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Pescatori di uomini

V domenica del tempo ordinario

Is 6,1-2.3-8; Sal 138 (137); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Luca, rispetto agli altri due Sinottici, ritarda la chiamata dei primi quattro discepoli. Per lui non è un atto iniziale come lo fu per Marco (cf. 1,16-20) e per Matteo (cf. 4,18-22). Con un’anticipazione poco persuasiva parla, per esempio, della guarigione della suocera di Simone ancora prima della chiamata del discepolo (cf. Lc 4,38-5,11; cf. per contro Mc 1,16-31).

La scelta, propria di chi è stato preceduto da altri (cf. Lc 1,1-4), comporta un mutamento nell’impianto narrativo. Per Matteo e Marco la chiamata dei primi discepoli precede ogni storia di miracoli e guarigioni; dal canto suo Luca inverte i due fattori. In questo contesto si comprende perché la chiamata stessa sia collegata a un miracolo, quello della pesca sovrabbondante. Prima di chiamare i discepoli, Gesù si doveva accreditare. Negli Atti degli apostoli, l’altra opera lucana, Gesù è presentato nel discorso «inaugurale» tenuto da Pietro a Pentecoste, come un «uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni» (At 2,22; cf. At 10,38). Tanto più cresce la distanza temporale da Gesù, tanto più si manifesta l’esigenza di «accreditarlo» nei confronti dei lettori.

Non tutto dipende dai miracoli. Luca introduce in prima istanza le barche non come strumento di lavoro, bensì come una specie di pulpito. Gesù, vedendo le barche accostate alla sponda e gli uomini che, dopo il loro vano lavoro notturno, pulivano le reti, chiede a Simone di allontanarsi un poco da riva e, dall’imbarcazione, insegna alla folla.

Il primo atto è affidato alla parola. Con questo suo modo di comportarsi, Gesù prefigura cosa significa essere pescatori di uomini. L’insegnamento proviene da una barca, non da una cattedra. È come se Gesù, con questo suo gesto, avesse detto: anche voi dovrete ammaestrare la gente stando in mezzo a essa, il vostro luogo di insegnamento non saranno aule e cattedre, ma spazi aperti; destinatari delle vostre parole non saranno studenti ma folle.

Alla precedenza della parola segue la fiducia nella parola: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti»» (Lc 5,4-5). La pesca miracolosa dipende da un atto di fiducia nella parola di Gesù. A noi non è dato gettare in senso letterale le reti per pescare una quantità sovrabbondante di pesci, ci è però concesso, anzi richiesto, di ascoltare l’ammaestramento e di avere fiducia nella parola di Gesù. L’essere discepoli inizia da lì. In seguito può sopraggiungere anche la chiamata.

Luca, uomo della terza generazione, indica una strada in cui la chiamata non è solo iniziale, come nel caso di Abramo (cf. Gen 12, 1) e, secondo Marco e Matteo, anche in quello dei primi discepoli. Il terzo evangelista si preoccupa di coloro che già hanno mostrato la loro fede rispetto alla parola ricevuta e appresa. Pure questi ultimi però sono destinati, nel succedersi delle generazioni, a diventare «pescatori di uomini», vale a dire a loro è chiesto di impegnarsi nell’annuncio.

La «pesca miracolosa», collocata da Luca nella parte iniziale del suo Vangelo, è posta da Giovanni alla fine del suo scritto nel contesto dell’ultima apparizione del Risorto (cf. Gv 21,1-23). Lì, in riferimento a Simon Pietro, la pesca s’intreccia con immagini, più consuete, legate alla pastorizia: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Il pescatore non si prende cura dei pesci, li cattura; il pastore invece accudisce il proprio gregge.

L’essere «pescatori di uomini» resta anche in Luca un’immagine iniziale; essa è legata all’annuncio e non già alla formazione. Nei secoli della Chiesa i pastori hanno comprensibilmente prevalso sui pescatori. In un’epoca come la nostra, nella quale si sente spesso parlare di «nuova evangelizzazione», è tempo di restituire il primato ai pescatori.

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