loreto Fabio Dal Cin se ha notizia dei non cattolici che visitano il santuario e mi ha promesso che indagherà. Del resto è difficile sapere di chi va in incognito come le mie amiche.

Un riferimento ai non cattolici l’ho ascoltato nella conferenza di presentazione del giubileo che Dal Cin ha tenuto nella Sala stampa vaticana il 3 dicembre con l’arcivescovo Fisichella, che in curia si occupa anche di santuari: «In occasione di questo giubileo proponiamo un gesto di carità destinato a Nazaret, dove c’è l’altra metà della casa di Maria: si tratta di fornire nuove attrezzature per la neonatologia dell’ospedale Sacra Famiglia e aiutare l’Associazione Miriam nella lotta contro i tumori». Un ospedale e un’associazione a forte nota ecumenica, tant’è che viene indicato con il motto di spirito del direttore maronita Bishara Shoukair come «un ospedale cattolico che parla arabo e cura in ebraico».

Sapevo che, nei secoli, a Loreto venivano miscredenti e ortodossi e protestanti, ma venivano per vedere, non per pregare. Anche se poi uno prega quando meno se l’aspetta. Erano viaggiatori che includevano Loreto nei loro itinerari esplorativi.

I musulmani nei secoli vi venivano per rapina, ma anche le rapine possono avere esiti impensati. La mia mamma si chiamava Saracini, nata in una casa contadina a 7 chilometri dall’Adriatico, in comune di Recanati e io amo fantasticare che qualche saracino mio maggiore restò ferito nell’incursione e non riuscì a risalire sul burchiello con il quale era arrivato. In quelle terre trovò moglie ed ebbe figli.

L’attrazione nuova del santuario di Loreto verso le persone più semplici – tipo le colf venute dall’Eritrea – fino a ieri non la conoscevo. E mi pare sorella dell’attrazione che quel santuario ha sempre avuto verso i contadini delle Marche.

Mi metto tra loro dal momento che sono nato contadino in vista del santuario e non ho mai avuto difficoltà a immaginare Giuseppe, Maria e Gesù tra quelle mura annerite, così simili a quelle della casa nella quale sono nato.

I marchigiani ci andavano
con il biroccio tirato
dalle mucche

La vigilia di Natale, quando uscivamo per andare alla messa della notte, lasciavamo un lume acceso a un davanzale che dava sulla strada maestra. Quel lume stava a dire – spiegava la mamma – che offrivamo la nostra casa a Maria e Giuseppe, se avessero voluto fermarsi da noi, in quella notte in cui non trovavano posto nell’albergo.

Siccome la strada – da cui s’intravvedeva il lume, tremolante tra gli stecchi della siepe – era la stessa che portava a Loreto, noi bambini immaginavamo che Maria e Giuseppe non lo vedevano, il nostro piccolo lume, e continuavano a cercare fino a quando arrivavano alla casa di Loreto e lì si fermavano. Ma se l’avessero visto, Gesù avrebbe potuto benissimo nascere nella nostra casa e noi ve l’avremmo trovato tornando dalla messa.

A Loreto da bambino ci andavo a piedi, quando le strade erano bianche. E ricordo l’ultima volta che ci andammo con il biroccio tirato dalle mucche. Poi il mondo si riempì di moto e di auto, che fecero dimenticare il pellegrinaggio a piedi, che oggi però viene riscoperto, perché ciò che è stato nel cuore degli uomini può essere che torni – un giorno – nella loro vita.

Quell’ultimo viaggio con il biroccio è uno dei miei primi ricordi: avrò avuto 3 o 4 anni, sarà stato il 1946 o 1947. Si partiva con il buio e questa era già un’avventura. Si saliva tutti insieme, come per andare al mulino o alla festa di Sant’Antonio, quello degli animali. Gli uomini seduti sulle sponde, le donne e i bambini dentro, su una cassetta dell’uva rovesciata con sopra una coperta da cavallo.

Si stava a messa e si andava dalla zia suora: le portavamo le uova, lei ci dava la colazione e un pezzo di cioccolato. Una bambolina alle femminucce, un coltellino ai maschietti. Una volta ci regalò a tutti insieme una boccia di vetro con dentro la Madonnina che faceva la neve a rovesciarla. Alle bancarelle non si comprava niente, al massimo una carruba per ogni figlio.

Mi torna agli occhi
un barbone pellegrino

Dopo il 1950 la scena cambia. E a Loreto mi è capitato di andarci anche col càmio de Storà: si mettevano insieme più famiglie per pagare il camionista. Che alzava la cerata a coprire dalla polvere e metteva tutti a sedere su panche di legno lungo le sponde. Ma noi piccoli si sguazzava al centro del cassone.

Poco dopo, sarà stato il 1955, babbo comprò un Galletto, che era una moto Guzzi 125. In casa eravamo 8, il Galletto faceva due viaggi e i ragazzi andavano in bicicletta: i grandi sui pedali e i piccoli sulla canna.

Infine l’automobile dello zio Rico: una gloriosa Balilla, l’unica del parentado e della contrada, sulla quale – non so come – salivamo tutti.

Ma il ricordo più forte legato al pellegrinaggio a Loreto è un altro: di un vagabondo e barbone che pellegrinava tutta la vita sulla direttrice Roma-Loreto, via Assisi. Lo vedo bianco e storto, con una sacca sulle spalle dove metteva i tozzi di pane e ogni cosa sua. Impugnava un bastone. Si chiamava Luigi.

Luigi aveva sempre i pidocchi. A casa nostra ci dormiva: d’inverno nella stalla, d’estate sull’aia, su una forcata di paglia. I nostri genitori erano più contenti se passava d’estate: lo ospitavano volentieri «perché va dalla Madonna», ma non lo lasciavano entrare in casa e della stalla erano gelosi quanto della casa.

I sacchi con cui si copriva poi li sotterravamo per spurgarli dai pidocchi, la paglia la bruciavamo. Noi piccoli non dovevamo stargli attorno, ma potevamo portargli da mangiare. È stato forse l’ultimo pellegrino mendicante della storia marchigiana.

Dal Caravaggio
a Benedetto Giuseppe Labre

Lo rivedo bene questo Luigi come figura, ma non ritrovo nessuna parola sua. Ricordo solo che parlava, parlava. Forse non parlava con noi.

La figura di Luigi mi è servita per capire, al liceo, la Madonna dei pellegrini del Caravaggio, detta appunto «Nostra signora di Loreto», che si trova nella chiesa di Sant’Agostino a Roma: i due pellegrini cenciosi, con i piedi impolverati in primo piano e quella Madonna che è una donna vera con il bambino in braccio, sulla porta di casa.

Luigi mi ha pure aiutato, più tardi, a tentare di capire qualcosa dello straordinario figlio e santo d’Europa – venuto dalla Francia – che è Benedetto Giuseppe Labre, che girava i santuari del continente e passava sempre per Loreto. «Girovago e mendicante di Dio», come lo chiamano le Litanie maggiori di Bose.

Giuseppe Benedetto – che fu un dono di Dio all’inizio dell’età moderna e la legò all’antica – muore a Roma a 35 anni, il Giovedì santo del 1783. È sepolto nella chiesa della Madonna dei Monti, che è la mia parrocchia, e io vado a trovarlo perché m’insegni qualcosa di quel suo interminato camminare da eremita girovago in cerca della misericordia di Dio. Il suo percorso preferito era Loreto-Assisi-Roma. Lo fece 11 volte. E Assisi-Loreto furono anche le mete del pellegrinaggio di Giovanni XXIII alla vigilia del Vaticano Il. Oggi che si rilancia Loreto come meta di pellegrinaggio giovanile, si dovrebbe riscoprire questo itinerario.

Bisognerà parlarne – di Benedetto Giuseppe – ai ragazzi del Pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, riproposto con buona fortuna da Comunione e liberazione a partire dai primi anni Ottanta. Ho fatto una volta con loro quella camminata nella notte, tra i campi di grano, ritrovando tanto di ciò che credevo perduto.

Come fu che Maria
divenne nera

Tra le memorie perdute e ritrovate c’erano anche le dicerie della gente sui perché del colore nero della Vergine lauretana, che erano almeno 4, se vogliamo stare allo spassoso racconto dello storico delle tradizioni marchigiane Claudio Principi (A Loreto un poco a piedi e un poco camminando, Sico editore, Macerata 1994): per il nero fumo delle candele; perché già era nera in vita a motivo che era poverella e non aveva il camino e tutto il fumo del fuoco le andava in faccia; perché veniva dalla Morea ed era quindi mora; perché si spaventò e divenne nera durante la traversata. Io sono per quest’ultima spiegazione e mi diverte la malizia dei popolani che attribuivano quel nero inaspettato all’imprudenza che ebbe la Madonna di affacciarsi dalla finestrella della santa casa mentre volava sul mare.

Io bambino, Caravaggio pittore, i popolani burloni di Claudio Principi: eccoci tutti portati a immaginare Maria come una donna vera che abita la sua casa e da quella s’affaccia oggi a ricevere i pellegrini, come una volta s’affacciò a guardare il mare.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
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