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Figli della risurrezione

XXXII domenica del tempo ordinario

2Mac 7,1-2.9-14; Sal 17 (16); 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38

«Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1Cor 15,16-17). Così Paolo. Queste parole sono la conclusione di un ragionamento iniziato, pochi versetti prima, con una domanda: «Ora, se annunciamo che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?» (1Cor 15,12).

Nella loro ampia parte iniziale i Vangeli narrano come Gesù visse e predicò prima di entrare nella sua Passione. In quei capitoli non ci dobbiamo attendere una proclamazione del Cristo risorto. In virtù del loro impianto narrativo, solo alla fine i Vangeli attesteranno, in modo diretto, la fede nel Risorto; precedentemente si limitano ad affrontare la premessa della frase paolina, vale a dire: si dà o non si dà risurrezione dei morti? Che i defunti risorgano non è un’evidenza; quando si afferma la risurrezione ci si deve sempre confrontare, in maniera più o meno polemica, con i negatori. Sia pure in modi diversi, ciò vale per Gesù, per Paolo, per il Corano e per noi.

Nell’episodio evangelico (cf. Lc 20,27-38; Mt 22,23-32; Mc 12,18-27) colpisce il fatto che Gesù non risponde in maniera polemica alla strampalata questione avanzata dai sadducei. Non si tratta solo di mitezza. In altre occasioni sulle labbra di Gesù erano comparse parole aspre nei confronti dei farisei (cf. Mt 23,1-32; Mc 7,1-23; Lc 11,39-52), con i quali pur condivideva la fede nella risurrezione dei morti (cf. At 23,6-10).

Il tono affermativo e propositivo assunto di fronte a un argomentare assurdo e provocatorio implica che quest’ultimo, in fin dei conti, celi dentro di sé aspetti meno stravaganti di quelli legati a una donna che sposa, in successione, sette fratelli senza concepire da nessuno di essi (tratto, quest’ultimo, consono alla loro cagionevole salute).

L’istituto del levirato prescrive, al fine di suscitare la discendenza al defunto, che il cognato sposi la vedova senza figli del proprio fratello. La paternità del primogenito nato da queste seconde nozze sarà attribuita al primo marito. La stessa Legge prospetta questa paternità surrogata come un passaggio psicologicamente delicato; non a caso, sia pure a prezzo di un disonore sociale, è consentito al fratello del defunto di non sottostare a quest’obbligo (cf. Dt 25,5-10).

Il fratello sopravvissuto genera, dunque, per il defunto. Dal punto di vista giuridico si tratta di una normativa anacronistica, in prospettiva ideale siamo invece di fronte a una norma che cerca di porre rimedio al danno procurato da una morte precoce appellandosi al generare. Al di là del precetto specifico legato a circostanze inattuali, la norma del levirato, letta in modo antropologico, indica quanto è da sempre e per sempre inscritto nell’esistenza di tutti i viventi: alla morte si risponde solo generando un’altra vita destinata a propria volta a perire. Si legge nel Qohelet: «Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa» (Qo 1,4). La natura vuole tutto ciò, la risurrezione dei morti afferma altro. La fede nella risurrezione si rifiuta di consegnare la parola finale alla macina delle generazioni. Rispetto a questo esito non evidente ci saranno sempre negatori fuori di noi, e a volte anche dentro.

La risposta di Gesù ai sadducei è netta: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dei morti non prendono né moglie né marito, infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Lc 20,34-36). In questo passo «figli di questo mondo» ha una valenza esistenziale e non etica (come per esempio in Lc 16,8); l’espressione indica semplicemente i viventi che, prima di morire, generano altri mortali; «figli della resurrezione» si riferisce invece a chi è per sempre oltre la morte.

ll libro della Sapienza dichiara, contro l’opinione degli empi secondo cui «la nostra vita passerà come traccia di nuvola» (Sap 2,4), che «Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità» (Sap 2,23). In un linguaggio ellenistico, si esprime quanto affermato da Luca in riferimento ai «figli della risurrezione». Si è chiamati a credere che si diventerà «figli della risurrezione». Se lo ricordino gli involontari, moderni sadducei che, in un mondo dominato dalla tecnologia e dall’artificialità, prospettano come valore evangelico il rispetto della vita fino a una sua sedicente fine naturale.

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