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La croce e il cammello

XXVIII domenica del tempo ordinario

Sap 7,7-11; Sal 90 (89); Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

Che il linguaggio del Vangelo sia spesso paradossale appare a tutti evidente. Che quando ci s’imbatte in espressioni forti ciò crei disagio è comprensibile. Rispetto al brano evangelico di questa domenica, per esempio, si è a lungo dissertato se quel cammello che cerca di passare per la cruna dell’ago si debba intendere piuttosto come una fune (kamilos in luogo di kamelos) (cf. Mc 10, 25); come dire? Paradossale sì, ma non esageriamo. In realtà è trascurabile preoccuparsi di questa immagine in relazione a un brano, nel quale la portata del paradosso è ben maggiore.

L’uomo ricco chiede a Gesù che cosa deve fare per avere in eredità la vita eterna. Gli viene indicata la via dei comandamenti e l’interpellante dichiara di averli messi in pratica fin dalla giovinezza (cf. Mc 10, 17-20). Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo» (Mc 10,21). In altri termini, la cosa che ti manca è quello che hai; i tuoi possessi sono la tua parte mancante. Il cammello, animale funzionale al commercio, ti lega alla terra, mente il tuo vero tesoro è in cielo.

La volontà di attenuare i paradossi porta poco lontano. Lo sconcerto dei discepoli è ben comprensibile. Essi, che avevano lasciato tutto per seguire Gesù, non capirono parole che riguardavano proprio la loro condizione. Non poteva essere che così, dato che i discepoli non avevano compreso né gli annunci della Passione, né le parole di Gesù rivolte alla folla: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). La rinuncia conduce a un paradossale «avere», in quanto s’inscrive nell’orizzonte della croce.

Non si tratta soltanto di denunciare i danni della ricchezza e dell’economia dominata dal «dio denaro». Non è neppure questione di seguire la via sapienziale della moderazione: «Non darmi né povertà né ricchezza ma fammi avere il mio pezzo di pane» (Pr 30,8). Gesù chiede di entrare in una situazione in cui, proprio come sarebbe avvenuto con la croce, il capovolgimento può essere compiuto unicamente da Dio: «Essi ancora più stupiti dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?”. Ma Gesù guardandoli in faccia, disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”» (Mc 10,27; cf. Gen 18,14).

L’uomo ricco quando si accosta a Gesù si rivolge a lui chiamandolo «maestro buono»; Gesù rifiuta la qualifica dichiarando che «Nessuno è buono, se non Dio solo» (Mc 10,19). Nulla è impossibile a Dio; solo Dio è buono. Il brano evangelico contiene due affermazioni teologiche. Si è invitati ad accostarle e a farle interagire: solo Dio è buono perché solo Dio può salvare. Per ereditare la vita eterna bisogna affidarsi totalmente alla bontà di Dio.

Nel chiosare il rifiuto a seguirlo espresso dall’uomo ricco, Gesù parla il linguaggio profetico della denuncia e della condanna («è più facile che un cammello...»); non lo fa come colui che è in proprio potente e buono, ma come chi deve affidarsi alla potenza e alla bontà altrui.

«Seguimi!», il comando rappresenta l’inascoltata parola conclusiva rivolta da Gesù al ricco. Si è nelle condizioni di seguire Gesù soltanto se si è poveri, o, ancor più propriamente, a renderci poveri è la scelta stessa di seguire Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).

Fa parte integrante dell’essere poveri sapere che solo Dio è buono e che solo Dio è capace di salvare. Per credere in questo mondo alla bontà del Dio che salva, occorrere prendere la croce e seguire Gesù.

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