Vivere per strada fa paura
Storie da un affollato dormitorio di Brescia
Mi chiamano a Brescia, al dormitorio San Vincenzo de’ Paoli, a presentare un libretto nel quale i volontari hanno raccolto le storie degli ospiti. È intitolato Guardateci negli occhi, editore il Dormitorio. Le storie sono 39: grame e splendide come sempre ci appaiono le parole dei disperati.
Ho cercato qualcosa che legasse tra loro quelle storie e ho trovato la parola «coraggio», che è il più avventato tra i sentimenti umani. Il coraggio che aiutò Lina a scappare da un marito e da una suocera violenti e che ora invoca per dire no all’alcol. Il coraggio di Sadia, donna forte per forza, che era nata settimina e subito dovette vincere la sfida del respiro.
Madri a loro insaputa
che Dio poi ha reso forti
Diarra che un giorno, a soli 16 anni, trovò il coraggio di salire su una nave per venire in Europa, senza sapere nulla dei continenti e di come fanno le navi a galleggiare. Clementina che è venuta dall’Ecuador e racconta come un giorno scoprì – chissà dove – la forza di prendere i tanti figli per scappare da un marito furioso.
Lo sventato coraggio di ragazzine innocentissime che sono restate incinte senza nulla sapere e senza nulla capire: madri a loro insaputa che Dio, poi, ha reso forti. Il trasognato coraggio di una zingarella di nome Asije che viene dal Kosovo e vorrebbe che il figlio che sta per partorire non si ritrovi a «essere vento» come lei.
Un’altra parola che mi ha guidato nella lettura di queste pagine è «paura»: e ho capito infine che coraggio e paura vanno tenuti insieme per entrare con intelletto d’amore in queste vite avventate, cresciute in compagnia di mille spaventi.
La paura di Giacomina quando guarda la sua mamma e poi la figlioletta e, dal groviglio della sua vita sbagliata, teme per l’una e per l’altra che abbiano a sbagliare come lei e magari di più. Ed ecco Luigina che ci racconta la sua fatica e la sua paura di vivere.
Margherita che batte su un tasto preciso: «Vivere per strada fa paura. Molta paura». La strada che tutti gli ospiti del dormitorio hanno conosciuto e persino preferito, e che ora è guardata come la prova delle prove anche da uomini grandi e grossi che con un cacciavite in mano sanno fare qualsiasi cosa.
C’è il coraggio, c’è la paura, ma ci sono anche i colori in queste pagine avventurate e piene di vita. Specie quando a raccontare sono le donne. «Se colorassi la mia vita con un colore… sarebbe rosa… un colore chiaro, che dà luce», confida Giacomina.
Margherita preferisce invece il rosso perché è «il colore dell’affetto». Sonia è d’accordo con lei nell’andare sul rosso: «Anche se ora la tonalità che vedo nella mia vita è il nero».
Con un guizzo di luce nel grigio dei suoi giorni, Luisa ricorda l’abito che si comprò con il primo stipendio: «Era giallo come il sole che avrei voluto avere nella mia povera vita». Nel libro ci sono altre due donne, madre e figlia, innamorate del giallo: «Quando ci vediamo lei indossa sempre un vestitino giallo. Con un fiocco in testa. Giallo. E un cerchietto. Sempre giallo. Perché la gente non deve pensare che siamo due poveracce, ma che anche se non abbiamo nulla, siamo sempre due donne dignitose».
Tra questi senzatetto c’è chi attende l’assegnazione di un alloggio e sogna in verde: «Non mi importa se grande, spero che abbia un pezzettino di verde». Sandra il segno della speranza lo trova invece nell’azzurro che «torna sempre dopo l’acquazzone». Di un uomo che un giorno le parve affascinante, un’altra dice che aveva «occhi celesti come il cielo sereno in inverno».
Se il coraggio è un sentimento avventato, un’azione altrettanto avventata – e forse di più – è la preghiera: non sai dove ti porta. Tra questi amici che ci accompagnano per una pagina, ce ne sono che pregano ogni giorno.
Io quando prego urlo,
ma qui devo farlo con la mente
C’è Tyson che ha fatto un infarto e prega tutte le mattine e c’è Elvis che invece le sue orazioni le fa di sera: «Io quando prego urlo, ma qui non posso, quindi prego con la mente». La preghiera mentale la conoscono anche i disperati del marciapiede: chissà se lo sanno nei monasteri.
Qualcuno che qui si racconta è italiano, ma i più vengono dal vasto mondo. Dal Senegal dove gli uomini sono neri e alti. Dal Gambia, dalla Nigeria, dal Ghana dove sono ugualmente neri ma meno alti. Dal Sud del Marocco che è tutto di sabbia. Dalla Romania dove Mario invecchiando non vede l’ora di tornare, perché là la sua pensione vale il doppio.
Tenendo insieme i nomi dei paesi, il coraggio e la paura, i colori e la preghiera che sono sparsi per queste pagine, si ha quasi per intero la commedia umana. La vita palpita tenace in queste storie e invita a guardare negli occhi – come dice il titolo del libretto – i poveri che in esse si raccontano e che meritano il nostro ascolto, perché di loro è il regno dei Cieli.
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