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La lampada dell'incontro

XXXII domenica del tempo ordinario

Sap 6,12-16; Sal 62 (63); 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

Il Vangelo di questa domenica ci presenta una parabola unicamente matteana, cioè che non si trova negli altri Vangeli sinottici e neanche in Giovanni. La storia, del tutto inventata e, per certi aspetti, anche inverosimile, presenta dieci vergini che aspettano lo sposo.

A parte il fatto che «la sposa» non viene mai menzionata, in una festa nuziale le vergini avrebbero dovuto accompagnare in corteo la sposa e non lo sposo. Ed è forse proprio attraverso queste differenze che l’evangelista vuole invitare l’uditore/lettore del racconto a porsi su un’altra dimensione, questa volta simbolica. Allora le domande da porci sono: chi è lo sposo (senza sposa) che tarda ad arrivare? E che cosa è veramente richiesto a queste «dieci vergini»?

Dietro alla figura dello «sposo» vi è l’attesa messianica definitiva; nelle prime comunità giudeo-cristiane si credeva che il Messia sarebbe ritornato presto per l’instaurazione definitiva del suo Regno. Di questo parla anche Paolo, che in un primo momento è anch’egli convinto che la parousia (il ritorno del Messia) lo avrebbe colto ancora in vita: «Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore» (1Ts 4,15).

Con il passare del tempo, però, si percepisce che la venuta definitiva del Signore non è così imminente, e che la cosa importante non è tanto l’ora o il giorno della sua venuta, quanto l’atteggiamento con cui vivere il proprio tempo in vista dell’incontro definitivo con il Signore risorto. 

Se dunque «lo sposo» è il Messia nella sua ultima e definitiva venuta – che, come Matteo dice, tarda ad arrivare proprio perché non si conosce «né il giorno né l’ora» –, le «dieci vergini» rappresentano l’intera comunità dei credenti, a cui è richiesto di vivere l’attesa nella «vigilanza».

La questione, allora, è comprendere che cosa s’intende con l’invito finale a «vegliare», a vigilare. Nel racconto, infatti, nessuna delle vergini rimane sveglia, a un certo punto si addormentano tutte; la differenza tra loro non è nella resistenza al sonno, ma in ciò che hanno portato con sé per vivere l’incontro anche nell’eventualità che, per la stanchezza e il protrarsi dell’attesa, si fossero addormentate.

E così l’attenzione si concentra sul particolare dei «piccoli vasi» contenenti l’olio con cui ravvivare le lampade. Molto probabilmente si trattava di fiaccole fatte con della stoffa imbevuta di olio che ogni tanto bisognava aggiungere. Quando lo sposo arriva tutte e dieci le vergini si svegliano, ma non tutte hanno il necessario per far sì che le loro fiaccole siano ben accese in segno di accoglienza: a cinque di loro manca appunto l’olio e, dato che è difficile trovarlo a notte inoltrata, alla fine rimangono fuori della porta; per costoro non c’è più possibilità di partecipare alle nozze.

Il problema, come già accennato, è l’avere o meno provveduto a ciò che può servire durante l’attesa e, come si è detto, è proprio in questo che consiste la «vigilanza». Ora, nel caso della parabola, è facile sapere cosa può servire, ma se trasferiamo il messaggio nella concretezza del nostro vivere in qualità di credenti, a che cosa corrisponde la scorta di olio da avere con sé?

L’olio serve a tenere la fiaccola accesa, ovvero a far luce in modo da essere pronte/i a seguire «lo Sposo». E se pensiamo al Salmo 119,10 – «lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» – possiamo comprendere che questa «luce» è ciò che emana dall’ascolto e conoscenza della Parola. Una «luce» che va custodita, nutrita, alimentata perché possa davvero diventare guida, strumento di discernimento, «luogo d’incontro» con lo «Sposo» che viene. 

A questo punto è possibile, e forse anche importante, porsi la domanda su quanto stiamo «vigilando», come cristiani, nel promuovere e avere a cuore l’ascolto, la conoscenza della Parola; precisando che in tale termine tutta la rivelazione biblica è compresa e non solo i Vangeli o qualche lettera di san Paolo.

Mi vengono in mente le parole che recentemente un prete di mezza età impegnato nella pastorale sanitaria mi ha detto: «In verità io conosco solo il Nuovo Testamento, l’Antico poco o nulla, ma mi sono riproposto, quando andrò in pensione, di leggerlo e di studiarlo»; chissà se, nel frattempo, la sua lampada è accesa o se rimarrà accesa?

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