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Curare nell’emergenza: il dilemma morale del triage

Fino a poco tempo fa il termine triage era noto solo agli esperti di medicina e di etica. Ora improvvisamente in sempre più paesi i medici si trovano di fronte a questa decisione: a chi fornire un ventilatore e a chi no? Chi riceve un letto in terapia intensiva e chi no?

Il triage è una procedura di assegnazione delle risorse mediche in modo da aiutare il maggior numero possibile di pazienti nel modo più efficiente possibile. In situazioni con un numero inaspettatamente elevato di malati e al contempo con risorse mediche limitate, che non consentono un trattamento adeguato di tutti i pazienti, è inevitabile stabilire priorità, decidendo a chi spettano con più urgenza le cure intensive e chi invece deve sottoporsi a cure di livello subordinato.

Criteri definiti e trasparenti

Bisogna tener conto che anche per i medici le decisioni di triage non fanno parte dei loro compiti abituali e possono dimostrarsi particolarmente gravose. Per sollevare le persone coinvolte da una parte sostanziale dell’onere personale delle loro decisioni, il triage dovrebbe essere effettuato secondo il principio del controllo multiplo. Le decisioni quindi dovrebbero essere prese da un triage-team composto da almeno due medici di terapia intensiva e un’infermiera, se possibile con ulteriori specialisti.

Il triage, inoltre, deve essere effettuato sulla base di criteri chiaramente definiti. Questi devono essere esposti, comunicati e discussi in modo trasparente, al fine di raggiungere il più ampio consenso sociale possibile e di fornire sicurezza ai pazienti e alle loro famiglie. Entrambi gli aspetti – il consenso sociale e il sentimento di sicurezza – sono necessari per garantire fiducia nel sistema sanitario, che può funzionare – specialmente in una situazione così eccezionale – solo come sistema di solidarietà.

Anche nel caso di una situazione clinica inevitabile di triage, devono essere considerati e seguiti gli aspetti fondamentali dell’etica e della morale nel campo della medicina.

Prognosi individualizzate, non esclusioni a priori

I principi di giustizia e di equità richiedono che le prognosi più individualizzate possibili rimangano i fattori decisivi anche in una situazione di triage. Ciò significa che le misure continueranno a essere adottate seguendo in primo luogo criteri medici e che si dovrà tener conto della volontà e delle effettive condizioni cliniche di un paziente.

Essenziali rimangono l’indicazione medica e la prognosi sulla base di diversi parametri diagnostici, a cui appartengono ad esempio età, malattie pregresse, funzione degli organi, valori di laboratorio ecc.

Nelle terapie intensive si valutano anche le probabilità di successo e le percentuali di rischio. L’ethos medico vieta ogni forma di discriminazione di determinati gruppi di pazienti e di età. Anche se – come appena detto – per la prognosi deve essere considerata pure l’età, essa non rappresenta di per sé un criterio di esclusione da un trattamento, neanche in vista di massimizzare l’efficienza delle risorse mediche.

Che cosa si deve fare invece se delle circostanze eccezionali non consentono più al malato di ricevere la migliore e più promettente terapia possibile? Una tale situazione di dilemma morale può verificarsi per la necessità sia di considerare le esigenze terapeutiche degli altri pazienti, sia di garantire il funzionamento continuo del sistema sanitario nel suo complesso. Anche in queste situazioni in linea di massima bisogna applicare i suddetti principi. Questo significa che qualsiasi disparità di trattamento deve essere giustificata da criteri medici quali l’urgenza e le prospettive di successo.

Come procedere quindi in una situazione di estrema urgenza, quando – per esempio a causa di mancanza di tempo – non sia possibile verificare in modo adeguato in diversi pazienti ricoverati contemporaneamente aspetti essenziali quali l’urgenza, la possibilità di successo delle terapie intensive, la probabilità di sopravvivenza e così via? In questo caso mi sembra eticamente legittimo presumere che l’età avanzata abbia un effetto sfavorevole sul successo terapeutico.

Se la prognosi è sfavorevole

Ci troviamo di fronte a un ulteriore dilemma morale quando ci si chiede se il trattamento in terapia intensiva di un paziente con una prognosi sfavorevole possa essere interrotto per trattare un altro paziente con una prognosi più favorevole.

Credo che nelle condizioni di triage – sempre ai sensi del principio di giustizia – la motivazione di continuare una terapia intensiva di un paziente con prognosi sfavorevole debba essere sottoposta all’obbligo di motivazione anche in rispetto delle necessità mediche di altri pazienti.

In tal caso, la proporzionalità della prosecuzione del trattamento in terapia intensiva non si basa solo su un’attenta valutazione del decorso terapeutico e dell’indicazione medica, ma deve anche essere correlata alle esigenze mediche dei degenti con prognosi più favorevoli.

È tuttavia importante che i pazienti, ai quali in tale situazione di estrema emergenza medica non venga continuata ovvero iniziata una terapia intensiva, ricevano le migliori cure palliative e pastorali possibili e non vengano abbandonati a sé stessi.

 

Martin M. Lintner, membro dell’ordine dei Servi di Maria, è docente di etica teologica presso lo Studio filosofico-teologico accademico di Bressanone. In italiano ha pubblicato, fra l’altro: La riscoperta dell’eros, EDB, Bologna 2015; Cinquant’anni di Humanæ vitæ, Queriniana, Brescia 2018.

Commenti

  • 16/04/2020 Caterina De Nicola

    Mi sembra un commento condivisibile. Rimando alla lettura del documento della SIIARTI su RACCOMANDAZIONI DI ETICA CLINICA PER L'AMMISSIONE A TRATTAMENTI INTENSIVI E PER LA LOROCOSPENSIONE IN CONDIZIONI ECCEZIONALI DI SQUILIBRIO TRA NECESSITA' E RISORSE DISPONIBILI. Breve, ma chiaro. Si distingue età anagrafica ed età biologica. Esiste anche la nota della PAV del 30 marzo 2020 di tipo etico globale. Disponibile a ulteriore confronto. Dr. sr Caterina de Nicola, medico palliativista

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