b
Blog

Il grido degli eletti

XXIX domenica del tempo ordinario

Es 17,8-13; Sal 121 (120); 2Tm 3,14-4,2; Lc 8,1-8

Nei Vangeli (come pure nella letteratura rabbinica) è frequente incontrare ragionamenti cosiddetti a minori ad maius: «Chi è fedele nelle cose di poco conto, è fedele anche nelle cose importanti» (Lc 16,10). Nella parabola del giudice iniquo la regola è portata all’estremo, fino quasi a spezzarsi.

All’inizio, in verità, si ha un’impressione diversa; infatti ci si aspetterebbe che si dicesse: di fronte a un’autorità terrena disonesta la vedova ha dovuto insistere tanto, mentre davanti a Dio basta chiedere per ottenere prontamente. Invece non è così; Dio farà certo giustizia agli eletti, questi ultimi però gridano a lui giorno e notte (Lc 18,7), la loro tenacia non è inferiore a quella della vedova. Ella insiste sulla terra, mentre gli eletti gridano verso il cielo. L’aspetto più sconcertante della parabola sta però nel fatto di paragonare Dio a un giudice che «non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno» (Lc 18,2). Perché si è osato tanto?

Nei giorni e nelle notti durante le quali il grido sale a lui, il Dio che non risponde alle ingiustizie presenti sulla terra suscita uno stato d’animo paragonabile a quello contenuto in un salmo ripetuto per due volte (anche qui vi è un’insistenza?) nel Salterio: «Lo stolto pensa: “Dio non c’è”. Sono corrotti, fanno cose abominevoli, non c’è chi agisca bene» (Sal 14,1; 53,2). Nel mondo biblico nessuno, neppure nel suo cuore, negava in linea di principio Dio. L’interrogativo che veniva alla mente a quel tempo (non meno che nel nostro) stava nel chiedersi dove fosse Dio quando nel mondo la sopraffazione dei deboli e indifesi – di cui la vedova è simbolo pregnante – appariva senza argini.

Il paragone tra Dio e il giudice iniquo sta nel fatto che, in contrasto con la promessa di una breve attesa (cf. Lc 18,7), Dio interviene solo a seguito di un’estenuante insistenza. La messa alla prova è reale: perché Dio faccia giustizia occorre importunarlo, eppure nulla più di un’autonoma sollecitudine parrebbe degna di lui.

Il fatto che il brano evangelico, dopo due domande retoriche (cf. Lc 18,7), ne ponga un’altra davvero aperta: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8), non è né un’aggiunta, né un salto di registro. Siamo di fronte a un interrogativo proprio di chi crede. La sua formulazione non lascia adito a equivoci. Esso sorge soltanto all’interno di una convinzione che rappresenta uno dei contenuti più alti e ardui della fede evangelica: la venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi.

Se la storia del buon annuncio fosse giunta alla sua effettiva estinzione, non si parlerebbe semplicemente più della venuta del Signore, proclamata, a tutt’oggi, in ogni messa e quasi del tutto obliata nella vita concreta dei credenti. Al di fuori della fede, quella venuta è un’illusione priva di senso. La fine dei tempi, contraddistinta non da un’estinzione lenta o brusca di quanto c’è, bensì dal sopraggiungere di quanto ancora non è presente, è un evento pensabile solo nell’ambito dei credenti.

L’interrogativo se il Figlio dell’uomo nel suo venire troverà fede sulla terra non è espressione di un dubbio relativo al credere, né equivale a sostenere l’ipotesi che l’esistenza o l’inesistenza di Dio si diano alla pari. La domanda esprime invece la difficoltà di credere per davvero nell’adempimento delle promesse quando Dio è paragonato a un giudice che, per fare giustizia, ha bisogno di essere importunato senza posa.

Specie in un’epoca come la nostra, nella quale il lontano si è fatto vicino, per scorgere quanto sia immensa l’ingiustizia presente nel mondo basta guardarci attorno. Chi vi porrà fine? Oggi la domanda che chiude il Vangelo di questa domenica andrebbe, forse, riformulata così: sulla nostra vedova terra colpita dalla morte c’è ancora chi ha fede nella venuta del Figlio dell’uomo? La risposta affermativa o negativa dipende dalla presenza o meno di chi, giorno e notte, è tuttora in grado di gridare le parole con cui si chiude tutta la Scrittura: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20; cf. 1Cor 16,22).  

Lascia un commento

{{resultMessage}}