Il sionismo cristiano
Il problematico intreccio tra teologia e politica
Il Corano, accanto a storie e a leggi, contiene anche annunci; alcuni di essi riguardano direttamente il popolo ebraico. Com’è proprio dello stile profetico, il passato si proietta nell’avvenire. L’ordine rivolto ai figli di Israele d’abitare una terra particolare si prolunga così nella promessa secondo cui, in un futuro imprecisato, tutti i figli di Israele saranno ricondotti a «questa terra» (cf. Corano, XVII, 104).
Nei commenti tradizionali si oscilla nell’identificazione del territorio: per alcuni sarebbe l’Egitto, per altri la Palestina. Il testo sacro dell’islam, come avviene in non trascurabili filoni cristiani, pensa al ritorno degli ebrei nella loro terra come segno della fine dei tempi.
Siamo di fronte a riferimenti corposi ma, per quel tanto di cui attestano visioni millenaristiche rivolte a un mondo definitivamente prospero e pacifico, sono difficili da applicare alla situazione creatasi dopo il 1948 (nascita dello Stato d’Israele), per non parlare di quella originatasi a seguito della Guerra dei sei giorni (1967) con la conseguente presenza dei Territori occupati.
Il discorso diviene decisamente inquietante quando è applicato a realtà presenti. È il caso di letture, diffuse in ambito americano, definibili pre-millenaristiche e, in questa veste, riferibili a situazioni attuali. Sono queste le sponde presidiate, per esempio, dalle varie forme assunte dal cosiddetto sionismo cristiano.
Per comprendere alcune delle sue radici, partiamo da una valutazione critica espressa nel 2004 dal Sinodo generale delle Chiese riformate d’America. Una dichiarazione emessa in quella circostanza considera il sionismo cristiano «la forma estrema del dispensazionalismo» che si presenta sia come una distorsione del messaggio biblico sia come un ostacolo al raggiungimento di una giusta pace tra israeliani e palestinesi.1
Parlando in generale, la nostra epoca è senza precedenti storici per essere contraddistinta da società a un tempo multi-religiose, multi-a-religiose e caratterizzate da un uso ideologico e/o identitario della religione. Il sionismo cristiano si colloca in quest’ultimo settore. Alle sue spalle vi è, a giudizio delle Chiese riformate d’America, un’estremizzazione del dispensazionalismo, termine, invero, non consueto nel linguaggio teologico nostrano. Conviene, quindi, fornire qualche ragguaglio.
Com’è consueto per le religioni e per le teologie, pure il dispensazionalismo, le cui radici risalgono al XIX secolo, è contraddistinto dall’essere al suo interno multiforme e ricco di ridefinizioni e sottocorrenti; vi è però una base accomunante riconducibile a una variante inedita della «teologia federale» (da foedus «patto») ben attestata in ambito riformato.
La visione dispensazionalista
L’elemento senza precedenti tipico del dispensazionalismo è la netta separazione posta tra Israele e la Chiesa. La divisione è giustificata in base alla permanente validità attribuita ai due patti, terrestre nel primo caso, spirituale nel secondo. Per più versi, la visione si colloca, dunque, agli antipodi della teologia della sostituzione in base alla quale la Chiesa presenta se stessa come nuovo e vero Israele che subentra all’antico.
Tuttavia, per aver ragione non basta che altri abbiano torto. Respingere la visione sostitutiva in nome del dispensazionalismo rischia di curare una distorsione con una prospettiva anch’essa gravida di conseguenze negative.
La visione dispensazionalista deve le proprie origini a John Nelson Darby (1800-1882); la sua diffusione dipese però, in larga misura, dalle note alla Bibbia proposte ai primi del Novecento da C.I. Scofield (1843-1921). Caratteristica portante di questa teologia è una determinata concezione della storia sacra che si sviluppa mediante sette dispensazioni attraverso le quali Dio mette alla prova le creature umane che, però, vanno sempre incontro a ripetuti fallimenti.
La loro successione è la seguente: dispensazione dell’innocenza (Eden), della coscienza (fino al diluvio), del governo umano (fino a Babele), della promessa (Abramo), della legge (estesa da Es 19,21, alleanza del Sinai, fino a At 1,26, scelta di Mattia in luogo di Giuda), della grazia e della Chiesa (da At 2,1, Pentecoste fino a Ap 19,21, immediata vigilia del millennio). Si tratta di periodi diversi, tutti però accomunati dalla fallimentare risposta umana.
La Chiesa non ha relazione né con ciò che la precede né con ciò che la segue; essa, quindi, non costituisce la realizzazione delle promesse contenute nell’Antico Testamento. L’unione dei credenti con Cristo è a tal punto spirituale da contrastare con i doni accordati a Israele. Da un lato vi è perciò una dimensione celeste e dall’altro una terrestre.
Le profezie dell’Antico Testamento non si sono realizzate nella Chiesa, di conseguenza esse esigono un compimento letterale e terreno a favore di Israele. Gesù offrì agli ebrei la restaurazione del regno davidico.2 Agli inizi degli Atti, la richiesta degli apostoli di sapere quando avverrà la ricostituzione del regno d’Israele è lasciata in sospeso in relazione ai tempi, non già ai contenuti (cf. At 1,6s).
Il dispensazionalismo ha trovato vasti riscontri popolari soprattutto in ambito letterario. Il caso più clamoroso è costituito da The Late Great Planet Earth (1970) scritto dal teologo e romanziere Harold Lee Lindsaey. Il libro – venduto in decine di milioni di copie e tradotto in una cinquantina di lingue – contiene prospettive apocalittiche espresse in termini ispirati tanto al dispensazionalismo quanto al sionismo cristiano.
Scritto sulla scia della Guerra dei sei giorni, il volume afferma in modo risoluto che gli ebrei sono «il popolo scelto da Dio». La maggior parte della successiva produzione dell’autore si presenta come un seguito, una revisione e un’estensione dei temi presenti in questo fortunatissimo libro. Facendo propria una visione millenaristica, Lindsey sostiene che Gesù Cristo scenderà dal cielo per stabilire sulla terra una definitiva convivenza pacifica fra i popoli.
La Bibbia contiene però anche numerose profezie di eventi che avranno luogo prima del ritorno di Cristo; questi accadimenti vanno intesi come segni volti ad attestare che si è entrati nell’era biblicamente definita la «fine dei giorni». L’evento che ha inaugurato «ufficialmente» questo periodo è il raduno del popolo ebraico nella propria antica patria al fine di costituire, dopo tanti secoli di dispersione, una nazione indipendente.
The Late Great Planet Earth prosegue descrivendo una lunga serie di vicende legate all’immaginario apocalittico: la battaglia di Armageddon, la «Bestia», il giudizio finale, il rapimento in cielo dei salvati – tema, quest’ultimo, destinato a dar luogo a un vero e proprio genere letterario di grande successo: Left Behind opera a quattro mani di Tim LaHaye e Jerry B. Jenkins –. In tal modo la rielaborazione di antiche profezie bibliche si è trasformata in best sellers.
Il ruolo del popolo ebraico nella storia
Il sostegno senza riserve allo Stato d’Israele da parte del sionismo cristiano avviene all’interno di una concezione apocalittica che valuta il ruolo assegnato al popolo ebraico componente essenziale perché la storia pervenga al suo esito finale. La prospettiva è però proposta secondo interpretazioni estranee all’ebraismo.
Il massimo sostegno a Israele coincide, dunque, con un’accentuata strumentalizzazione pseudoteologica del popolo ebraico. Non stupisce quindi che molte dichiarazioni ufficiali distorcano in senso ideologico affermazioni all’apparenza condivisibili.
Molto eloquente al riguardo è un testo promulgato dal Third International Christian Zionist Congress (Gerusalemme, febbraio 1996): «Dio, il Padre onnipotente, scelse l’antica nazione del popolo d’Israele, i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, per rivelare il suo piano di redenzione del mondo. Essi rimangono eletti da Dio e senza la nazione ebraica i suoi scopi redentivi per il mondo non sarebbero portati a compimento. Gesù di Nazaret è il Messia che ha promesso di ritornare a Gerusalemme, a Israele e al mondo. È riprovevole che generazioni di ebrei siano stati uccisi e perseguitati nel nome del nostro Signore, e noi esortiamo le Chiese a pentirsi di ogni peccato compiuto contro di loro in modo attivo o per omissione. Il moderno raduno del popolo ebraico in Eretz Israel e la rinascita della nazione di Israele sono la realizzazione di profezie bibliche, così come scritto sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento. I cristiani credenti sono istruiti dalla Scrittura a riconoscere le radici ebraiche della loro fede e ad assistere e partecipare attivamente al piano di Dio per radunare ai nostri giorni il popolo ebraico e per restaurare la nazione d’Israele».3
Anche nelle attuali società multi-religiose e multi-a-religiose l’intreccio tra teologia e politica è lungi dall’aver terminato il suo percorso così facilmente esposto a molteplici degenerazioni.
1 Cit. in https://bit.ly/3FUGsHV.
2 Cf. voce «Dispensazionalismo», in P. Bolognesi, L. De Chirico, A. Ferrari (a cura di), Dizionario di teologia evangelica, Editrice Uomini nuovi, Marchirolo (VA) 2007, 205-207.
3 In christianactionforisrael.org. Archived from the original on July 19,2012, https://wikious.com/en/Christian_Zionism.