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Attualità
Attualità, 4/2021, 15/02/2021, pag. 131

Diario di gennaio: un dono di Piergiorgio Cattani

Piero Stefani

Ricevere in eredità da Piergiorgio Cattani (cf. Regno-att. 20,2020,633s) la cartella dei suoi scritti inediti è dono prezioso e compito esigente. Quelle non poche pagine contengono anche quattro frammenti di diario, tutti risalenti al gennaio 2010. Siamo in un periodo dell’anno consono per proporli. Sarà una specie di dialogo ormai attuabile solo nella mente e nella memoria. L’ultimo dei quattro passi si richiama a un altro diario molto vasto e assai celebre: quello scritto da Etty Hillesum tra il 1941 e il 1943.1 Sono testi imparagonabili. Vi è tuttavia qualcosa che li accomuna: quando le pagine scritte per sé stessi sono rese note dopo la morte di chi le ha vergate, esse parlano anche ad altri.

«13 gennaio. Se pensi che in mezzo alle infinite possibilità del cosmo, al numero incommensurabile di anni trascorsi dall’inizio del tempo, agli spazi immensi dell’universo, ora tu proprio tu vivi, sogni, incontri e la tua mente studia, i tuoi occhi intensi scrutano, le tue labbra sorridono, le tue mani abbracciano, il tuo cuore è pieno d’amore, tutto non è meraviglioso?».

Pascal nei suoi Pensieri (anch’essi, per alcuni versi, una specie di diario postumo) scriveva: «Il silenzio eterno di quegli spazi infiniti mi sgomenta». Il pensatore francese aveva colto già nel XVII secolo quanto sarebbe diventata percezione comune nel mondo contemporaneo. Se guardiamo alle dimensioni senza limiti dell’universo, se osserviamo i tempi lunghissimi richiesti dal sorgere della vita, lo sgomento prevale sulla meraviglia cara agli antichi.

Si dirà: c’è il salmo; già allora quando si guardavano i cieli, la luna e le stelle, ci si chiedeva cosa fosse l’essere umano e ci si domandava perché Dio si prendesse cura proprio di lui (cf. Sal 8,4s). Agli occhi del salmista gli astri e la volta celeste erano però colti come opera diretta di dita divine. Lo stupore, quindi, nasceva di fronte a Dio; la luna e le stelle erano solo occasioni per pensare al Signore.

Si dirà c’è Kant, per lui il cielo stellato che lo sovrastava era già sconfinato e potenzialmente sgomentante. Tuttavia il semplice fatto di riuscire a pensare l’infinità, accostata alla legge morale presente dentro di noi, attestava che l’essere umano non è riconducibile a un puro fenomeno naturale. Le stelle ci sovrastano, ma noi non siamo solo loro figli.

Per noi che viviamo alcuni secoli dopo, quanto conta è soprattutto la relazione biunivoca con chi ci sta accanto: tu e io, io e tu. È essa la nostra via dischiusa verso la meraviglia.

«Le tue mani abbracciano». In questo periodo pandemico abbiamo un poco appreso cosa significa non poterlo fare; a qualcuno, però, una disabilità permanente nega per un’intera esistenza la capacità fisica di abbracciare.

«17 gennaio 2010. Mi sembra sempre di incespicare. Non può essere altrimenti perché nella mia vita cammino alla tenue e malfida luce del crepuscolo che permette di vedere soltanto un breve tratto di sentiero davanti a me. Se guardo più avanti ci sono tenebre in avvicinamento. Non ho futuro, non riesco a pensare al futuro. Non posso sognare di costruire magari una famiglia, ma neppure sperare che qualcuno rinunci alla sua vita per me (questo lo fanno soltanto i genitori con i figli): chi oggi mi è vicino domani o al massimo dopodomani non ci sarà più. Forse altre persone si avvicenderanno, forse vivrò situazioni che non immagino neanche, ma la consapevolezza di una costitutiva precarietà anche nei rapporti umani mi dà un senso di grande angoscia. Dovrei abituarmi alla solitudine, così soffrirò di meno al momento di ritrovarmi nel mio angolo di penombra. L’angoscia deriva proprio dall’attesa del dolore, dalla coscienza che esso prima o poi arriverà inevitabilmente. Oggi attendo questo dolore anzi vorrei solamente che giungesse subito o che facessi di tutto per accelerare il momento del distacco, ma invece mi comporto come se avessi un lungo futuro davanti. Sono malato e stanco ormai, anche di modificare di qualche grado la rotta. In pochi mesi ho bruciato tutte le mie energie. Aspetto la solitudine anche se avrei bisogno di relazione. Perché questo senso di vuoto mi assale più spesso di domenica?».

La speranza è nella relazione

La relazione dà sostanza al nostro vivere; perciò quando non c’è o allorché si teme che scompaia ci assale un senso di vuoto. Questi ultimi, lunghi mesi diventati ormai più di dodici, hanno fatto sperimentare a troppe persone morti solitarie o isolate e a tutti il peso di legami allentati. Il filo della relazione fattosi più esile ci sospinge a pensare a coloro per i quali la dipendenza da altri è costante e duratura: gli anziani nelle RSA, ma anche persone giovani, a volte molto giovani che la disabilità consegna alla cura altrui.

Si creano legami, a volte intensi. Numerose badanti si sono affezionate sinceramente agli anziani da loro accuditi; allora erano diventate parte della famiglia. Fino a quando? La scomparsa della persona accudita allenta i legami; il più delle volte, a poco a poco, quelle relazioni sono destinate a rientrare unicamente nella sfera dei ricordi.

Quando si vive all’insegna di un prolungato crepuscolo estivo, la labilità delle relazioni è paragonabile alle ombre della sera. A breve, tuttavia, sopraggiungeranno le tenebre; nel buio tutto scompare, comprese le ombre. Per chi è nella solitudine, o teme che essa sopraggiunga, il senso di vuoto è colto soprattutto nel giorno posto per i credenti all’insegna della resurrezione. In quelle ore quanto manca diviene più palpabile: «Nella speranza siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza» (Rm 8,24).

«18 gennaio. Aria di primavera. Le giornate si sono allungate notevolmente ma oggi un vento leggero tra le vie della città mi avvolgeva di un profumo tipico dell’arrivo della bella stagione. Capisco i poeti quando vedono nel volgersi della stagione il ritorno della speranza e dell’amore. Mi riempie il cuore osservare la natura che si risveglia, i primi fiori... persino la pietra del Duomo».

Le stagioni si susseguono. Come nella vita umana, a volte anch’esse lasciano spazio o al ricordo di quanto le ha precedute o alla proiezione verso quanto verrà. Nel succedersi dei mesi ci sono spesso o repentini ritorni o anticipi di caldo e di freddo. Allorché si preannuncia il bello, l’animo si dilata e rende partecipe del suo espandersi anche l’inerte («... persino la pietra del Duomo»). Una realtà sta per finire e lascia il posto a una migliore; allora la speranza è di casa. Un tempo, ma non ai nostri giorni, era comune crederlo anche per il passaggio da questa vita a quella eterna.

Ormai dell’aldilà si parla per lo più solo retoricamente come luogo in cui il defunto sta svolgendo, con accresciuta soddisfazione, le attività che lo appassionavano nella sua vita terrena. È un’immagine del paradiso mimata sulle barzellette e sulla pubblicità. Si tratta di una «insacra rappresentazione» che si incunea, non di rado, persino in luoghi alti. Piergiorgio si era cautelato vietando che al suo funerale si parlasse in questi termini del «dopo». Grazie al cielo, il suo parroco, don Severino Vareschi, nella omelia funebre è stato autonomamente fedele a questo lascito.2

«27 gennaio, Giornata della memoria 2010. Giorno della memoria. I campi, le deportazioni, Auschwitz. È accaduto. Che orrore pensarci e che orrore rendermi conto che in fondo al mio animo si possono nascondere semi d’odio e germi di paura! Solo l’amore praticato quotidianamente può estirpare ogni briciolo di avversione, risentimento, invidia. Sono andato a vedere uno spettacolo teatrale su Etty Hillesum, un monologo preso dalle pagine del suo diario. Quelle parole mi penetrano e mi sconvolgono il cuore. Accettare tutto da Dio e vedere in tutto la bontà e la bellezza della vita. Non riesco ancora a farlo, forse un tempo ero in grado di dimenticare me stesso per aprirmi agli altri e a Dio. È aumentata la mia solitudine perché mi ripiego sulle speranze tramontate e sui desideri impossibili che costellano la mia esistenza. Così credo avvenga per tutti. La salvezza di fronte all’angoscia e al dolore dominanti consiste nello stimare la relazione con il prossimo più importante dei progetti personali. Mettere l’altro prima di me. E in questo modo vivere più appagato. Etty visse proprio così gli ultimi anni del suo breve passaggio nel mondo. Essere “un balsamo per molte ferite”, “il cuore pulsante della baracca”. Anche qui, a Trento, in tempo di pace».3

Salvare un piccolo pezzo di sé

Occorre riflettere sul perché parole scritte in un diario non destinato ad altri parlino tanto ad altri. Sono pagine che scavalcano confini; sono brani percepiti all’interno di nuovi territori come se vi appartenessero da sempre. Ciò vale anche in relazione al cristianesimo. Nel Novecento nessuna voce femminile interna al mondo cristiano ha comunicato messaggi spirituali capaci di scavare negli animi in modo così esteso. Ci sono state figure femminili contraddistinte da una piena donazione di sé a favore degli altri; nessuna di esse è però contraddistinta dall’introspezione altruistica propria di Etty.

In realtà, il suo non fu un pensare e un agire per gli altri. L’itinerario si snoda lungo una via che parte da sé stessi. La forma diaristica è consona all’intima volontà di Etty di aiutare persino Dio. Farlo è un modo per aiutare sé stessi. In tempi tremendi, l’unica realtà che veramente conta è salvare «un piccolo pezzo di te, in noi stessi, mio Dio», se riusciamo ad attuarlo possiamo aiutare a disseppellirlo pure nel cuore devastato degli altri.

Non si tratta di dimenticare sé stessi per aprirsi agli altri; al contrario, bisogna partire da sé. Scriveva Hillesum, abbiamo solo un dovere morale: reclamare per sé stessi larghe aree di pace «per rifletterle verso gli altri», e più pace c’è in noi «più pace ci sarà nel nostro mondo turbolento». Forse Etty parla a tanti proprio per la sua volontà di salvaguardare il proprio non egoistico sé.

 

 

1 Cf. E. Hillesum, Diario. 1941-1943, Adelphi, Milano 1996.

2 Si può ascoltare l’intensa omelia di don Vareschi sul sito di Vita trentina: https://bit.ly/3tBMDJp.

3 Ci si riferisce all’iniziativa organizzata dal Servizio cultura, turismo e politiche giovanili del Comune di Trento che, in occasione del Giorno della memoria 2010, propose «Etty Hillesum: cercando un tetto a Dio», monologo recitato da Angela Dematté.

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Cultura e società
Area
Nazioni

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