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Il dinamismo del credere

XXVI domenica del tempo ordinario

Ez 18,25-28; Sal 24 (25); Fil 2,1-11; Mt 21,28-32

Per commentare il testo evangelico di questa domenica vorrei partire dalla fine del brano che la liturgia ci propone: «Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». La frase di Gesù, rivolta ai «sacerdoti e agli anziani del popolo», mette in stretta relazione il pentimento con il credere, cioè non si può credere – in questo caso il riferimento è alla predicazione di Giovanni Battista – senza che prima non ci sia un pentimento.

Questa affermazione è molto stimolante e apre a una riflessione ulteriore. Il fatto che la possibilità di credere sia dipendente da un previo pentimento implica che un atto di fede è di per sé un cambio radicale di prospettiva, una con-versione di sguardo, di pensiero e di azione. Senza questo movimento, apertura e capovolgimento non ci può essere un’adesione di fede, non ci si può aprire a una visione di fede. Vediamo allora questi due elementi: da una parte il «pentimento» e dall’altra il «credere».

Qui il pentimento, attraverso gli esempi del figlio invitato ad andare a lavorare nella vigna e degli esattori e prostitute, è chiaramente descritto come una disponibilità a rivedere le proprie decisioni, a riconsiderare il proprio «universo», gli interessi, le scelte etiche, economiche e relazionali che animano il nostro vivere. Solo se si è disposti a mettere in discussione queste «coordinate» vitali si è in grado di aprirsi a un’altra prospettiva di vita, ad abbracciare un’altra visione di senso della propria esistenza, si è in grado di accogliere e perseguire la novità di Dio, la sua presenza salvifica, trasformante e di per sé sempre stravolgente rispetto alle nostre stantie abitudini mentali, sociali e, perché no, anche religiose.

Il credere diventa così la conseguenza di una capacità di visione che va oltre il dato visibile e, si potrebbe dire, oggettivo. Una visione che scardina le barriere delle nostre certezze, dentro cui pensiamo di sentirci al sicuro, di sentirci «a posto». La fede diventa così un’avventura libera e liberante da tutti i nostri vincoli, spesso autoimposti, verso quel «qualcuno» che ci attrae coinvolgendoci in un abbraccio vitale di cui non riusciamo più a fare a meno. In questo senso il credere diventa il senso primo e ultimo della nostra esistenza, la sua più profonda essenza e, allo stesso tempo, l’unica vera fonte di giudizio per ogni nostra scelta. 

Questi due passaggi, pentimento e adesione di fede, poi, non sono mai conclusi o limitati, ma costantemente attivi e in itinere, cioè in movimento. Costantemente siamo chiamati al «pentimento», a una conversione di sguardo e di pensiero, e costantemente tale cambiamento ci porta verso l’«oltre» di quanto pensavamo fosse giusto ritenere o giudicare. Non ammettere o non essere disponibili a tale «movimento» porta con sé il rischio della paralisi, della cristallizzazione di parametri, di visione e di prassi, che anziché generare vita può produrre solo aridità e morte.

Ed è proprio questa la domanda fondamentale che sta alla base del cambiamento o della stasi: quanto si è disposti a «perdere», quanto si è disposti a mettere in discussione, a cambiare?

I pubblicani e le prostitute del Vangelo non entrano nel regno di Dio in quanto tali, ma perché, attraverso il pentimento, sono disponibili a mettere in moto quel cambiamento costante di vita e di certezze o sicurezze che solo può trasformarli e permettere loro di lasciarsi avvolgere e stravolgere dalla «novità» di Dio e del suo amore.

Diversamente «i capi dei sacerdoti» e «gli anziani» sono statici nei loro parametri di giudizio e soprattutto di visione, in loro non c’è alcuna disposizione a mettere in discussione il loro punto di vista, tantomeno un desiderio di cambiamento/pentimento del loro modo di porsi di fronte all’«altro», chiunque esso sia. Tutto questo, stando alle parole di Gesù, impedisce loro non solo di accogliere l’invito di Giovanni Battista, ma soprattutto «di credergli».

Un ultimo particolare interessante in tutto questo è il ruolo stesso di Gesù: la novità che egli porta, e che egli stesso è, non è un qualcosa che viene proposto dall’alto o dall’esterno, ma proprio all’interno di questo dinamismo di pentimento e cambiamento: messosi in fila con i peccatori per ricevere il battesimo di Giovanni, Gesù si fa carico dei loro peccati e dona forza e coraggio al loro cambiamento.

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