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Documenti
Documenti, 13/2001, 01/07/2001, pag. 393

Viaggio in Ucraina: a Oriente e in Europa

Giovanni Paolo II
Le radici cristiane ed europee della nazione ucraina, il martirio patito nel XX secolo in odio alla fede cristiana, le responsabilità dei credenti nella costruzione dell’odierna società democratica e il ruolo del paese nel nuovo contesto dell’Europa. Sono questi i quattro temi che si intrecciano nei principali discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II nel corso del recente pellegrinaggio apostolico in Ucraina (23-27 giugno). Si è trattato del 94° viaggio all’estero di questo papa. Con l’Ucraina salgono inoltre a 14 i paesi post-comunisti che egli ha potuto visitare, mentre 4 (dopo Romania, Georgia e Grecia) divengono i paesi nei quali i credenti siano a grande maggioranza ortodossi. Era quest’ultimo l’aspetto più sottolineato nelle analisi della vigilia, a causa sia delle divisioni interne all’Ortodossia nel paese, sia della rilevanza, entro la minoranza cattolica, della componente di rito greco, guidata dallìarcivescovo maggiore di Lviv, card. Husar (cf. Regno-att. 8,2001,217ss e in questo numero a p. 401). Agli ortodossi, e in particolare alla componente più ostile – quella fedele al Patriarcato di Mosca –, Giovanni Paolo II ha chiesto e offerto il perdono per gli errori commessi e per i torti subiti (cf. discorso All’arrivo a Kiev), e insieme ha sottolineato con forza l’"ecumenismo del martirio" subito a opera dei regimi nazista e comunista (cf. discorso Ai rappresentanti ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani). Alla Chiesa greco-cattolica, escluso ogni intento di proselitismo, ha piuttosto consegnato un ruolo di "mediatrice" tra tradizione latina e orientale. Originali: stampa (3.7.2001) da sito Internet: www.vatican.va. Sottotitoli redazionali.

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Documenti, 2015-14

Dichiarazione comune

Giovanni Paolo II, Karekin II
Dal 25 al 27 settembre 2001 Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, terra di un antichissimo popolo cristiano, per tradizione il primo fra tutti i popoli a riconoscere il cristianesimo come religione della nazione. Si trattò allora di «un vero e proprio pellegrinaggio alle sorgenti della fede di quel popolo», che celebrava in quell’anno il 1700° anniversario della sua conversione al cristianesimo. Fu in quel contesto che papa Woytjla e il catholicos di tutti gli armeni Karekin II firmarono una Dichiarazione comune, nella quale compaiono le parole: «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Regno-doc. 17,2001,541), citate da papa Francesco durante la celebrazione in San Pietro per il centenario dell’evento (cf. in questo numero alle pp. 1ss). Nella Dichiarazione si leggeva ancora che «gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo»; questo riconoscimento sarà infine celebrato, il prossimo 23 aprile, da Karekin II con una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» (cf. in questo numero alle pp. 7ss).
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione

Giovanni Paolo II, Congr. per i vescovi, Pont. cons. per i testi legislativi
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.
Documenti, 2009-3

Con grande afflizione. Ecclesia Dei. Motu proprio di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.