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Attualità
Attualità, 8/2017, 15/04/2017, pag. 230

Dio ci scampi dall’umanità presuntuosa

Mariapia Veladiano

Dio ci scampi dagli uomini di Jane Austen. Prendiamo Orgoglio e pregiudizio (Feltrinelli 2016) e partiamo pure da quello che alla fine forse sembra il migliore, Mr Darcy. Solo una morbosa inconsapevole disposizione masochistica incisa nel DNA femminile può celebrarlo come il bel tenebroso, il cuore d’oro imprigionato nella scorza dura di un’educazione (educazione?) aristocraticamente superiore.

 

Dio ci scampi dagli uomini di Jane Austen. Prendiamo Orgoglio e pregiudizio (Feltrinelli 2016) e partiamo pure da quello che alla fine forse sembra il migliore, Mr Darcy. Solo una morbosa inconsapevole disposizione masochistica incisa nel DNA femminile può celebrarlo come il bel tenebroso, il cuore d’oro imprigionato nella scorza dura di un’educazione (educazione?) aristocraticamente superiore.

Mr Darcy è un gran maleducato. Non solo giudica tutti con il metro della sua intransigenza, ma anche governa la vita dell’amico Mr Bingley che allontana dall’amata Jane perché ritiene (e appunto sbaglia giudizio) che lei non sia sufficientemente innamorata. È arrogante, ostenta il disprezzo verso chi ritiene inferiore, e quando smette di ostentarlo non lo fa perché ha acquisito finalmente un po’ di comprensione verso la varietà dell’umana famiglia, ma perché l’amore per Elizabeth Bennet lo stordisce come una clavata sulla testa ed è costretto a vedere un poco con gli occhi di lei.

Quanto a Mr Bingley, è un bietolone. S’innamora tanto tanto di Jane Bennet, o forse no perché poi la pianta nella sua malinconica campagna al primo cenno di Mr Darcy, ma forse anche sì perché quando Mr Darcy gli dice vai, lei ti ama, allora sembra innamorato davvero davvero.

Ma si può? Per farci male possiamo parlare di Mr Collins, il cugino ecclesiastico che erediterà la casa delle cinque sorelle Bennet senza merito alcuno se non quello di essere nato maschio. È irrimediabilmente stupido, petulante, striscia davanti a ogni tipo di potere, di fede nemmeno si può parlare, intriso com’è di stolto, viscido moralismo.

Al suo confronto Mr Wickham è un faro. È un autentico farabutto, bugiardissimo e profittatore, limpidamente opportunista. Il male travestito di buone maniere, capace di dispensare complimenti similautentici, con l’inclinazione naturale a piacere e a ingannare.

Di sicuro non uno di questi uomini fa qualcosa di buono. Cavalcano e ballano e vanno a passeggio alcuni, altri cacciano e chiacchierano vacuamente. Praticamente tutti fanno danni, al patrimonio o ai sentimenti altrui.

Mr Bennet, il padre delle sorelle Bennett, in effetti ci tira a un po’ di simpatia. Passa il tempo fra i libri, adora Elizabeth che è la figlia più intelligente, riconosce la stupidità in buona parte del resto della sua famiglia. Ma in realtà non si contano le sue colpe per omissione. Non fa niente per arginare l’irresponsabile dilagare della moglie, maleducata, invadente «il cui unico passatempo era costituito dalle visite e dai pettegolezzi» (59). Non fa niente per educare le figlie minori, e lascia che la vita della piccola Lydia sia artigliata dal pessimo Mr Wickham.

E così siamo passati alle donne. Il cielo ci salvi anche dalle donne. Sua signoria Lady Catherine zia di Mr Darcy è orrenda nella sua illimitata propensione a comandare ogni aspetto della via altrui, dal matrimonio del nipote al governo delle vacche e dei polli da parte di Mrs Collins.

Miss Bingley sorella di Mr Bingley è falsa e manipolatrice. Mrs Bennet è un dilagare di impresentabile grossolanità. Lydia è scema in modo invincibile. Jane Bennet, la sorella maggiore, è piena di virtù, emana benevolenza e non un bruscolo di malanimo offusca il suo carattere ma se non fosse stato per Elizabeth avrebbe trascorso l’intera sua esistenza in lutto per un amore che non aveva avuto l’ardire di far trapelare nemmeno con un rossore prudente, di quelli che calano regolarmente sulle guance di tutte le altre fanciulle del romanzo.

Fosse oggi la si manderebbe a un corso di autostima e motivazione. Rimane Elizabeth che certo la narratrice onnisciente del romanzo ama molto e il punto di vista interno è quasi sempre il suo. È acuta, e se prendiamo per vero che «nessuna donna può dirsi realmente colta se non sorpassa di varie lunghezze la misura comune» (90), è certo colta, nel senso che legge libri e anche le interessa davvero il mondo che la circonda e cerca di capirlo. Ma di Mr Wickham non capisce niente e si lascia raggirare tanto quanto e nemmeno del suo bel Mr Darcy.

In effetti suona molto sincera la sua espressione quando accetta l’invito della zia a viaggiare con lei in estate: «Che piacere! Che felicità! Addio delusioni e malinconie. Che cosa sono gli uomini di fronte alle rocce, alle montagne? (..) E quando faremo ritorno, non saremo come gli altri viaggiatori che non sono in grado di dare un’esatta idea di quello che hanno visto. Noi sapremo dove siamo state; descriveremo i luoghi visitati» (194).

Poi però accetta senza tante cerimonie il cambiamento fulmineo di Mr Darcy e si sposa come le altre, probabilmente più felice delle altre, perché forse lei ha «scelto» di fare quello che era necessario per i tempi e la convenienza, o forse perché l’intelligenza le consente l’ironia, che salva sia dal malumore sia dalla malinconia.

Romanzo incantevole. Moderna con misura, questa Miss Austen che parla la lingua schietta di Elizabeth e forse in lei mette un qualche desiderio e ci fa divertire ogni volta della ridicolissima serietà con cui ogni epoca pretende di essere lei sola assolutamente vera e giusta. E ci lascia il piacere di una ricetta piccola e chissà universale: un po’ di pene d’amore sparse qua e là e poi, eccola, la felicità.

Tipo Riletture
Tema Cultura e società
Area
Nazioni

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