È ancora l’impensata eccezionalità dei giorni presenti a guidare le libere associazioni che portano a rileggere. S’impone il ricordo di un’epidemia felice a Copenaghen. Solo queste parole, felicità, epidemia e Copenaghen. La felicità fa da traino e la memoria prende il filo per il capo giusto. È Alice Munro, Troppa felicità (Einaudi, Milano 2011).
Ha la pazienza di Giobbe, si dice. Non si dice è un Giobbe, come ad esempio si dice è un Ercole, è un Giuda. Giobbe ha avuto pazienza, l’ha fatta sua ma non è diventato la rappresentazione della pazienza. Infatti la perde in un preciso momento, sia nella versione dell’Antico Testamento, sia nella versione di Joseph Roth (Giobbe. Romanzo di un uomo semplice, Adelphi, Milano 1978).
È un regalo poter sfiorare e poi ancora tornare indietro e fermarsi e immaginare e sentire la storia di uno spirito immenso, capace di partire dal proprio dolore e arrivare a quello del mondo e poi ricomprenderlo nella sua arte con una chiarezza pittorica, con il colore, infine con la sapienza del colore, come lui stesso scrive più volte.