A
Attualità
Attualità, 22/2017, 15/12/2017, pag. 695

Il «pensiero incompleto» del papa

Al posto dei «punti fermi»

Luigi Accattoli

Dal pensiero cattolico inteso come sistema completo e in sé concluso al pensiero incompleto e cioè in sviluppo di papa Francesco: può essere evocata anche così la sua rivoluzione. Almeno tre volte ha parlato di «pensiero incompleto», proponendolo come modalità ottimale nella ricerca di un’ermeneutica evangelica per l’umanità di oggi. Provo a indagare questa sorprendente categoria.

 

Dal pensiero cattolico inteso come sistema completo e in sé concluso al pensiero incompleto e cioè in sviluppo di papa Francesco: può essere evocata anche così la sua rivoluzione. Almeno tre volte ha parlato di «pensiero incompleto», proponendolo come modalità ottimale nella ricerca di un’ermeneutica evangelica per l’umanità di oggi. Provo a indagare questa sorprendente categoria.

Cerco l’origine dell’espressione: se qualcuno l’abbia usata prima, o sia sua. Se l’usasse prima del pontificato. Come intenderla per completo: vorrei intendere per completo che sia il pensiero incompleto. Una bella pretesa.

Questa è l’inquietudine della nostra voragine

Parto dalle tre fonti. La prima nel tempo è l’intervista alle riviste dei gesuiti del 19 settembre 2013: «Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. Ci sono state epoche nella Compagnia nelle quali si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico (…) No, il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro. Questa è la sua vera forza. E questo spinge la Compagnia a essere in ricerca, creativa, generosa» (La Civiltà cattolica, 164[2013] vol. 3, 3918, 455).

Qui apprendiamo che pensiero incompleto vuol dire aperto, flessibile, in ricerca, creativo, generoso.

La seconda fonte arriva tre mesi dopo ed è l’omelia del 3 gennaio 2014 nella chiesa del Gesù a Roma, in una celebrazione con i confratelli della Compagnia di Gesù: «Noi gesuiti siamo chiamati a essere uomini che non devono vivere centrati su sé stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine».

Resisto alla suggestione della «voragine» e riassumo con diligenza. Da questa seconda fonte apprendiamo che il pensiero incompleto tende a un orizzonte che mai si raggiunge e sempre sorprende, rende inquieti, muove a evangelizzare con coraggio (quest’ultima caratteristica è detta più avanti, in quell’omelia, rispetto al brano che ho riportato).

La terza fonte arriva il 10 aprile di quello stesso anno, con un altro appuntamento per gesuiti, un’udienza alle Comunità della Gregoriana, del Biblico e dell’Istituto Orientale: «C’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede (…) e [condotta] con la mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo».

La Compagnia di Gesù si era un po’ addormentata

In questa terza fonte non troviamo segnalate – mi pare – altre note del pensiero incompleto, ma apprendiamo forse con stupore che quel criterio d’incompletezza Francesco lo propone anche oltre i confini della famiglia gesuitica: in tale occasione parla infatti a comunità accademiche affidate alla Compagnia di Gesù ma descrive il criterio dell’incompletezza come valido – anzi necessario – per ogni ricerca teologica.

Ho cercato l’origine dell’espressione tra quanti più direttamente se ne sono occupati. Padre Antonio Spadaro, interlocutore del papa nella prima delle tre fonti, ritiene che sia propria di papa Bergoglio e afferma di non averla mai incontrata in testi precedenti il pontificato: «Credo sia la sua sintesi dell’idea lungamente maturata della necessità che i gesuiti non dovessero tendere a una situazione troppo sistemata e restassero in cammino, senza mai concludere la ricerca della propria via». Segnala il colloquio di Francesco con i gesuiti delle Filippine (16 gennaio 2015), nel quale descrive la Compagnia «disciplinata staticamente» e «un po’ addormentata» che c’era prima di Arrupe.

Vittorio V. Alberti (già docente di filosofia alla Lateranense, lavora al Dicastero per lo sviluppo umano integrale) ha un volumetto con quell’espressione nel sottotitolo: Il papa gesuita. «Pensiero incompleto», libertà, laicità in papa Francesco (Mondadori 2014): «È sua originale, la elabora da cardinale, sintetizzando Ignazio e la sua perenne inquietudine». Nel libretto così parafrasa l’atteggiamento di Francesco nel porre e non chiudere le questioni: «Io Francesco non ti dico esattamente di pensarla in un modo, piuttosto apro un orizzonte di possibilità (…) e tengo il discorso aperto e sfido a entrarvi, ma non sono io a chiuderlo, non sono io a dire l’ultima parola» (24).

Massimo Borghesi ha appena pubblicato uno studio dei molti apporti che innervano la formazione intellettuale del papa gesuita: Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica (Jaca Book). Mi segnala un testo di Romano Guardini caro a Bergoglio, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente (Morcelliana 1997; l’originale tedesco è del 1925) e in particolare questo passaggio: «L’idea chiave degli opposti non è un sistema chiuso, ma un aprire gli occhi e un orientarsi interiormente al vivo essere». Borghesi non può affermare che quel luogo guardiniano sia la fonte del motto bergogliano, ma è sicuro che il papa abbia trovato nell’antropologia polare di Guardini «una conferma della sua visione dialettica, antinomica, compresa attraverso i gesuiti francesi Gaston Fessard e Henri de Lubac».

Tutto viene dal «magis» di padre Ignazio

Giuseppe Romano, traduttore del Bergoglio di Buenos Aires, mi dice che le parole «pensiero incompleto» non le ha mai trovate negli scritti precedenti l’elezione ma il concetto che veicolano sì, fin da Meditaciones para religiosos (1982). Per esempio: «Il magis che sant’Ignazio propone ci mette su una strada di creatività fin dal momento stesso del discernimento: la scelta ignaziana è un cercare per trovare quel che Dio vuole da me e ciò che Dio vuole è imprevedibile» (Il desiderio allarga il cuore, EMI 2014, 123).

Ho interpellato Giancarlo Galeazzi, anconetano, autore di Il pensiero di papa Francesco (Quaderni del Consiglio regionale delle Marche 2016), nel quale descrive la ricerca bergogliana come «pensiero artigianale» e «pensiero in cammino». Galeazzi mi indica non una fonte ma una possibile suggestione per l’invenzione bergogliana del concetto di «pensiero incompleto»: il titolo dell’ultima raccolta di testi di Jacques Maritain, Approches sans entraves, apparsa postuma nel 1973, che in italiano può essere reso con Approssimazioni senza frontiere. Quel titolo allude – dice Galeazzi – a «una riflessione che non pretende d’essere una trattazione conclusiva, ma una presentazione di approcci aperti sia nel merito sia nel metodo».

Chi ne sa di più mi aiuti a cercare origine e significato del motto bergogliano. La mia indagine si ferma qui e provvisoriamente concludo opinando che si tratti di un’espressione tutta sua, da lui stesso mai proposta prima d’essere papa. E qui viene l’ultima mia interrogazione, la più pungente: che vuol dire per un papa coltivare un «pensiero incompleto»?

Vorrebbe una Chiesa in perpetua ricerca

Un vescovo di Roma in ricerca, che non definisce, non chiude, non sentenzia è così diverso dai papi conosciuti fino all’altro ieri da restare confusi a figurarselo. Eppure ci avvediamo ogni giorno che Francesco è così, sa di essere così, ama essere così. Avrebbe caro che non solo i gesuiti, ma i teologi d’ogni scuola e tutti i cristiani fossero in perpetua ricerca. Preoccupati di non fermarsi piuttosto che di concludere. Di esplorare piuttosto che di non sbagliare.

Il mese scorso in questa rubrica indagavo le «parabole» di papa Bergoglio, cioè i tanti esempi e racconti di vita vissuta che svolge nelle omelie e nelle conversazioni, persino nei documenti. Storie spesso problematiche per la sensibilità ecclesiale corrente, richiamanti situazioni irregolari e apparentemente insolubili, che Francesco propone anche per segnalare la necessità di andare oltre, fare di più, abbandonare le prudenze, uscire dal conosciuto, affrontare l’ignoto.

Dal microcosmo delle parabole al macrocosmo del programma pontificale. «Andiamo avanti» dice sempre Francesco, ma i suoi critici si chiedono: «Avanti dove? Con quale progetto, verso quale Chiesa?».

A questa domanda che ben conosce Francesco non replica, come non risponde ai dubia. Obiezioni sul «dove andiamo» e dubia sono inviti a sospendere la ricerca e a mettere dei «punti fermi», come dice una classica formula vaticana. Il contrario insomma del pensiero incompleto che mai si ferma.

Non sa dove si andrà: cammina e si affida allo Spirito

Quell’attitudine bergogliana a scrutare l’orizzonte la raffiguro con le schiette parole di p. Federico Lombardi, il gesuita che fu portavoce del papa gesuita: «Quello di Francesco – disse alla rivista Popoli del dicembre 2014 – non è un disegno organico alternativo, è piuttosto un mettere in moto una realtà complessa come la Chiesa. È una Chiesa in cammino. Lui non impone la sua visione e il suo modo di agire. Chiede e ascolta i diversi pareri. Non sa dove si andrà: si affida allo Spirito Santo» (Popoli, 3.12.2014, http://bit.ly/2zXAdiW).

Come Abramo che esce dalla sua terra, Francesco cammina in obbedienza al comando del Signore. Chi lo segue ma anche chi dubbioso lo tiene d’occhio avverte la vertigine che dovette confondere i cuori nella carovana di Abramo. Ed è bene che l’avverta.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Francesco Teologia
Area
Nazioni

Leggi anche

Attualità, 2024-6

Martiri dell’ecumene

Il sangue valica i confini

Luigi Accattoli
L’amico tradizionalista che abitava al piano di sopra deplorava la mia passione per i martiri del nostro tempo e – se fosse qua: se n’è andato nel 2020 (cf. Regno-att. 12,2021,407s) – ancor più biasimerebbe il lavoro che sto conducendo per aggiornare all’Anno santo 2025 il volume Nuovi martiri che pubblicai per il grande Giubileo (San Paolo 2000). Sento che...
Attualità, 2024-4

Nuovi martiri

La scommessa del Giubileo

Luigi Accattoli
Tra i preannunci del Giubileo del 2025 – che parte stracco – il più promettente è forse quello dei nuovi martiri: mi riferisco alla «Commissione dei nuovi martiri – Testimoni della fede» costituita presso il Dicastero delle cause dei santi il 5 luglio scorso e divenuta operativa in novembre. È già buona la ripresa dell’idea di Giovanni...
Attualità, 2024-2

Ridurre i messaggi

Per tornare al kerygma

Luigi Accattoli
Ragionando dell’urgenza di tornare al kerygma, scrivevo ultimamente in questa rubrica che tale ritorno non ci sarà finchè noi cristiani continueremo a proporre «mille messaggi» a un’umanità già stordita dal frastuono della comunicazione globale (cf. Regno-att. 20,2023,680). Mi hanno chiesto di dettagliare sui «mille messaggi» e ora ci...