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«Chi ha orecchi, ascolti»

Parlare in parabole non è una stranezza o una «novità», ma un modo usuale alla cultura dell’epoca per trasmettere un messaggio. 

XV domenica del tempo ordinario

Is 55,10-11; Sal 64 (65); Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

 

Gesù esce di casa e «si siede in riva al mare», dove ovviamente con la parola «mare» s’intende il lago di Galilea. Dato che subito molta gente si raduna intorno a lui, per essere visto e udito da tutti, forse anche per sfruttare l’acustica del luogo, sale su una barca e da lì inizia a parlare.

Nel suo racconto Matteo ci dice che il Maestro usa parlare alla folla in parabole, ovvero attraverso degli esempi tratti dalla vita quotidiana e, soprattutto, dall’esperienza sapienziale che se ne trae. Parabola infatti (in greco parabolé) è il corrispettivo dell’ebraico mashal e il Sefer Meshalim è il libro dei Proverbi, espressione dell’esperienza sapienziale che abbraccia diversi ambiti del vivere, da quello familiare a quello cittadino o di corte, in cui si trovano anche insegnamenti tratti dall’esperienza agricola e dalle diverse arti e mestieri.

Parlare dunque in parabole non è una stranezza o una «novità», ma un modo usuale alla cultura dell’epoca per trasmettere un messaggio. Tra le varie parabole, Matteo ce ne riporta una in particolare, quella del «seminatore». La cosa interessante è che Gesù propone questa parabola due volte, la prima ponendo l’accento sull’attività del seminatore, la seconda ponendo l’accento sul risultato e sulla risposta che i diversi terreni danno dopo aver ricevuto il seme.

Procediamo quindi per ordine. Gesù descrive l’azione del seminatore (l’articolo fa intendere che si tratti di una persona specifica, presumibilmente lui stesso), che sparge largamente il seme che a sua volta cade un po’ dappertutto: sui sassi, sui rovi e sul terreno buono. I terreni in Israele sono sassosi e i rovi venivano usati come siepi di recinzione, quindi nulla di strano che la semente cada anche su questi.

Ma nonostante l’immagine utilizzata sia familiare e corrisponda alla realtà agricola del tempo, la comprensione del messaggio non è così immediata. Come nei proverbi, occorre un ascolto attento, una capacità di riflessione più profonda per comprendere il senso in essi racchiuso. Ed è proprio per questo che Gesù dice «chi ha orecchi ascolti», invitando così l’uditorio a non fermarsi alla sola immagine.

E alla richiesta dei discepoli, che gli domandano perché abbia scelto di parlare proprio in questa modalità proverbiale, risponde: «A colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha». Risposta che ai nostri orecchi sembra essere più enigmatica della stessa parabola/proverbio. Ma non è così per delle «orecchie» ebraiche che ben conoscevano il Sefer Meshalim (il Libro dei Proverbi), dove uno dei Leitmotiv fondamentali è «principio della sapienza: acquista la sapienza; a costo di tutto ciò che possiedi, acquista l’intelligenza» (Pr 4,7). Che detto in altro modo significa che già il desiderio di acquistare sapienza è segno di sapienza, e che solo chi è sapiente può crescere in saggezza.

Per cui se ci si ferma all’immagine di un seminatore che semina e al seme che cade un po’ dappertutto, il risultato sarà nullo, nel senso che il messaggio non verrà compreso: la parabola, i proverbi, hanno bisogno di un tempo di riflessione, di una capacità di intelligere, di essere ascoltati, compresi in profondità.

Questa considerazione sapienziale è più vera che mai e sempre attuale. Ci sono sempre infatti persone che credono di sapere, che danno per scontato che quanto sanno sia loro sufficiente per parlare, per esprimere giudizi, opinioni, affermazioni ecc., ma la vera sapienza e conoscenza consiste e ha origine dalla consapevolezza di ciò che non si sa, di ciò che non si è ancora ricercato, studiato.

Se da una parte quindi la sapienza consiste nell’aver ben presenti i confini del proprio sapere – come scriveva il Leopardi il 4 aprile del 1829, «il più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, è di non passarli mai» –, dall’altra è proprio questa consapevolezza la vera possibilità che si ha per ampliarli, per crescere in sapienza. A chi non ha tale consapevolezza – e ritorniamo alla pagina evangelica – «sarà tolto anche quello che ha», perché pretendere di capire senza sapere che cosa ancora non si comprende è come non comprendere affatto.

Il racconto di Matteo prosegue poi con la spiegazione della parabola richiesta direttamente a Gesù dai suoi discepoli: i vari terreni su cui cade il seme sono le varie tipologie dei credenti o, ancor meglio, le diverse disponibilità con cui ciascuno di noi accoglie quell’unico seme. Si va quindi dalla quasi totale indifferenza, spesso dovuta a una sorta di impermeabilizzazione alla parola di Dio, a una risposta accogliente, gioiosa, oserei dire a volte entusiasta, ma momentanea, che dura poco, per passare a chi riceve quel seme con maggiore profondità ma non è disposto a rinunciare ad altre priorità e interessi, che alla fine non lasciano lo spazio necessario perché il seme produca i suoi frutti.

In ultimo vi è chi, invece, è disposto ad accoglierlo con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutta la sua forza. Anche in questo caso, però, non è importante il risultato finale – dato che il raccolto potrà produrre il 30 o il 60 o il 100 per uno –, ma la totale disponibilità all’ascolto.

Questo commento è l'ultimo prima della pausa estiva. Le uscite riprenderanno il 3 settembre.

Commenti

  • 26/07/2023 Domenico Barbato

    Bene, anzi molto bene - Anche la vacanza occorre per rilassaci un po'-- Grazie di tutto. A rileggere i nuovi commenti a settembre ---

  • 18/07/2023 Alberto Marcelli

    Buona vacanza, cara Ester. Sarà un piacere rileggerti a settembre.

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