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Attualità
Attualità, 12/2018, 15/06/2018, pag. 380

Diritti e cittadinanza

Una distinzione alla luce della Bibbia

Piero Stefani

Quando parliamo di cittadinanza, di diritti dell'uomo, di dignità umana... c’è un antecedente biblico davvero paragonabile alla logica che regge i diritti umani? Sì, lo si trova all’inizio della Genesi. Qui il riferimento alla nascita è ancora attuale e coglie bene l'aspetto dell'universalità della dignità umana: quello che ci accomuna tutti è infatti la nascita. Non si nasce uguali solo in diritti, ma anche nei bisogni.

 

Maestro. Ti faccio una domanda: com’è intitolata la più nota icona dei diritti politici moderni, quella elaborata dalla Francia rivoluzionaria del 1789?

Discepolo. A quel che ricordo, parla dei «Diritti dell’uomo e del cittadino».

Maestro. Esatto. Ti chiedo: che rapporto c’è tra essere uomo ed essere cittadino all’interno di un orizzonte ispirato agli ideali democratici?

Discepolo. A me sembra che si possa dire su per giù così: al centro delle preoccupazioni delle democrazie avanzate ci devono essere gli uomini e le donne, ma la vita delle istituzioni riguarda in primis i cittadini.

Maestro. Per proseguire il discorso svilupperei una specie di analogia: come i governanti dovrebbero preoccuparsi dei governati da cui ricevono il potere, così, in un contesto autenticamente democratico, i cittadini dovrebbero tener ben presente che qualunque uomo e qualunque donna, anche se privi di cittadinanza, sono pari a loro per quanto concerne la dignità umana. Ogni legge che fa prevalere la cittadinanza sull’umanità è profondamente ingiusta.

Discepolo. Questa volta mi permetto io di porre delle domande. L’universalità della dignità umana è stata, almeno dal Vaticano II in poi, uno dei capisaldi dell’insegnamento cattolico. Cosa c’è di moderno e cosa di antico in questa dottrina? La Bibbia, quanto meno indirettamente, ci dice qualcosa al riguardo?

Maestro. A mio modo di vedere c’è un solo passo biblico davvero paragonabile alla logica che regge i diritti umani. Si tratta dell’inizio del 5o capitolo della Genesi.

Discepolo. Confesso di non averlo presente, cosa dice?

Maestro. Te lo presento alla lettera: «Questo è il libro delle generazioni di adam [essere umano; nda]. Quando Dio creò l’adam lo fece a somiglianza di Dio, maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò adam quando furono creati. Adam aveva 130 anni quando generò a sua immagine e somiglianza un figlio e lo chiamò Set» (Gen 5,1-3). Mantenendo nella citazione un riferimento all’ebraico, risulta evidente il fatto che il brano sia imperniato su due diversi significati della parola adam: il primo va inteso nel senso generale di «essere umano», il secondo in quello personale di Adamo.

Va tenuto pure presente che la sua ambientazione è situata al di fuori del primordiale giardino dell’Eden. La collocazione comporta che l’accento passi dalla creazione alla generazione. Proprio questo slittamento fa sì che il brano divenga un riferimento più collegabile all’attuale linguaggio giuridico di quanto non lo siano i versetti connessi alla creazione primordiale la quale, per definizione, ignora la dimensione della nascita. Fuori dal paradiso terrestre si comincia a parlare di «generazioni». Come inizia il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948)?

Discepolo. «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti...».

Maestro. Come vedi, il riferimento alla nascita è ancora attuale. Colta in questa luce, la Bibbia è un antecedente calzante. Quello che ci accomuna tutti è la nascita. Ciò non significa soltanto che tutti siamo usciti dall’utero materno, ma che nessuno di noi sarebbe qui se qualcun altro non gli avesse riservato le sue cure. Non si nasce uguali solo in diritti, ma anche nei bisogni.

Da parte del neonato vi è, per così dire, un’obbligazione inerme, se non c’è chi si occupa di lui egli non sopravvive. Qualche forma di solidarietà umana è iscritta indelebilmente nel tessuto stesso dell’esistenza. A provarlo è il nostro stesso esserci. Chi non si prende cura dell’inerme nega in radice le condizioni che hanno reso possibile il suo stesso esistere.

Discepolo. Sono parole che condivido senza riserve. Grazie. Esse però riguardano assai più i diritti umani che la cittadinanza. So che la domanda che pongo ha aspetti anacronistici, tuttavia mi piacerebbe sapere se nella Bibbia c’è qualche pagina che ci è di aiuto anche sul problema della cittadinanza.

Maestro. Tutto sommato direi che qui, a essere particolarmente istruttivo, è un riferimento che va assunto più come ombra che come luce.

Discepolo. Si tratta di un esempio negativo?

Maestro. Direi di sì. La storia è un po’ lunga da raccontare. La sunteggerò. I due libri di Esdra e Neemia sono testi dedicati a presentare la società giudaica che si stava formando attraverso le varie ondate di rimpatri dei deportati a Babilonia (VI-V secolo a.C.). Furono frangenti carichi di difficoltà e in cui coloro che venivano dalla Mesopotamia si sentivano portatori di un messaggio religioso più puro e forte rispetto a quello, per loro inficiato di sincretismo, proprio della parte di popolazione rimasta in terra di Giuda. La situazione generale non era esaltante. Quanto, in relazione al ritorno a Gerusalemme, i profeti esilici avevano annunciato all’insegna di una gloria sfolgorante, si rivelava ora una realtà ben più grigia del previsto.

Discepolo. Succede spesso così quando si è di fronte a grandi promesse. Di solito la realtà s’incarica di smentirle, almeno in parte.

Maestro. Giusto. Nei libri di Esdra e Neemia è come se la voce profetica non ci fosse. In quei testi i protagonisti sono la Torah, i capi, l’assemblea e il racconto della propria storia. In queste pagine è testimoniato un processo in virtù del quale una comunità sceglie volontariamente di sottoporsi al giogo di una legge fondamentale.

Discepolo. Comincio a capire perché all’orizzonte ci sia il problema della cittadinanza. Legge fondamentale per governare quale corpus sociale?

Maestro. Per comprenderlo è decisivo prestare attenzione a come finisce il 9o capitolo di Neemia. In esso è contenuta una lunga supplica dal carattere penitenziale che ripercorre la storia ebraica proclamando, da un lato, la fedeltà-giustizia-misericordia del Signore e, dall’altro, enunciando le ripetute infedeltà da parte del popolo. La preghiera si chiude in tono minore: si è tornati nella propria terra, eppure non si è davvero liberi. Anzi, ci si dichiara apertamente schiavi e si denuncia che i prodotti abbondanti della terra promessa ai padri sono per i re; lo stesso vale anche per il bestiame (cf. Ne 9,36-37). Il potere è persiano, quella che si può cercare di attuare è solo la ricerca di qualche forma di autonomia.

Discepolo. Quale fu la risposta a questa situazione?

Maestro. Subito dopo le parole di chiusura del 9o capitolo, troviamo un’espressione che, resa alla lettera, suona così: «E in tutto ciò noi stiamo tagliando [vale a dire stipulando; nda] un patto» (Ne 10,1). Non si tratta di una berit (alleanza), ma di quanto in ebraico si dice amanah, dalla stessa radice di emunah (fedeltà, fede) e di amen. Si tratta, perciò, di un termine ben reso dalla Vulgata con foedus. Siamo di fronte a un patto orizzontale e non già all’accoglimento di una proposta d’alleanza che viene dall’alto.

Discepolo. Se ho ben capito, il popolo è sulla propria terra ma non è davvero libero; tuttavia, anche senza un proprio re, gli è concesso di avere le proprie leggi. In termini contemporanei, si potrebbe affermare che qui vi è autonomia, pur non essendoci indipendenza.

Maestro. Hai compreso bene. Quanto desidero porre in evidenza è anche la presenza di un atto a tutt’oggi valido nell’ambito giuridico: «Sul documento sigillato figurino i nostri capi, i nostri leviti e i nostri sacerdoti» (Ne 10,1). Vale a dire, furono apposte delle firme. Anche il resto del popolo fu coinvolto in quella stipula; infatti, coloro che «si erano separati dai popoli di terre straniere per aderire alla Legge di Dio, le loro mogli, i loro figli e le loro figlie, quanti potevano intendere, si unirono ai loro fratelli più ragguardevoli e fecero un patto e un giuramento di camminare nella Legge di Dio» (Ne 10,29-30). Si assiste a una vera e propria costruzione di un ethos collettivo volto a garantire la propria autonomia di fronte a un re straniero.

Discepolo. Quindi pure la sfera dell’autonomia può essere esposta al rischio di costruire un «noi» esclusivo, distinto, o addirittura contrapposto, a molti «loro». È così?

Maestro. Sì. Nel 10o capitolo di Neemia vi è una clausola eloquente là dove ci si riferisce a quanti si erano separati dai popoli delle terre. Come si è detto, negli impegni specifici là assunti vi è anche quello di non dare figlie ebree in spose ai popoli della regione, né di far sposare un ebreo con una figlia di altri popoli (cf. Ne 10,31). Dal canto suo, il libro di Esdra contiene addirittura il decreto di espulsione delle donne e dei figli di matrimoni con straniere contratti dagli ebrei rimasti in Giuda (cf. Esd 9-10). Pur non essendo titolari di un potere statuale indipendente, i capi della comunità non sono privi della capacità d’imporre decisioni drastiche. Del resto, l’assunzione di una legge volta a definire una collettività porta sempre con sé l’esclusione di coloro che stanno fuori dal recinto.

In relazione al discorso che stiamo dipanando, Mario Miegge ha ben colto non effimere analogie tra questo antico foedus e gli assai più recenti patti costituzionali: «Se da una parte le Costituzioni moderne esprimono un basilare “patto sociale”, l’idea stessa e la pratica del patto (…) non sono esenti da rischi. Infatti, come si legge nello stesso resoconto di Neemia 10, esse si configurano anche come una “separazione” da coloro che rimangono all’esterno dell’associazione pattizia, non si impegnano nel patto. E la separazione può diventare esclusione».1 In termini di stretta attualità, questa dinamica è esattamente quella che discrimina in base alla presenza o all’assenza della cittadinanza.

Discepolo. Quindi almeno ogni tanto anche la Bibbia va presa con cautela.

Maestro. È così.

 

1 M. Miegge, «La Bibbia e il patto sociale», in G. Codrignani (a cura di), Bibbia e Costituzione. Humanitas 65(2010) 1, 14.

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Cultura e società Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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