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Mentre partiva da Gerico

XXX domenica del tempo ordinario

Ger 31,7-9; Sal 126 (125); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

Gesù a Gerico restituisce la vista a Bartimeo (cf. Mc 10,46-52); in precedenza, a Betsaida, aveva risanato un altro cieco di cui ci è ignoto il nome. I due episodi sono molto diversi tra loro. L’anonimato contraddistingue una scena non messa in moto da alcuna richiesta formulata dalla persona non vedente: sono altri a condurre il cieco a Gesù. Quest’ultimo, presolo per mano, lo porta fuori dal villaggio; poi, con un gesto da taumaturgo popolare, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impone le mani e gli chiede cosa vede. La risposta è: «Vedo la gente perché vedo come degli alberi che camminano». Gesù gli impone ancora le mani; solo allora colui che era stato cieco vede distintamente ogni cosa (cf. Mc 8,22-26). In questo passo né il cieco, né tanto meno la folla sono soggetti attivi.

Le cose stanno diversamente all’uscita da Gerico. Ora l’attenzione è incentrata sulla ripetuta richiesta del figlio (bar) di Timeo e sulla gente che lo rimproverava perché tacesse. Se Bartimeo avesse ceduto alla pressione della folla sarebbe rimasto nella sua cecità. Il cieco era consapevole che si trattava dell’ultimo momento utile: Gesù, infatti, stava per lasciare la città («mentre partiva da Gerico»: Mc 10,46).

Le invocazioni del cieco sono espressione di una fede più radicale di ogni convenzione umana. La parola conclusiva pronunciate da Gesù riassumono tutto: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (Mc 10,52; cf. Mc 5,34). Le grida innalzate in mezzo alla folla esprimono una fede che guarisce. Nell’orizzonte della fede il cieco vede, mentre ciechi sono coloro che lo rimproverano al fine di farlo tacere.

Perché Bartimeo grida tanto? Perché egli esprime la propria fede con l’organo che non ha menomato: la voce. Il suono invisibile da lui emesso lo porta a riacquistare la vista. Il non vedente sa che cosa gli manca. Il verso impiegato («anablepo», «vedo di nuovo») lascia capire che non fosse cieco dalla nascita. Letto in chiave simbolica, l’episodio ci dice che la fede ci fa chiedere di essere liberati dalla perdita spirituale che ci impedisce di vedere.

A esprimere la propria fiducia nella guarigione è prima di tutto il grido in se stesso; tuttavia non va trascurato il contenuto delle parole. Bartimeo comincia a innalzare la propria voce perché sente dalla gente che lì c’era Gesù Nazareno; le sue parole però vanno in altra direzione, lungi dall’evocare Nazaret, egli si rifà al nome posto all’origine della promessa messianica (cf. 2Sam 7,12-15): «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me» (Mc 10,47). Il salto qualitativo rispetto a quanto da lui udito si concentra nel riconoscere Gesù come figlio di Davide.

È come se dalla fossa di Gerico il grido si rivolgesse già alla collina di Sion. Bartimeo anticipa quanto il Vangelo narrerà subito dopo in occasione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Gesù stava lasciando Gerico proprio per salire alla città nella quale la folla avrebbe steso mantelli, tagliato fronde e gridato: «Benedetto il Regno che viene del nostro padre Davide!» (Mc 11,10). Gesù è associato a un messianismo regale. Eppure sappiamo che lungo il cammino che lo avrebbe portato alla città posta sul colle, Gesù aveva già per tre volte annunciato la Passione (cf. Mc 8,31-32; 9,30-32; 10,32-34).

La croce non è l’inizio; solo a poco a poco, Gesù comprese che quello sarebbe stato il passaggio a lui riservato. In principio aveva proclamato: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). In un certo senso Bartimeo e la folla di Gerusalemme rappresentano questa memoria; sono lo sfondo indispensabile perché si dia la morte in croce. La vita e la morte del Nazareno dipendono dall’accoglienza o dal rifiuto, dalla fiducia che si ripone in lui o dall’atto di lasciarlo andare lontano lungo la sua via.

 

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